
Da La Sicilia del 10 Marzo 2025
La filosofia in un numero: “2056”
Francesco Cusa, apolide catanese si tuffa da quella più estrema e prima, di Anassimene e Talete, per passare all’esistenzialismo heideggeriano finoall’ermeneutica tout-court
Sono circa settanta i cd musicali, più sulla scena jazz, della quale è studioso, e oltre dieci le opere letterarie, tra saggistica, poesia, aforismi e narrativa, ma nei suoi 50 e passa anni di vita non si è fermato a questo: ha fondato il collettivo musicale Improvvisatore Involontario, che ha permesso negli anni di intersecare musicisti, artisti da palco, pittori, filosofi realizzando anche spettacoli in memoria di altri artisti (storico il tour dedicato agli Squallor, che ha girato l’Italia da nord a sud con il sold-out di pubblico che richiedeva il ritorno). Lui è Francesco Cusa, apolide, nato a Catania e vissuto tantissimi anni a Bologna. Poi si cresce, oltre a collaborazioni con artisti di fama ultra nazionale (visitare gli archivi delle manifestazioni jazz o delle riviste di genere o cercare in rete per rimanere sbalorditi della produzione di quest’uomo), si approda ai conservatori a insegnare l’insieme di strumenti che tutti conosciamo col nome di batteria, fino ad approdare nella sua città natia, Catania. Cusa, dicevamo, approda a Ensemble, casa editrice che ha tradotto e lanciato autori di spessore.
Lo fa con “2056” (pp., € 15,00), dove il cuore che pulsa si misura con la ricerca filosofica, da quella più estrema e prima, di Anassimene e Talete, per passare all’esistenzialismo heideggeriano all’ermeneutica tout-court, dove la riflessione di un ipotetico futuro che non lascia margini di ritorno, che si sbagli o si indovini la vita (citando Carmelo Bene), fa i conti con l’influenza di Swedenborg nello specifico in quella distinzione tra realtà materiale e spirituale. C’è un protagonista ‘primario’ in “2056”, si chiama Samuel Vitruvio, che abbatte i canoni dell’omologazione del quale il nome evoca il leggendario Uomo Vitruviano, simbolo di equilibrio e proporzione. Samuel, dicevamo, si sente un sopravvissuto a qualcosa che non gli appartiene. Simile a filosofi d’alto rango non sempre studiati nei vari licei, tra chi lo asseriva come Camus, chi lo praticò come Mainländer o chi lo consapevolizzò quale Zappfe il vero interrogativo sul problema filosofico è il suicidio, partendo dalla domanda arcaica successiva alla prima: la vita ha un senso?il protagonista non è esplicito nel domandarselo ma lo spleen baudeleriano lo tormenta costantemente, facendolo vivere nella totale. Improvviso dalla penna del M.stro Cusa, il colpo di scena: non c’è redenzione, non c’è nemmeno resistenza, mancherà l’ accettazione ex novo, provocata da una gentile quanto oscura scelta. Non si suiciderà con l’impiccagione praticata Philipp Mainländer, non teorizzerà i meccanismi di difesa – isolamento, ancoraggio, distrazione e sublimazione – come fece il norvegese Zapffe, né si fermerà a osservare oltre la propria finestra come fece Camus per trovare risposte. Straordinariamente, attraverso il suo creatore (Cusa), Samuel stupisce per quel concepire la potenza e il crollo tecnocratico. Ci chiediamo se Samuel è lo stesso Cusa. La risposta è polivalente: Cusa ha narrato l’esistenza contemporanea con divertimento e sarcasmo (“Novelle crudeli” è un gioiello raro della letteratura italiana); con tanto rispetto verso personaggi come Paolo Borsellino. Stavolta le cime, quelle della disperazione di Emil Cioran, le ha scalate e giunto all’apice, come aleph osserva il futuro, l’attimo in cui non esiste nascita o morte, ma lo stupefacente istante di ciò che si sconosce e che con grande coraggio ha teorizzato in questo romanzo che dista appena 31 anni da ciò che si prospetta.