Da Sicilymag del 6 novembre 2021
Il pessimismo ragionato di Salvatore Massimo Fazio: «La vita non devi per forza indovinarla, puoi anche sbagliarla»
LIBRI E FUMETTI Psicopedagogista, giornalista, scrittore, filosofo, le mille anime dell’autore catanese convogliano in “Il tornello del dileggio”, primo romanzo della sua carriera intellettuale pubblicato da Arkadia. Teorico del pessimismo ragionato Fazio ama travalicare gli assiomi morali, sociali e culturali del pensiero collettivo liberandosi del principio di maggioranza. Tra i protagonisti del romanzo Paolo «un misantropo socievole che inchioda i viscidi e le carogne che disturbano il quieto vivere»
Cos’è il nichilismo? Lo sbriciolamento dell’universo alla finitezza del momento, la riduzione della vita passata, attuale e futura a piccoli, distinti, quasi insignificanti attimi di sconclusionatezza quotidiana del vivere ciclico. Salvatore Massimo Fazio è il precursore nonché studioso della seguente tesi filosofica: “nichilismo cognitivo”… O come lui stesso preferisce ribattezzarlo, il pessimismo ragionato: travalicare gli assiomi morali, sociali e culturali del pensiero collettivo liberandosi del principio di maggioranza e di autorità che spesso attanaglia i sistemi scolastici e accademici di mezzo mondo. Vuol dire, questo, lasciar andare tutto quel che si è appreso e vivere esclusivamente secondo le proprie supposizioni? Quasi, quasi.
Fazio continua la sua lotta contro le pieghe della mente comuni ai più, e dopo “I dialoghi di Liotrela” (C.u.e.c.m., 2005, scritto in collaborazione con Giovanni Sollima), “Villa regnante”(enricofolcieditore.it, 2009), il manuale poetico-aforistico-digressivo “Insonnie” (C.u.e.c.m., 2011) che lo ha reso noto al grande pubblico, non con poche polemiche e “Regressione suicida”(Bonfirraro Editore, 2016), si dimostra all’altezza del premio “Uomo siciliano dell’anno” di cui è stato insignito nel 2019 con il suo nuovo trattato romanzato sulla natura umana “Il tornello dei dileggi”, edito da Arkadia Editore, in uscita l’11 novembre e di cui l’autore ci parlerà durante la prima presentazione del suo romanzo, in calendario il 13 novembre alle 18.30 all’Auditorium del Centro Sempre Verde in via Dante Maiorana 11/A a Sant’Agata li Battiati (dialogherà con lui Leonardo Lodato, caposervizio alle pagine culturali del quotidiano La Sicilia), per poi avviarsi in un tour nazionale che partirà da Lamezia Terme il 3 dicembre.
“Il tornello dei dileggi” è un romanzo divertente a tratti esilarante e che commuove, costellato di altrettante situazioni esilaranti continue che si incrociano con il vissuto reale di ogni persona e che sfociano negli interrogativi di base dell’esistenza. La vicenda si svolge a Madrid, Roma, Torino e Catania, e vede un gruppo di personaggi i quali, sfiniti dai continui capovolgimenti di fronte si troveranno alla fine a chiedersi chi siano in realtà, fino a giungere ad una conclusione inaspettata, degna della prima professione dell’autore, che è uno psicopedagogista. Fazio muove i destini dei personaggi calandoli nella società, nella politica, nelle realtà più crude e, a volte, divertenti.
La tua carriera letteraria è segnata da molte opere che quasi mostrano (correggimi se sbaglio) una progressione nella tua tesi del dolore, e per quello che ho letto su “Regressione suicida”, “Il tornello dei dileggi” non sembra altro che una messa in pratica della teoria del suicidio giornaliero che esponi nel tuo penultimo saggio. Confermi?
«Chiarisco subito che ciò che definisci il “suicidio giornaliero” è allusivo all’opera precedente (“Regressione suicida”, nda) e non punta a un suicidio fisico, né all’assenza di volontà, bensì ad una retroazione per purificarsi da sovrastrutture e dipendenze intellettuali. Ho conosciuto persone che prima mi sembravano geniali, per poi sapere che altro non erano che malati, ma proprio malati che mescolano alcolici e psicofarmaci, che fanno parte di quelli che affermano “Io so chi è Dio e lo conosco!” o di quelli che pendono dal pensiero di un pittore, di un filosofo, di un poeta, di un cantante… Addirittura parlano con le parole di questi artisti, ripresi da un’intervista, da un video in rete. Detto ciò, rispondo: no, il tornello è una verità falsata e di farsa… Certo, lo scoppiettare di un “pessimismo ragionato” appare, così d’improvviso, perché non sono un giallista, e se un colpo di scena deve esserci deve essere quasi veritiero, se non del tutto veritiero: il colpo di scena deve essere costante tra l’altro».
Paolo, il protagonista del tuo romanzo, è un filosofo, scrittore, giornalista e psicologo, oltre a essersi guadagnato il nomignolo di “maestro” tra gli amici: non so perché, ma mi ricorda qualcuno… è possibile?
«Non saprei. Dato che i protagonisti in verità sono sei, diciamo quattro cui se ne aggiungono altri due».
A metà tra il misantropo e il socievole, misogino che ama le donne, comunista ma di destra, Paolo non prende una posizione ma vive a modo suo. Cosa lo rende ciò che molti descriverebbero come l’eterno indeciso?
«È una piccola parte di un bel gioco che mi son divertito a realizzare su uno dei personaggi. Quello che citi come protagonista non è indeciso, è tutte queste cose. Parafrasando e ricordando il buon Carmelo Bene, “la vita non devi per forza indovinarla, puoi anche sbagliarla”. E con Emil Cioran ti dico che “tutto ciò che è conoscibile, non merita d’esserlo” (o qualcosa del genere…). Tolti questi esempi, sono d’accordo con le indecisioni se sortiscono nuove vedute… Se pensi che figure professionali del comportamento e della mente, strumentalizzano le loro tesi per fare buona terapia, frattanto il senso di colpa le devasta… Preferisco aver creato un misantropo socievole ma che inchioda i viscidi e le carogne se disturbano il quieto vivere. È sempre molto pesante sentir dire “‘ragioni’ (o ‘vivi)’ tutto a modo tuo”: vorrei capire quali sono i modi che ‘non sono tuoi’. Una nota: c’è chi mi chiama “destrista”, perché miscelerei il bene della polis ideologica, non mi spiego ancora perché non mi chiamano liperista o cuffarista, dato che mi piacciano molto le idee concrete di questi due esponenti democristiani».
Si potrebbe dire che “i modi che non sono tuoi” rientrano tra quelli che tanto vengono criticati dalla tua teoria, il costante fare riferimento ad altri ingannandosi nella costruzione di un sé che non avrà mai un’impronta propria ma dipenderà sempre da qualcun altro… Dici “Mi ritrovai in un ambiente in cui per avere popolarità da occupante, iniziai ad essere di parte; poi avrei anche spostato il bersaglio”. Dunque è tollerabile, questo atteggiamento?
«In primis: sì, sono messaggi per far capire che abbattere le sovrastrutture è necessario. Non devi piegarti al parere o ai modus facendi di altri per sentirisi parte di un gruppo, che magari ti sputtana e raggira. Quando al “Mi ritrovai… etc etc” non sono io a dirlo, è ciò che faccio dire a uno dei personaggi che chirurgicamente è riuscito a liberarsi da quella dipendenza che inizia con la teoretica della “Regressione” e trova il suo compimento in questo divertente romanzo. Io alla fine scrivo per tutti e non solo per coloro che mi dicevano che le mie tesi filosoficche accompagnata dalla mia esposizione erano inaccessibili ai più».
Affronti piccoli cenni di tante sfaccettature di questo Paese: il sentirsi stranieri a casa propria, la sovrappopolazione, il razzismo e il fascismo latente di tanta “gente bene” e rispettabile e la condizione femminile nella realtà europea degli anni ’80. Credi che siano gli anni, la musica, l’arte, il dolore dell’ambiente circostante, che hanno visto evolvere Paolo nella persona che leggiamo oggi tra le righe? Dico: avrebbe sviluppato un pensiero diverso, se avesse vissuto i suoi anni d’oro nel terzo millennio?
«Hai dimenticato la cocaina che arriva in Italia negli anni ’80. Hai ricordato, però, l’importanza della donna, che è cosa diversa dal femminismo contemporaneo che conosco, mentre quello degli anni ’70 l’ho solo letto, studiato, ma mai vissuto. In merito al fascismo non alludo alla “gente bene e rispettabile” bensì a persone per bene, brave persone insomma, che se (io ho giocato sull’esagerazione, ampliando il tutto) politicamente votano a destra o al centro, dove una volta si collocava la storica Democrazia Cristiana, vengono con facilità emarginate, e poi pensa da chi… Da gente che ti sembra amica e poi crea un componimento artistico intento a infangarti. Quanto al dettaglio della domanda su Paolo, mi è doveroso innanzitutto portare in auge i personaggi del format “Il tornello dei dileggi”: sono anni, musiche, arti e dolori che ognuno dei quattro vive a modo proprio senza che si erga un cambio generazionale: sono dei puri e in quanto tali non hanno bisogno di allinearsi con tendenze e mode. Ma l’amore fa fare cose, a Paolo, che sconosceva le medesime cose, lo porteranno ad evolversi; ecco perché dirà ad Adriana che poco gli importa di stare nei luoghi giusti al momento giusto: vuole amare, perché l’ha amata forse prima ancora che nascesse, e continua a farlo».
Paolo sembra evolversi nuovamente, grazie alla storia con Adriana; a tratti rielabora la propria posizione nei confronti della propria vita e della realtà tutta per vederla in modo diverso, nuovo, passionale, possessivo ma curato, fin troppo curato tanto è che collassa, a un certo punto: è dunque l’amore, la cura per il pessimismo ragionato?
«Sì, è l’amore, se ovviamente non ti trovi un’ipocrita davanti, o un presuntuoso, che a tutti apre con gentilezza e amorevolezza, ma quando deve farlo col proprio partner esce le grinfie – e che che grinfie: i malesseri del suo vissuto e allora si erge a conoscitore assoluto e detentore della verità ontologica».
C’è ancora speranza per il Paolo che vive dentro coloro che hanno scelto di non seguire i paradigmi introiettati da altri e che avvertono la pulsione di forgiare un mondo a loro immagine e somiglianza?
«Tutti sono Paolo, tutti! Riprendendo il discorso precedente ti ricordo che anche i “certi” forgiano questo mondo a loro immagine e somiglianza».
Una domanda personale: sei ancora certo che la categoria degli assistenti sociali sia inutile?
«Non più, appartiene ad una esperienza lunga di lavoro e l’ho ricamato pure questo concetto nel romanzo, e non mi sono preoccupato di raccontare peste e corna dell’assistente sociale che era di genere femminile. Chi mi dirà maschilista, se lo intende in quest’ottica, avrà indovinato. Chi invece comprenderà che si parla di un caso isolato che era di sesso femminile e che mi è andato di metterlo nel romanzo senza cambiare il genere, non mi accuserà. Per dirti, io lavoro con una Assistente Sociale che adopera il suo lavoro in maniera perfetta: potrei mai andarle contro? Evoluzione o involuzione sono cambi importanti e radicali che conditi con certa fiction, le alleggerisci e regali risate… In cambio di 15,00 euro che non vanno manco a me che sarei l’autore».
E ride Fazio, stavolta…