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Umiltà ed onestà (Il Venerdì di Francesco Das Atmananda)

8 Gennaio 2017 - Il Venerdì

avvento

Fin dai tempi dei tempi esisteva a Vergny lo spaccapietre.

Il mestiere era antico e se lo trasmettevano di padre in figlio da trentotto generazioni.

Sullo spaccapietre di Vergny ci si poteva contare: guerra o pace, abbondanza o carestia, lui ci sarebbe sempre stato.

Chi andava a Vergny sapeva che ce l’avrebbe trovato.

Così si credeva ma così non fu per sempre.

Un giorno il Sindaco di Vergny si presentò all’ultimo degli spaccapietre e gli disse:

“Ho una bella sorpresa per te: finalmente smetterai di faticare!”

Lo spaccapietre abbassò il martello e rispose:

“Cosa potrebbe sostituirmi se non mio figlio, così come io sostituii mio padre?”

Il sindaco rise e lo invitò a seguirlo fino ad un casolare fuori città, proprio sotto la montagna.

Quindi lo introdusse in una grande stanza, dalle volte altissime, imbiancata di fresco.

Una volta dentro il Sindaco indicò un enorme telo al centro della stanza che copriva qualcosa di davvero imponente e, ancora ridendo, continuò:

“Ecco cosa ti sostituirà!”

Quindi tirò via il telo e scoprì una gigantesca macchina fatta di infiniti rulli ruotanti di varie dimensioni.

“Bella, vero?

È l’ultima novità del progresso meccanico nel campo delle pietre.

Siamo il primo comune ad averla, nel paese e nell’Europa intera.

Ci aspettano anni di prodigi e di traffici intensi.”

Lo spaccapietre rimase con la bocca aperta per qualche minuto.

Infine disse, iniziando a girare intorno alla struttura luccicante:

“Ma come sarebbe a dire?”

“Sarebbe a dire che da domani sei in pensione.

La fabbrica, come vedi, è già pronta.

Non sei contento?”

“Ma…” provò a replicare lo spaccapietre.

“Non preoccuparti: non morirai di fame.

La pensione che ti darò sarà congrua ai tuoi cinquanta anni di fatiche.”

Così detto schiacciò un bottone e la macchina prese a digerire sassi grossi quanto piccole montagne con la voracità di un dinosauro.

Lo spaccapietre si sentì gelare.

“E…” tentò nuovamente di rispondere lo spaccapietre.

“E tuo figlio dovrà trovarsi un altro mestiere, come ogni bravo giovane che si rispetti.

Non è il primo, non sarà l’ultimo.

Non c’è niente di male in questo.”

Il rumore divenne assordante.

“Però…” provò ad obiettare lo spaccapietre.

“La fabbrica andrà avanti da sola.

Come vedi è progettata per non essere governata da nessuno.

Uno dei nostri operai verrà qui di tanto in tanto per vedere se tutto funziona come deve.”

replicò il sindaco.

“Sì m…”

Mentre parlava, lo spaccapietre venne interrotto nuovamente dal sindaco:

“Niente ferie, niente malattia.

In un giorno spaccherà le pietre che tu spaccavi in un anno, direttamente dentro la montagna.

Ti fa invidia, vero?

Vorresti avere la sua forza?

I suoi denti?

Le sue braccia possenti?

Niente da fare, sei solo un uomo.

Mettiti il cuore in pace.”

“E…” provò ad aggiungere inutilmente.

“Può bastare.

Ti accompagno a casa.

Sii felice e goditi la tua vecchiaia.

Il tuo mestiere lo lasci in buone mani.” concluse il sindaco.

Una volta a casa lo spaccapietre si accasciò davanti al camino.

Doveva dire a suo figlio, che già era apprendista spaccapietre, di cercarsi un altro mestiere.

Le lacrime gli scesero sulla zuppa e le mangiò insieme ai fagioli.

Sua moglie non seppe fare altro che massaggiargli i calli delle mani, come ogni sera.

Avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma non le venne tra le labbra nessuna buona parola.

Le uniche che seppe pronunciare furono:

“Ti insegnerò a ricamare le tovaglie!”

Dopo di queste non disse più niente.

Lo spaccapietre le prese per buone e non fu contento.

Sperava che avrebbe aiutato suo figlio fino alla morte, come suo padre con lui.

Quindi le rispose:

“Grazie, ma le tovaglie le lascio volentieri a qualcun altro.”

E così dicendo si addormentò piangendo.

Un mese dopo il figlio partì con il primo treno per il sud.

Era grande abbastanza per andare a cercarsi lavoro da solo, dovunque vi fosse stato.

Per consolare il padre, già sopra il treno, gli disse che quel mestiere, in fondo, non gli piaceva.

Che era felice di partire.

Che avrebbe trovato di meglio, senza dover rinunciare ad una famiglia, ad una casa e ad un buon pasto ogni giorno della settimana.

“Sei sicuro? Forse… cercando… insistendo…” chiese amorevolmente il padre.

“Sono sicuro!” rispose il figlio.

Lo spaccapietre fece finta di non sentire e lo lasciò partire.

Ricordava i giorni in cui gli spiegava i dettagli del suo lavoro.

Le prime pietre, immense, tra le mani.

I primi lavoretti d’apprendistato.

I primi calli.

Tutto era perduto.

Rimase con lo spaccapietre e sua moglie la giovane figlia.

Povera disgraziata!

Sarebbe cresciuta figlia di un pensionato senza mestiere, nessuno se la sarebbe presa in casa, nemmeno come serva.

Passarono così tre mesi senza gioie e senza miserie.

Finché una mattina lo spaccapietre si levò di buon’ora e si mise in cammino.

La pensione gli bastava per mangiare ma, da quando non aveva più un mestiere, non aveva più fame.

E poi c’era da mettere da parte la dote per la figlia, se la voleva maritare bene.

“Parto.” disse alla moglie.

“E dove vai? Sei vecchio.” lei gli rispose.

“Arriverò a Estimj e lì mi venderò al mercato.” replicò lui.

“E chi ti comprerà? Sei vecchio.” aggiunse lei.

“Qualcuno mi comprerà.

Poi tornerò e vi porterò con me.” rispose tranquillamente lui.

“Se tornerai!… sei vecchio.” ripetè nuovamente la moglie.

“Sai dirmi solo questo?” chiese lo spaccapietre.

Aveva deciso di passare la montagna per raggiungere Estimj, la grande città accanto al fiume.

Una volta lì avrebbe offerto la sua arte e la sua esperienza al miglior offerente.

Certo, sapeva fare soltanto lo spaccapietre, ma era già qualcosa.

Di sicuro avrebbe trovato qualcuno in grado di apprezzare le sue doti e la sua abilità.

Poi avrebbe richiamato con sé la sua famiglia e sarebbe invecchiato contento.

Avrebbe regalato alla figlia una bella dote e l’avrebbe sposata ad un uomo di giudizio.

Infine sarebbe morto come tutti i vecchi e al suo funerale la città avrebbe pianto.

Camminando su per la montagna giunse al grande fiume che divideva le due città di Vergny e di Estimj.

Si era già preparato a passare oltre quando vide che di là dal ponte la strada era interrotta.

Una grande frana, scendendo dalla montagna, l’aveva interamente sommersa.

“Come farò a raggiungere la città?” pensò.

Poi, vista la gravità della situazione, considerando che non aveva fretta, passò il ponte, si tolse la giacchetta e si mise subito a lavorare.

Era importante ripristinare quanto prima la via maestra.

Del resto erano mesi che non pesava più una sola pietra.

Un po’ di sana fatica l’avrebbe ritemprato.

Dopo alcune ore di lavoro, spostando e spezzando pietra su pietra, con attrezzi rudimentali, si trovò fra le mani il corpo di una giovane donna.

La ragazza, ferita, era svenuta ma ancora in vita.

Aveva soltanto bisogno di calore, riposo e cure.

“Adesso devo andare in città.

Questa giovane ha bisogno d’essere medicata.

E manca poco all’apertura del mercato.

Fortuna che ho quasi finito.

Il resto del lavoro, poche pietre, lo potrà compiere qualcuno degli addetti alla manutenzione delle strade.”

Detto questo si caricò la giovane sulle spalle e partì.

Appena in città lo spaccapietre consegnò la giovane ad un’infermiera dell’ospedale e si recò al mercato.

“Hei… lei… dove scappa?” chiese l’infermiera.

“Devo andare assolutamente al mercato!” rispose il vecchio spaccapietre.

“Ma questa giovane?” continuò l’infermiera.

“Era sepolta sotto una frana, accanto al ponte.

Presto, non perda tempo con me: è ancora in vita!” replicò lui.

“Ma lei: come si chiama?

Qualcuno vorrà sapere!” provò ad aggiungere l’infermiera.

“Che importa, infermiera: le salvi la vita, il resto andrà da sé!” concluse.

“Vendesi fatica di spaccapietre esperto.

Cinquant’anni di lavoro e di maestria.

Opere pulite e senza polvere…”

Il mercato era pieno d’ogni ben di dio.

Lo spaccapietre si mise in mostra, urlò come tutti gli altri e aspettò per l’intera mattinata.

Non lo volle comprare nessuno.

Qualcuno gli chiese di dare dimostrazione della sua forza.

Ci provò ma era talmente stanco, dopo tutto quel lavoro notturno, che non riuscì a sollevare nemmeno un sassolino.

“A Vergny c’è una macchina che trita la montagna senza una sola goccia di sudore!” gli dissero.

“Che costa poco e che lavora parecchio.

Soprattutto senza un’ombra di difetto.

Si dice che nessuno le faccia da guardia e che faccia tutto da sola.

A Vergny stanno arricchendo a vista d’occhio.

Tutti vanno a Vergny per le pietre.

A che serve, ormai, uno spaccapietre?”

Era seduto sconsolato sui gradini del Duomo, a stomaco vuoto, quando sentì da una radio accesa accanto ad una finestra aperta la seguente notizia:

“Questa mattina la figlia del Gran Magnate del Tabacco di Estimj, ancora priva di sensi, è stata lasciata in ospedale da uno sconosciuto.

La giovane, sveglia da circa un’ora, ha raccontato d’aver perso conoscenza vicino a Ponte Salvo, sepolta da una frana.

Sta bene e, per sua fortuna, non ha riportato alcuna lesione né interna né esterna.

Solo qualche graffio e qualche esile ferita.

Ma poteva andarle molto peggio.

Il Sindaco di Estimj si è detto disponibile, come segno di riconoscenza e a nome della città tutta, ad esaudire qualsiasi desiderio gli sia fatto pervenire dallo sconosciuto salvatore, purché si presenti!”

La notizia sollevò il morale dello spaccapietre, che si alzò e si mise in cammino verso il Municipio della grande città.

“Gli chiederò la grazia di darmi lavoro come spaccapietre in questa città.

È grande e ne avrà bisogno.

E inoltre di permettermi di trasferire con me anche mia moglie e mia figlia e di trasmettere la mia arte e il mio mestiere a mio figlio, come da trentotto generazioni avviene nella mia famiglia.

E di farmi vivere contento finché non sarò sepolto.”

Al Municipio lo spaccapietre fu ammesso a colloquio ma non fu creduto.

La storia che raccontò sembrava combaciare con quella narrata dalla figlia del Gran Magnate del Tabacco, ma chi la raccontava era troppo vecchio per una simile opera, gli rispose il Sindaco in persona, e troppo stolto.

“Le assicuro che ero proprio io, sulla montagna…” disse lo spaccapietre.

“Basta così! L’accuso di attentare al buon nome della città, nonché alla mia buona fede personale e a quella del Gran Magnate del Tabacco.”

Così dicendo il Sindaco chiamò le guardie e lo fece rinchiudere in galera.

La notizia dell’arresto corse in fretta per l’intera città e anche oltre:

Un vecchio spaccapietre, licenziato dal suo lavoro per inedia, ha rivendicato il salvataggio della giovane figlia del Gran Magnate del Tabacco.

Fonti ben informate raccontano che, per la sua buona azione, abbia chiesto in ricompensa una casa, un lotto di terra, un conto milionario in una banca fuori paese, un posto alle Poste per il figlio debosciato, un marito barone per la figlia svergognata, una pensione d’invalida per la moglie nullatenente e per se stesso una vasca idromassaggio, un cane di razza e un’amante fotomodella di non più di ventidue anni.

È stato arrestato per menzogna acclamata”.

Fortunatamente i giornali pubblicarono anche la sua foto.

La città ci sputò sopra ma l’infermiera che quella mattina aveva accolto la ragazza lo riconobbe e testimoniò per lui in tribunale.

Il pianto della giovane donna salvata, nel sentire la voce dell’anziano spaccapietre mentre raccontava ancora una volta tutta la storia, fu la prova decisiva della sua buona fede.

Il Gran Magnate del Tabacco pianse con la figlia e gli regalò una scatola di sigari in legno d’abete.

Dopo quindici mesi lo spaccapietre di Vergny venne così rilasciato con le scuse della Magistratura, del Tribunale, della Corte, del Guardiacella e del Sindaco in persona.

“Mi chieda qualsiasi cosa: ho con lei un enorme debito da saldare!”

Lo spaccapietre non sapeva più cosa chiedere.

In tutto quel tempo il figlio aveva trovato un buon lavoro come netturbino, la figlia si era fidanzata con un promettente banchiere figlio di banchieri e lui era invecchiato a vista d’occhio.

Adesso le pietre le poteva solo carezzare.

“Vorrei tornare a casa, e niente più.”

Il Sindaco crollò di schianto.

Stava preparando la sua ricandidatura al seggio più alto della città e voleva presentarsi ai suoi concittadini con un gesto di grande impatto emotivo.

Tirò le somme e pronunciò:

“Se non chiede nulla le darò io qualcosa.”

Così detto tirò fuori da un cassetto una grossa chiave d’oro.

“Le consegno le chiavi della città!

Da oggi sarà questa la sua casa!”

“Il Municipio?” chiese il vecchio spaccapietre, ingenuamente.

“Ma no!” proseguì il Sindaco ridacchiando:

“La città intera.

Scelga una casa e sarà sua.

Un giardino e sarà suo.

Un pezzo di terra e sarà suo.

Al resto penserò io, purché si sappia.

Le farò avere un congruo compenso e una congrua pensione.

Il tutto a spese del paese.

Lo spaccapietre ringraziò per l’offerta e scelse la casa più modesta.

La scelse perché da ogni finestra si poteva vedere la montagna.

Che poi avesse un solo bagno, due stanze e una cucina non gli importava.

Si fece fare pure una rimessa per i suoi attrezzi e le sue pietruzze.

Già si vedeva a fabbricare piccoli portavasi in marmo sotto l’ombra di un pino nei pomeriggi estivi.

Quindi invitò la moglie a raggiungerlo e maritò la figlia e il figlio; e tutto proseguì per il meglio.

La conclusione, dopo tanti anni, si può ancora leggere nella targa affissa a Estimj in Piazza Mastù, proprio di fronte al Duomo:

“Qui riposò un giorno lo spaccapietre che spostò una montagna, salvò una donna e recitò canzoni per il carcere circondariale.”

Considerazioni personali:

Cosa dire di questa storia?

Dice tutto da sola.

Lo Spaccapietre, senza aver fatto corsi, senza aver assistito a nessun seminario o convegno, senza aver seguito gli insegnamenti di nessun Maestro e senza aver letto nessun libro, era un Essere realizzato interiormente. Maestro di se stesso…

Mi ricorda tanto il barcaiolo di Siddharta…e mi ricorda anche un ciabattino che conobbi molti anni fa.

Anime evolute nella loro Umiltà, Onestà, Saggezza…

Ne trovi pochi in giro…purtroppo…

La vita invece pullula di tanti asini con la cravatta…

Un abbraccio di Luce e Pace

buon fine settimana per tutti

con Amore Francesco

das Atmananda (G.B.)

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