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SMF per La Sicilia – «L’Albania vista da dentro un gulag» – Intervista a Pierino Cieno e Giuseppe Laganà autori di “Papà non torna” (Hi_Qu music book)

18 Febbraio 2025 - Articoli di S.M. Fazio, Interviste
SMF per La Sicilia – «L’Albania vista da dentro un gulag» – Intervista a Pierino Cieno e Giuseppe Laganà autori di “Papà non torna” (Hi_Qu music book)

Da La Sicilia del 18 febbraio 2025

«L’Albania vista da dentro un gulag»

L’intervista. Giuseppe Laganà ha scritto a quattro mani con il protagonista Pierino Cieno la storia di una lunga prigionia vissuta durante il regime comunista di Hoxha e il ritorno a casa

Era uno dei miei primi la- vori in Rai. Un program- ma di Rai 2 condotto da Alda D’Eusanio. Lavoravo in redazione e verificavo le storie che arrivavano. La prima volta che ascoltai dall’altra parte della cornetta telefonica la voce di Pierino Cieno mi sorprese il suo ripetere più volte “sono italiano”, “mio padre è italiano” […], capii che dietro c’era molto», così esordisce Giuseppe Laganà intervistato sul suo nuovo libro “Papà non torna” (HI_QU Books, pp. 153, € 15), scritto a quattro mani col protagonista Pierino Cieno che ci riassume, come indica Laganà in una risposta, “le sue vite”. Crebbe fino all’età di trentotto anni in un gulag albanese, si sposò, ebbe figli, lavorava, schiavizzato vittima del comunismo di Hoxha. Giunse in Italia, viaggiando per 128 ore, incontrò il padre. Da quel momento emerge l’aspetto ontologico, che vi lasciamo scoprire leggendo il libro. «Gli italiani in Albania – incalza Pierino – sono sempre stati visti be- ne, tranne durante il regime comunista di Hoxha». Inevitabile! «Lei pensi che i fascisti che entrarono in Albania nel ’39 hanno costruito i ponti, le strade, i ministeri che vediamo oggi». Perché? «L’Albania è sempre stata terra strategica e Mussolini la voleva». Come fu la prigionia? «Quando ero rinchiuso nei gulag conobbi tanti intellettuali, docenti, politici dissidenti di Hoxha: erano la “crema” della conoscenza; se non hai conoscenza e cultura non puoi far cadere nulla. Grazie a professori, uomini che conoscevano la verità della libertà, dai quali appresi la vi- ta, tutto fu possibile, specie resiste- re e non arrendersi». Come ha vissuto Giuseppe Laganà la stesura di quest’opera assieme a Pierino Cieno? «Pierino è un vulcano – replica Laganà – Credo che l’esperienza di prigionia gli abbia donato quasi dei superpoteri, la capacità di rinascere e reinventarsi. La prima vita l’ha passata nel campo di prigionia, poi la seconda una volta rientrato in Italia, come imprenditore a Rieti, oggi è alla sua terza vita…. Fino alla settima, come i gatti, sto tranquillo».

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Pierino, suo padre venne accusato, assieme ad altri, di aver messo una bomba all’ambasciata russa… «Non era nemmeno una bomba, ma il termine bomba risuonava bene. La Russia comunista era la Madre in Albania, chi poteva averla messa? I fascisti! Anche se non esisteva più il fascismo e non erano stati gli italiani. Mio padre era italiano dunque per loro fascista da perseguitare». Da quel momento, 1951, gli italiani vissero nel tormento. Il padre, l’ing. Leone Cieno, viene accusato, riesce a scappare, promettendo alla mo- glie di tornare, ma “papà non torna”. Hoxha impose dittatura e disprezzo contro gli italiani: tutti internati. È in questo romanzo che si svelano fatti reali anche sulla libertà ottenuta da Pierino. Certo è emozionante e dilaniante, scoprire altro che l’informazione dei tempi non faceva passare, per voce di uno dei protagonisti che grazie all’amicizia nata con Giuseppe (Laganà, ndr) hanno raccontato tutto questo. A proposito quali sono le emozioni che Laganà ha condiviso con Pierino, nel curare questo volume? «Rabbia, sorpresa, tristezza, malinconia ma anche allegria. Personal- mente alcune cose che ancora oggi mi racconta mi sorprendono. E’ davvero incredibile quanto la Storia con la “S” maiuscola possa diventare deflagrante quando assume le sembianze umane, quando diventa pelle, sudore, sangue e lacrime. Tutt’altro rispetto alla Storia che ai miei tempi si studiava a scuola… molto spesso noiosa, niente di più di un saggio mediamente ben scritto. Ecco, la potenza della storia umanizzata a volte è stupefacente». Pierino, lei racconta anche di una delusione “causata” da suo padre: si pente della sua reazione? «Mi pento di non essere riuscito a perdonare. Dopo la sua morte ho saputo tante cose». Cosa? «Esempio che lui continuava a scri-verci, ma dal 1968 il regime si inasprì e non ricevemmo più notizia da mio padre. Lui continuava a scriverci, ma la corrispondenza venne bloccata dalla Sigurimi. Non aveva colpe».

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