Da Letteratitudine dell’8 novembre 2021
IL TORNELLO DEI DILEGGI di Salvatore Massimo Fazio (Arkadia): incontro con l’autore
Salvatore Massimo Fazio è nato a Catania nel 1974. Scrittore, filosofo, giornalista, agitatore culturale e pittore, collabora con il quotidiano nazionale “La Sicilia”, il web magazine “SicilyMag” e il mensile catanese “Paesi Etnei Oggi”. Nel 2014 ha fondato il blog “Letto, riletto, recensito!”
Dopo aver aver pubblicato vari saggi, torna in libreria con un romanzo, in uscita l’11 novembre per i tipi di Arkadia, e intitolato: “Il tornello dei dileggi”.
Il romanzo sarà presentato in anteprima nazionale, sabato 13 novembre alle ore 18:30 presso l’auditorio Centro sempreverde in Via Dante Maiorana, 11/A a Sant’Agata Li Battiati. Dialogherà con l’autore il giornalista e scrittore (nonché responsabile della pagina Cultura del quotidiano La Sicilia) Leonardo Lodato (locandina in coda al servizio).
Abbiamo chiesto a Salvatore Massimo Fazio di raccontarci qualcosa su questo suo nuovo libro…
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«L’esordio alla narrativa per me è una novità quasi assoluta e dico quasi perché con due racconti sono presente in due antologie (“Catanesi per sempre” e “Siciliani per sempre”, Edizioni della sera, 2019 e 2020)», ha detto Salvatore Massimo Fazio a Letteratitudine, «racconti questi che daranno un’impronta su stili e metodiche della mia scrittura. Non mi sono mai sentito in grado di scrivere un racconto o un romanzo, piuttosto è invece col saggio che ho avuto un buon rapporto che mi ha sorpreso per risultati inaspettati (nel 2017 essere finalista al premio nazionale per le nuove tesi filosofiche non è cosa da poco). Fatta questa breve premessa mi piace ricordare invece come nasce ‘Il tornello dei dileggi’, dove venne conservato, quando vide luce, il tutto dopo più di 174 rivisitazioni, e non scherzo: furono 174.
Iniziamo: “Voglio scorgere dalla finestra la Mole Antonelliana”, era il titolo che avevo dato a questo dattiloscritto che il mio agente, dopo avermi accostato uno scrupoloso maestro di editing, rappresentò a più editori. La scelta caduta su Arkadia non poté che emozionarmi: scritto in tempi brevi, 2 giorni, questo romanzo, che risale a più di 7 anni fa, approdava all’editoria indipendente che annoverava già 4 suoi testi in diversi anni del Premio Strega. È una grande motivazione, anche se col tempo ho notato che i premi, in verità, non sono pilotati, ma vivono di sudditanza psicologica verso nomi di edizioni di lunga storia, un po’ come accade nel calcio: l’altra squadra di Torino, quella che non porta il nome della città da quando esisto, almeno un massiccio 80% delle sue conquiste sono da spartire con la sudditanza dell’ex uomo in giacchetta nera. Saturo di fallimenti relazionali e colto da fobie sociali sulla scia delle ipocrisie alle quali assistevo, mi piacque rintanarmi in casa se non muovermi solo per svolgere la mia prima professione di psicopedagogista e/o di pedagogista clinico. Lo spunto dal quale è nato è stata una mia amica, che aveva l’arroganza di definirsi una detentrice della conoscenza assoluta: sapere, dopo aver stretto relazione, che il suo era un disagio che mirava a capire da oltre 25 anni nei lettini di più psicoanalisti mi diede la chiave e lo spunto per scrivere. Raccolsi elementi del sociale, dalla musica dei CSI che ti penetrano e ti devastano lasciandoti però un benessere mai provato, alla goliardia di scorribande raccontatemi; ma anche di diffamazione ricevute perché mi permisi di intervistare il biografo di un cantautore famoso del quale diceva che non lo riconosceva più nella comunicazione: fui minacciato, anche di morte e fino a lì tutto andava bene. Quando minacciarono i miei genitori ed io ero fuori Catania, non andò più nulla bene: dunque incrociai alcuni di questi sigg.ri scoprendo poi che erano malati mentali, gente che vive pendendo dalle citazioni altrui. Uno addirittura, ancor oggi si erge a maestro incontrastato che è unico nel riconoscere cosa è divino. Insegnano, scrivono, devastano: socialmente pericolosi. Dunque cosa faccio? Sovverto le loro vite e aggiungo alla prima stesura, in toni goliardici, dei personaggi che gli somigliassero, dove il messaggio è quello di guarire, di essere se stessi, di non millantare verità, tra l’altro dando del mitomane ad uno che invece consegna verità, perché i nodi vengono sempre al pettine. È il gioco della vita, e lo racconto attraverso un gioco: il calcio dove subentrano personaggi quali Darko Pancev, Vincenzo Montella, Zeman, Spalletti, Guidolin, la Roma e il Catania. Non mancano viaggi e luoghi e che solo a ¾ del libro si scoprirà avere una magia in comune: ma cosa è questa magia? L’amore? Le montagne? Il sogno? Il riposo? La sveglia che suona? Il palco dove nel format ‘Il tornello dei dileggi’, quattro personaggi sovvertono il modo di realizzare gli spettacoli da show, modificando le vite degli spettatori? La condizione della donna nel lavoro che non è per nulla femminista aggressiva e violenta quanto abbastanza manipolatrice? Nessuno di tutti questi. Vi lascio la sospensione di ogni giudizio, perché non è il finale, ma è tanto ancora di ciò che ho provato nella tipologia della narrazione che scoprirete. Questo ambaradam mi ha sollecitato a dimostrare una tesi essenziale: fino a che punto vi può essere sviluppo tra gli umani se si è sempre pronti ad attaccare l’altro solo perché afferma una sua tesi e lo fa magari con tutte le ragioni di aver approfondito ricerche e studi? Ambientare su questa scia e in luoghi reali dei fatti, mi ha divertito a stravolgere la serietà di eventi trasformandoli in goliardici, ecco perché il titolo diventa ‘Il tornello dei dileggi’. Una ruota che gira ma che si può inceppare dove chi accusa, non vede che è lui stesso già inceppato. Certo non manca la fantasticheria che ha contraddistinto anche la fondazione della tesi del pessimismo ragionato (da molti chiamato ‘nichilismo cognitivo’), che esordì con alcuni aforismi violenti. Non mancano i riferimenti alle angosce, non manca il riscatto della pedagogia verso coloro che esaltano solo la psicologia (dimenticando magari le adl) e non manca infine, ciò che sempre è stato presente nei miei libri, anche se i precedenti sono sempre e solo saggi, dunque il terrore di entrare su un aereo; l’amore sconfinato per il calcio nelle squadre di Catania e Roma; l’amore improvviso che gli uomini riconoscono di provare per l’altro ma che si bloccano nel praticarlo perché hanno vincoli che glielo impediscono (sovrastrutture?). Tra ambiguità e senso del dovere nel lanciare messaggi importanti, i protagonisti di questo romanzo fanno divertire il pubblico di lettori che ad oggi ha avuto modo di averlo in anteprima, così come alcuni addetti ai lavori che hanno concluso, tutti e non quasi tutti: tutti dicendo “mi ha scioccato questa parte, cosa partorisce la tua mente contorta?”. Ho risposto “niente, dato che ti sei sbellicata di risate, frattanto che riflettevi. L’importante è scrivere e riuscire ad arrivare a più persone possibili per dare una visione di un altro lato del prisma che quotidianamente pratichiamo: la vita”».
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Un estratto del libro: “Il tornello dei dileggi” di Salvatore Massimo Fazio (Arkadia) [dal capitolo 5]
Il tornello dei dileggi nasceva a Catania per volontà di quattro illustri personaggi ai quali la città aveva riconosciuto dei soprannomi: Aristide era il diavolo, Franco il musico, Paolo, ovviamente, il maestro e Andrea il saggio.
Il format era centrato sul modus vivendi di ognuno dei quattro riguardo agli argomenti in scaletta. Il tutto condito con approvazione eccessiva o disapprovante dileggio del pubblico che veniva sollecitato e aizzato da infiltrati, amici dei quattro.
Paolo, quel 31 luglio, non aveva né sentito né visto Adriana.
Nel pomeriggio si era recato al Monz, gran locale con spazi per cenare, fare arte, concerti, un luogo di aggregazione per la città, e con il saggio s’era soffermato bevendo una birra e scambiando qualche opinione sullo spettacolo prossimo e altre futilità varie.
Un sms interruppe la conversazione: “Vengo al tornello stasera?”.
Il messaggio suonò strano. Anomalo. “Perché mai non dovrebbe?”, pensò Paolo. Rifletté per qualche minuto pensando che in effetti qualcuno percepiva la solarità di Adriana e magari la stessa ne pativa. E questo qualcuno era proprio Andrea, detto il saggio, che le chiese cosa le accadesse di bello e di nuovo. Lei aveva confidato, senza imbarazzi e con gioia, che il bello e nuovo erano ciò che quell’uomo le dava. Un risveglio dei sensi. Andrea non era poi così tanto saggio e Paolo sorbiva molto le battute fuori luogo di quel cinquantenne sull’idiota andante.
Il format iniziò e subito dopo le presentazioni, tra il brusio del pubblico, il saggio con voce stridula irruppe a chiedere, prima ancora che il musico, improvvisatosi moderatore per quell’incontro, finisse di elencare gli argomenti. «Maestro, ma lei come fa a scegliere le persone… Tutti le vogliono bene e contra lei riesce pure a farle stare bene?»
“Dannato saggio”, pensò Paolo, “sempre a mettermi in difficoltà, e per chissà quale motivo”.
«Caro saggio, lei non sa che sto parando il culo a molti, lo chieda pure al moderatore, gli chieda come sono intervenuto a salvarlo da brutti marpioni che facevano tanti bei discorsi al fine di pubblicare quelle cazzate che ha scritto per poi scoprire che erano fittizi editori, di quelli che ti chiedono una montagna di soldi e spariscono nel nulla.» Un po’ impacciato, perché l’uscita del maestro fu fuori luogo, il moderatore non poté che annuire.
«Al maestro nulla si può dire, si immola per le cause… Ma vada avanti, ci illumini, perché la domanda del saggio è importante.»
«Ecco, io…», una pausa di silenzio nel rumore crescente all’esterno della location, una piazza tra le più centrali della città, «proseguirò l’opera del saggio, non in quanto padre, madre, fratello o sorella. Guardatelo», rivolgendosi al pubblico, «come è luminoso. Io l’ho scelto e lui è ben pettinato, sempre incolta la barba, però curata. Scusate un attimo devo farmi abbracciare come giorni fa… Mi prendo un po’ di energia ché da quest’uomo assorbo sempre troppa merda.» Intervenne stavolta il moderatore, riprendendo la sua parte con un cipiglio luciferino che però lo portava al fallimento dello stesso ruolo che aveva impersonato per quella voglia di apparire.
«Ma che modi! Si era in accordo che bisognava far arrabbiare il maestro e finisce ad abbracci qui?»
Il pubblico gradì, manifestandolo con applausi.
«Lei sarebbe uno che unisce, caro saggio. Anzi, per dirla meglio, lei unisce. Unisce me che mi sorbisco il suo sudore puzzolente e lei il mio che la rende pulito e forse la fa scadere un po’ nella miseria delle sue inutili invettive e battute, donde, se si ride, sappia che è grazie a me, non a lei.»
La platea gelò. All’improvviso esplose un applauso con sembianze di boato a incoraggiare Paolo che si poneva raffinatissimo nelle risposte, ma molto tagliente. Così piaceva, seppur diverso dal solito.
Adriana non c’era. Paolo, con lo sguardo proiettato oltre il pubblico, la cercava. “Potrebbe anche apparire, poi sparire, fare una visita, anche nascondendosi tra la folla per poi andarsene”, pensava e sperava.
Il format proseguiva.
Una signora del pubblico chiese di intervenire con una domanda per il maestro. Risate, considerando che il 90% delle domande erano rivolte sempre a lui. Solo a lui.
«Ecco qui il microfono, faccia, chieda pure…»
Il valletto vestito da nazista prese il microfono dal moderatore per consegnarlo alla signora, ma in un nanosecondo intervenne con la sua voce inimitabile sempre lui, quel gran disturbatore della serenità di una coppia che stava nascendo: il saggio. «Un attimo solo, devo replicare. Preferisco che lei maestro non prosegua la mia opera ma che rimanga un romanzo, lei è un romanzo… Prego signora.» Fece il gesto e porse il microfono che stavolta il valletto riuscì a consegnare.
Gli animi si scaldavano sul palco, con il paradosso del gelo che si stava producendo tra i due ospiti.
La signora, con voce chiara, volgendosi in parte al pubblico e in parte verso il palco dove stava Paolo, destinatario della domanda, chiese: «Maestro, lei, lo si vede da questa parte e credo lo vedano anche i suoi compagni accanto, specie il diavolo, lei ha un’aura mistica, la si scorge sulla sua testa.» Risate e applausi. Paolo allargò le braccia per poi congiungere le mani come per ringraziare con tibetano rispetto. E poi ancora, incalzante, la stessa donna dalla platea: «Lei è stato un militante della sinistra indipendente. Prima che iniziasse lo spettacolo, alludendo al format, una persona qui del pubblico, che non oso indicare, ha raccontato che ha scritto una canzone della durata di 11 minuti, un nuovo canto popolare comunista, giunto addirittura in Rai tanti anni fa. Poi? Poi si è volto a destra a difesa di alcuni, Evola e il suo esoterismo per esempio. Ma ci dica: lei ha mai pensato di farsi monaco?»
La domanda era ben preparata ed elaborata, tutto corrispondeva al vero. Avevano messo in crisi Paolo che sino a quel momento era stato stoico.
E invece no! Pronto, con una delle sue infinite smorfie agganciò il microfono, riportato dal valletto al moderatore, e replicò: «Rispondo in ordine.»
Ma un altro elemento di disturbo irruppe, fu il diavolo che, strappando il microfono dalle mani del maestro, intervenne goliardica- mente: «Sia clemente signora cara, lei ce lo vuole togliere e relegarlo in un monastero?»
Altri applausi e risate dal pubblico. Due fischi e un urlo inneggiavano all’attesa risposta del maestro.
Lui guardava con interesse. Si alzò e, dirigendosi verso un bel ragazzo, gli sussurrò qualcosa all’orecchio destro. Il giovane scattò in piedi quasi avesse ricevuto un ordine militare e, porgendogli la mano, si presentò.
«Onorato maestro, davvero onorato, mi chiamo Andrea.»
«Anche lei si chiama Andrea? Spero non sia viscido come quel saggio seduto al mio fianco.» Poi s’allontanò e, volgendo il proprio indice della mano destra a uno che qualunque non era e attaccandolo, simpaticamente domandò: «Lei, sì lei, è messo male più di me! Col cazzo d’estate, come fa?»
Sempre ermetico, un po’ meno stavolta, sarcastico e sintetico, Paolo rese omaggio al dileggio e alla risata. Ancora applausi che sembravano telecomandati come nel Drive In degli anni in cui s’era fanciulli. Il moderatore lanciava sguardi al saggio e al diavolo come per chiedersi cosa stesse accadendo e interruppe: «Insomma maestro, ma che succede? Abbraccia, stringe la mano a Mister Andrea, dileggia con il signor Aiello. Sta mica prendendo tempo? Ci dia la risposta alla domanda fattale.»
«Certo, pessimo amico. Inizio a rispondere al nostro, vostro, caro saggio. Sia chiaro che io la sua opera non posso completarla, sarei troppo costruttivo se lo facessi. Io continuo la sua opera di bontà.» E, rivolgendosi allo stesso con sguardo serafico e con serietà accademica, proseguì: «Lei ne ha poco da campare lo sa?» Sistemò la giacca che lo infastidiva tra il grondar sudore nella calura catanese e continuò. «Signora, lasci stare il maestro comunista degli anni universitari, sa io sono catanese, come tanti studiavo Psicologia a Palermo, e mi ritrovai, durante una occupazione, a cantare e strimpellare. Conosco e so prendere soltanto tre accordi con la chitarra e solo in prima posizione, do, fa, sol, e mi spaccio per chitarrista professionista che però non si concede in pubblico.»
«Buffone, per questo odi la musica? E ne parli così male nel tuo ultimo libro?», burrascosa intervenne una voce femminile dal pubblico.
«Suvvia, signorina, suvvia, pensi a spenderli quei soldi, perché devo mettere su casa. Regali l’opera ad altri e mi insulti pure. La popolarità mi appartiene oramai. Da coglione a perdente, ma mi appartiene.»
Applausi e risate. Continuando nel tragicomico, il maestro era un fiume in piena.
«Signora, mi trovavo in un ballo greco, durante una occupazione nelle aule della Facoltà di Psicologia a Palermo, esattamente in quelle di via Pascoli. Mi fermai, presi una chitarra, feci due accordi dei tre conosciuti e mi uscirono delle parole: La ballata ironica del consiglio: mai o fascista? Comprenderà bene che mi trovavo in un ambiente in cui, per aver popolarità da occupante, dovevo iniziare a essere di parte, poi magari avrei spostato il bersaglio. Ci son voluti quindici inesorabili anni per riuscire non a dichiararmi di destra, ma a esaltare alcune doti destrorse. Pensi un po’ a gente come Travaglio, di destra si dice, ma prestato alla sinistra. Il brano fu scritto simpaticamente per una mia amica, figlia di un camerata abbastanza noto da queste parti. Studiava con me Psicologia, pertanto, come nota, io punto sempre a ispirarmi a congetture individuali e non sociali. La socialità mi interessa molto meno dell’individualità. Entro ed esco dove, quando, e quanto mi pare. Pagare, signora cara, pagare e ti comperi tutto! Comprarsi le cose e, volente o meno, sei dentro. Poi passa il tempo e diventi leader di una coglioneria alternativa tra gli alternativi che coglioneggiano. Spero d’esser stato esaustivo», fece una pausa e un silenzio assordante rilevò il brusio dalla strada e dalla piazza, «ma non ho finito, riguardo al monachesimo svelo un mistero. A quindici anni andai a Marineo, volevo visitare questo paesino pieno di nulla, e mi ritrovai in un monastero. Parlai con alcuni giovani futuri preti, frati o monaci che siano, non ricordo bene a quale toga cattolica ambivano, mi creda, dopo un mese fui dentro. Dopo un altro mese, fuori, per un motivo semplice. Il priore, tifoso del Milan che ha come simbolo il diavolo, parlava sempre male della Roma. Pensa che io potevo mai prendere i voti? Io che sono tifoso anche della Roma grazie agli spareggi che il Calcio Catania vinse nel 1983 allo Stadio Olimpico di Roma, dove i tifosi romanisti tifavano per la squadra della mia città? Non mi è mancata mai la coerenza. Lo sappia.»
Il pubblico rimase stupito. Silenzioso. Le risposte furono date, però c’era confusione in tutto ciò. Perché il maestro, al suo appunta- mento mensile a Il tornello dei dileggi, stavolta era così divertente ma anche disarmante? Nonostante tutto però nel passare il microfono al moderatore, in quel silenzio tombale quasi si fosse fermato il tempo, e anche lo scroscio delle automobili, improvvisamente ci fu un boato di applausi e risate di gusto per il personaggio maestro che, seppur di- verso a quest’appuntamento rispetto agli altri dove recitava sempre il ruolo del massacrato e seppur chiaro ma non sempre comprensibile, continuava a far parlare di sé.
E lo si vedeva pure con più simpatia.
In volto però il maestro era assente. Il moderatore asseriva che era sempre così, quasi svampito. Ma stavolta no! Mancava qualcuno. Mancava Adriana, che non c’era, e la causa forse era di quel messaggio di risposta scritto alla stessa: “Beh, se non vieni c’è di buono che non appaio coglione davanti a te e non abbiamo problemi per eventuali baci, dato che il saggio ti mette sempre ansia per quegli anni che hai avuto da vivergli accanto”.
Lei aveva preso subito la palla al balzo: “Ok, allora non vengo”. Ma era una scusante per non trovarsi in imbarazzo.
Non si è maestri per caso. Adriana era in condizione di malessere e Paolo aveva deciso di spezzare la lancia per salvarla dall’indecisione: “Tanto appena finisco ti chiamo e mi dirai se vederci”.
Il tornello si concluse, Paolo fece un inchino e se ne andò, divincolandosi tra le persone.
C’era Adriana ad aspettarlo e lo voleva e bramava di averlo, suo. Si vedranno. Faranno l’amore e anche le tre.
Rimasero abbracciati stretti, nonostante più la notte proseguiva più il caldo si faceva asfissiante. C’erano indecisione e fragilità nella solarità di lei. Pianse, poi rise.
Con lei, lui non era più maestro, ma Paolo. Paolo per Adriana.
(Riproduzione riservata)
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La scheda del libro: “Il tornello dei dileggi” di Salvatore Massimo Fazio (Arkadia)
Scritto con la mano di un nichilista ravveduto, “Il tornello dei dileggi” è un romanzo divertente a tratti esilarante e che commuove, costellato di altrettante situazioni esilaranti continue che si incrociano con il vissuto reale di ogni persona e che sfociano negli interrogativi di base dell’esistenza.
La vicenda si dipana in diverse città, quali Madrid, Roma, Torino e Catania, e impegna un nugolo di personaggi i quali, sfiniti dai continui capovolgimenti di fronte si troveranno alla fine a chiedersi chi siano in realtà, fino a giungere ad una conclusione inaspettata, degna della prima professione dell’autore: è uno psicopedagogista.
Né di formazione, né distopico, in un nuovo modo e originale di raccontare, Fazio muove i destini dei personaggi calandoli nella società, nella politica, nelle realtà più crude e, a volte, divertenti. Un dettaglio: come nei sui precedenti saggi di filosofia, non manca di inserire il giuoco del Calcio, nello specifico trasformando la Roma e il Catania, squadre per le quali tifa e articola tesi, come focus di un’avventura, in questo romanzo nel nome di Vincenzo Montella.
Dopo anni di saggistica, con non poche polemiche (si pensi a titoli come “Insonnie” o “Regressione suicida”), l’autore catanese approda alla narrativa con struttura e stile nuovissimi: Kafka e Beckett? Forse. Ma forse no.
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Salvatore Massimo Fazio è nato a Catania nel 1974. Scrittore, filosofo, giornalista, agitatore culturale e pittore, collabora con il quotidiano nazionale “La Sicilia”, il web magazine “SicilyMag” e il mensile catanese “Paesi Etnei Oggi”. Nel 2014 ha fondato il blog “Letto, riletto, recensito!”. Dopo la prima laurea (2002), pubblica nel 2005 I dialoghi di Liotrela. L’albero di Farafi o della sofferenza, con il poeta e scrittore Giovanni Sollima. Nel 2007 consegue la seconda laurea, con una tesi che afferma la potenza della pedagogia contro l’inflazione della psicologia. Nel 2009 vince il primo premio del concorso nazionale “Segni d’amore” e pubblica il pamphlet Villa regnante. Nel 2011 esce il libro che lo ha reso noto al grande pubblico, Insonnie. Filosofiche, poetiche, aforistiche. Nel 2016 firma il saggio Regressione suicida. Nel 2019 è presente nell’antologia Catanesi per sempre e, nel 2020, in Siciliani per sempre.
Ha vissuto a fasi alterne tra Catania, Roma, Eastbourne, Bodø, Torino e Biella. Presidente del comitato scientifico al Festival internazionale del libro e della cultura di Catania “Etnabook”, nel 2021 ha presieduto la giuria del primo contest regionale “Sicilia Dime Novels”.
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