Iacona il 29 giugno e Cusa il 2 luglio, doppietta Algra in copertina
BLOG Nella settimana da leggere dal 29 giugno al 5 luglio, Sicilia in copertina con Marco Iacona e contro copertina con Francesco Cusa ambedue pubblicati da Algra. Davide Vigore che narra la storia di Maurizio Schillaci, dalla serie A con la Lazio al baratro del barbonaggio (Augh!), Nikolai Prestia (Marsilio) e Carlo Barbieri (Ianieri) rafforzano la terra di Trinacria. Howard Owen per NN, Mariella Fiore per Ianieri, Giuseppe Manfridi per La Lepre, Giovanni Giudici e Aleksandr Puškin per Scalpendi arricchiscono la settimana
Una settimana caldissima quella da leggere dal 29 giugno al 5 luglio con le uscite degli editori Scalpendi, NN, Ianieri, La lepre, Marsilio, Augh! e Algra. Quest’ultimo si aggiudica con i siciliani Marco Iacona e Francesco Cusa i libri ‘copertina’ e ‘contro copertina’. Scopriamoli!
Le uscite di martedì 29 giugno
Aleksandr Puškin, Eugenio Onieghin nei versi italiani di Giovanni Giudici, Scalpendi edizioni
Puškin nacque a Mosca nel 1799, l’anno in cui, a Milano, moriva Giuseppe Parini; e se Parini aveva dato all’Italia il ritratto di un vanesio e dissoluto rampollo nobiliare, bollandolo con illuministico sarcasmo, Puškin avrebbe dipinto un “Giovin Signore” della società russa nel nuovo spirito che il romanticismo diffondeva in Europa e che, senza rinunciare all’ironia, puntava piuttosto però, e vivamente, sulle passioni del cuore. Così Eugenio, il suo personaggio, non è più una marionetta da ammaestrare e da mettere alla berlina, ma è un giovane che nella vita e nei godimenti della vita si muove destramente e che, se non manca di sventatezza e di qualche cinismo, non manca nemmeno di impulsi generosi e della capacità di capire i suoi stessi sbagli. Non sempre a tempo, purtroppo, e glielo insegna Tatjana, dolcissima figura che gli fa da contrappunto incarnando, contro l’allettamento di vane fantasie, i sentimenti dell’amore sincero.
La storia non è in prosa ma – si vorrebbe dire – in musica; fu l’autore stesso a parlare di «romanzo in versi» e a inventare una strofa capace di reggerne giocosamente la continuità. Quanto a Giovanni Giudici, che per anni si è dedicato a trasformarla «in versi italiani», ha scritto Gianfranco Contini che è stato «il solo traduttore che abbia comunicato qualche cosa del fremito straordinario di quell’opera apparentemente leggera e futile, ma di una futilità sublime, che è l’Oneghin. Uno, mi pare, dei capolavori dello spirito umano».
Aleksandr Puškin (1799-1837), di nobilissima famiglia, è considerato uno dei padri della letteratura russa e di una lingua rinnovata dall’innesto della parlata comune. Dapprima partecipe della vita mondana di San Pietroburgo, e più volte costretto all’esilio per la libertà di alcuni suoi scritti, fu autore acclamato sia di liriche e di poemi (Ruslan e Ljudmila, 1820; Il cavaliere di bronzo, 1833) sia di prose come La dama di picche (1834) e La figlia del capitano (1836). Scrisse per il teatro il Boris Godunov (1831, poi musicato da Musorgskij); la stesura completa del poema Evgenij Onegin fu pubblicata nel 1833. Morì in duello pochi anni dopo, nel 1837.
Giovanni Giudici, La vita in versi, Scalpendi edizioni
Dopo le prime plaquettes poetiche (L’educazione cattolica in particolare, 1963), è con questo libro che si afferma l’originalità della poesia di Giudici e del personaggio che, sostituendosi al tradizionale io poetico, animerà molti dei suoi versi con la miscela agrodolce dei suoi affetti e dei suoi risentimenti, delle sue convinzioni e delle sue ansie. È un personaggio che ha fatto pensare in prima istanza a Charlot, ma che, della vita che mette in scena, finisce per rappresentare assai più gli aspetti tragici che quelli comici, rivelando l’amarezza del suo ruolo di forzato attore.
Lo sfondo è quello del dopoguerra e della società del benessere in particolare; la dimensione è, più o meno velatamente, quella autobiografica che darà voce fin nelle ultime raccolte ai momenti più lirici della poesia di Giudici. Pianamente, ma con sofferta e tagliente lucidità, si racconta nella forma del verso la quotidianità di un’esistenza che, nel suo svolgersi tra casa e ufficio, tra doveri da assolvere e desideri inappagati, non rinuncia però alla propria dignità e fa, del suo riflettere sul mondo e del proprio muoversi nel mondo, confessione impietosa, cogliendo con il registro dell’ironia gli aspetti farseschi del vivere.
Sapiente, in questa rappresentazione, la capacità di coniugare le scorie della realtà, relegate di solito all’ambito prosastico del discorso, con l’uso di uno strofismo musicalmente caratterizzato e in particolare della rima. Due modi di segno quasi opposto e perciò ancora più significativi nel loro abbinamento; nella scena alterata e sconvolta dagli esperimenti della neoavanguardia degli anni sessanta, Giudici faceva emergere la dimensione problematica dell’esistenza senza rinunciare alla comunicazione, e riportando la poesia a quella leggibilità con cui non ha mai cessato di dare emozioni.
Giuseppe Manfridi, Anja, la segretaria di Dostoevskij, La Lepre edizioni
“Anja, la segretaria di Dostoevskij” è la straordinaria opera dello scrittore e autore teatrale Giuseppe Manfridi, vincitrice nella sezione Narrativa Edita della VII Edizione del Premio Letterario Città di Como e della I Edizione del Premio Dostoevskij. Il romanzo è stato inoltre selezionato per il Premio Strega 2020, presentato dallo storico dell’arte Claudio Strinati, che l’ha così descritto: «Mai banale, mai retorico, mai ostentato ma profondamente serio e convincente, un inno alla letteratura e all’amore, all’intelligenza e alla volontà». Nell’opera si racconta la turbolenta nascita del romanzo “Il giocatore” (in russo “Igrok”) di Fëdor Michajlovič Dostoevskij, e allo stesso tempo l’origine di una storia d’amore scandalosa e sofferta, che cambierà l’esistenza del grande scrittore russo. Anna Grigor’evna Snitkina (chiamata affettuosamente Anja) e Fëdor Dostoevskij amano la letteratura più di qualunque altra cosa al mondo, e in essa trovano il compimento del loro destino; quando egli decide di avvalersi di una stenografa per accelerare il processo di composizione del suo nuovo romanzo, non intuisce ancora che quella ragazza appena diciottenne diventerà fondamentale per la sua scrittura, e presto anche per la sua anima. I due protagonisti sono finemente caratterizzati, così come i numerosi personaggi secondari, donando loro una tale complessità emotiva da coinvolgere profondamente il lettore nelle loro vicende, eda emanciparli dal loro ruolo di finzione per renderli umani, vivi.Giuseppe Manfridi ci permette di osservare da vicino l’atto creativo di uno scrittore geniale in perenne lotta con i suoi demoni, provato da una vita di dolore, malattia e indigenza e che «porta la propria storia incisa ovunque nelle carni»; nel racconto della gestazione de “Il giocatore” l’autore esprime il tumulto e l’urgenza della scrittura dostoevskiana che, se da una parte erano insiti nella sua natura, dall’altra erano dettati dall’ingannevole contratto stipulato con il suo editore, il viscido F. T. Stellovskij, che aveva anticipato a Dostoevskij la somma di tremila rubli in cambio dell’accordo che se non avesse consegnato la sua nuova opera in ventisei giorni, avrebbe perso i diritti dei suoi romanzi passati e futuri. Sullo sfondo di una Pietroburgo magnificente e al contempo decadente e oscura, abitata da fantasmi che scorrazzano insieme ai vivi, e che accompagnano lo scrittore in ogni suo passo – «Sono i suoi morti e i suoi vivi, questi. I morti e i vivi di Fëdor Michajlovič. Nemmeno il diavolo glieli potrà sottrarre» – si mette in scena una raffinata biografia romanzata, caratterizzata da una scrittura visionaria che evoca magistralmente lo spirito di quei tempi; una storia intima e poetica che entra nelle vene e si mischia con il sangue, arriva al cuore e lì permane, testardamente attaccata alle sue pareti.Il romanzo verrà presentato il 25 Giugno alle ore 21,00 a Bologna, nel corso della rassegna culturale “La Collina delle Meraviglie”.
Libro copertina: Marco Iacona, Contro il giusnaturalismo moderno, Algra Editore
La migliore penna e il miglior pensiero italiano corrispondono al nome di Marco Iacona che martedì torna in libreria con un volume sul personaggio che più di ogni altro ha approfondito. Vi dedichiamo alcune citazioni riprese dal portale wikipedia. Nasce a Catania, città che palesemente non ama e che descrive, nei suoi peggiori difetti, soprattutto in un saggio dal titolo Malepasque: Catania immensa area grigia. Di colore grigio, di anime grigie. Centro di raccolta di una borghesia stracciona, di un sottoproletariato finto povero; agorà di un massimalismo rozzo e ostentato. Destino vuole che da qui al 2050 potrebbe perdere un terzo dei suoi abitanti: i fortunati andranno a respirare aria di libertà dove la libertà conta qualcosa. Qui a Catania con genuina immodestia se ne fa a meno. Città in “zona retrocessione” che smacchia le proprie lordure nella toilette di un paradosso tra i più singolari (qualora esistessero paradossi ordinabili). Si vuole portatrice d’una propria “cultura”, d’una propria specificità, introdotta a forza nel disordine di una storia antica e moderna traboccante privilegi. Un esibizionismo fideistico a volte (a volte) perfino inconsapevolmente terzomondista, orgoglio ed etichetta di un quotidiano “spiritualizzato”. (Incipit di Malepasque – Algra 2018).
L’aporia tra la corretta sudditanza verso il “polentone” e il non riconoscimento delle sufficienti qualità ai “continentali” (tipico di un “razzismo” primitivista), risolve da se stessa, a suo modo, la pratica della non ammissione (o autoammissione) nel girone delle individualità pensanti. La “classe unica” – incapace di catturare una dialettica di interessi – non si nutre di pensiero critico, ma di frasi fatte. Le intelligenze fenomenali (Vitaliano Brancati e Leonardo Sciascia come capilista) spingono imbrattacarte e romanzieri alla conquista di terre “irredente”. Al tempo stesso obbligano gli ipodotati al culto dei propri dispiaceri e all’ipostasi di un Io vagante. Pennaioli ben disposti eiaculano alla rinfusa montagne di presuntuose sentenze. Una città narrata e rinarrata fino allo sfinimento. Spremuta, consumata da “habitués” d’ogni genere e stato (Malepasque, cit , p. 12). A Catania si parlotta, non solo al buio, non in teatro. Capitale del vaniloquio e del politicamente “corretto”, dei manifesti e delle stime di massima. La politica è quell’inutile attività che inferisce all’utile disperso tra aree e caseggiati. Se si ha un’idea si organizza una conferenza, male che vada si parlerà di mafia. Dicono che un tempo fosse “cosa” per agrari e contadini, poi per appaltatori, oggi per finanzieri. Nello specifico – tenendo conto di etichette che non si rifanno a weberiane condotte sociali – l’accoppiata “destra borghese”/“destra ribelle” ha creato una montagna di illusioni: roba che Cristo diventerebbe uno dei tanti. Da una parte i mussoliniani (quelli che polemizzano sulla “buonanima”) e dall’altra i “travoltini” (ballerini sdrumati in cerca di rassicurazioni sulle possibilità di guadagno). Culturalmente sia gli uni che gli altri sono da pesce d’aprile (Malepasque, cit., p. 24) Catania soffre di gigantismo cerebrale. Condannata a risollevarsi in eterno mai partendo dal basso: dalle necessità della “gente”, dalle strisce pedonali in via Tal de’ Tali, dal cartello stradale o dall’abbonamento mensile. “Gente”: parolaccia, nevvero? No, Catania va “riformata” dall’alto. Con le chiacchiere e qui non ci batte nessuno. Coi “grandi” progetti con le “grandi” personalità, i “mega” eventi e le “stagioni estive” che danno più a chi dà e meno a chi riceve. Parlo di patenti di sensibilità e di stile, l’esposizione mediatica è peraltro scontata. (Sassi e Sacrilegi, Tabula Fati 2021, p. 37). Iacona viaggia, soprattutto in Italia alla ricerca di luoghi accoglienti. La sua patria sono le idee “difese” dagli uomini della sua generazione: la prima dopo la rivoluzione sessantottina. Si è soffermato anche sui problemi del liberalismo (dottrina) e sul colonialismo italiano prefascista. È stato uno dei collaboratori principali del quotidiano Secolo d’Italia dal 2006 in avanti. I suoi articoli venivano citati o letti quasi per intero su Radio3 Rai, durante la trasmissione mattutina Pagina3. Collabora attivamente al bimestrale d’ispirazione defeliciana Nuova storia contemporanea sul quale ha pubblicato un saggio su Julius Evola e il processo ai Far, rendendo noto per la prima volta l’esito reale del processo (Evola salvato da una amnistia, non assolto con formula piena). Conoscitore della cosiddetta cultura di destra in special modo nel periodo della contestazione, ma da sempre schierato per il superamento delle contrapposizioni destra-sinistra (“la guerra è finita da un pezzo”, afferma), ha riunito i suoi interventi più significativi nel volume del 2011 Album di un secolo (Rubbettino), una storia del Novecento per icone post-ideologiche, da Pasolini e Woody Allen ai Beatles fino a Domenico Modugno. Contemporaneamente ha proposto la rivalutazione della cultura popolare della generazione successiva alla “guerra civile” degli anni Settanta, una cultura che origina dalla radio dal cinema dalla tv e dai fumetti. E che in Italia ha reso superflue gran parte delle differenze regionali. Attualmente collabora alle pagine culturali de Il Giornale. Iacona è stato il primo italiano a intervistare Fabrizio Pulvirenti, il medico catanese guarito da Ebola.
Le uscite di giovedì 1 luglio
Davide Vigore, Fuorigioco, Augh!
Maurizio Schillaci, cugino del più famoso Totò, è stato un calciatore di grande talento e fantasia. Alla fine degli anni Ottanta ha avuto l’occasione di assaporare il successo dopo aver firmato un contratto milionario con la Lazio. La sua carriera è stata minata da un infortunio allo scafoide che l’ha fatto precipitare in un cupo vortice di eccessi, allontanandolo dalla famiglia e dalle luci della ribalta.Oggi, quasi sessantenne, Maurizio non ha sconfitto le dipendenze e vive a Palermo nel vagone di un treno abbandonato. Una visita inaspettata lo mette di fronte a un bivio, offrendogli la chance di fare i conti col proprio passato capitolino. Una possibile nuova ripartenza, nella speranza che qualcosa di buono possa ancora arrivare, magari quella leggerezza tanto ambita.Il romanzo è ispirato alla vita di Maurizio Schillaci, ritratto in tutte le sue sfaccettature. Un flusso di coscienza che affronta temi universali e attuali: cosa si incontra uscendo dai binari del successo, quali fragilità possono emergere quando la propria stella non brilla più. Riflessioni nude e crude su un percorso dannato e romantico, fuori dagli schemi e carico di un’irresistibile umanità.
Howard Owen, Il country club, NN Editore
Willie Black ricorda bene il processo di Richard Slade, un ragazzo nero che a diciannove anni fu condannato ingiustamente per lo stupro di Alicia Simpson, bianca e di buona famiglia, avvenuto nel country club più esclusivo di Richmond. Dopo quasi trent’anni di carcere l’uomo viene scagionato, e qualche giorno dopo Alicia viene uccisa per strada con tre colpi di pistola. Naturalmente gli occhi della polizia e dei media si posano su Richard, che non ha un buon alibi, ma Willie non è convinto. Così, mentre tenta di indossare i panni del padre responsabile per la figlia Andi, improvvisamente bisognosa delle sue cure, comincia a indagare, scoprendo che i Simpson nascondono torbidi segreti, e che il suo legame con Richard è molto più stretto di quanto immaginava.
Dopo Oregon Hill, torna l’indimenticabile giornalista Willie Black, alle prese con un caso segnato da razzismo e lotta di classe, che da sempre alzano mura invisibili ma palpabili nella città di Richmond. E spinto soltanto dal desiderio di giustizia che orienta ogni sua scelta, saprà aprire una breccia di speranza nel cuore della provincia americana.
Questo libro è per chi ha un bar di fiducia dove sentirsi sempre a casa, per chi è rimasto affascinato dall’estrema libertà di Thelma e Louise, per chi ha un nascondiglio segreto e inaccessibile dove riporre i tesori più preziosi, e per chi davanti agli amici più cari ha giurato solennemente di voler fare sempre la cosa giusta, anche a costo di correre dei rischi.
Howard Owen è nato in North Carolina, ma vive a Richmond, Virginia. Ha lavorato come giornalista per quarant’anni e ha scritto numerosi romanzi di genere. Con Oregon Hill, il primo libro della serie di Willie Black, ha vinto l’Hammett Prize, dopo scrittori come Elmore Leonard, Margaret Atwood, George Pelecanos e Stephen King. Il country club è il secondo libro della serie.
Nikolai Prestia, Dasvidania, Marsilio
Kola ha sette anni e, concentratissimo, studia una mela verde sul davanzale di una finestra. Fuori ogni cosa è bianca della neve appena caduta. I tetti della città si scorgono appena. La città dà su un fiume: è il Volga, nel pieno dell’inverno russo. Kola è orfano e vive con la sorella in un istituto. Ha alle spalle una storia di povertà, disagio e scarsa cura, se non abbandono. Quel bambino, che oggi ha trent’anni e abita in Sicilia, racconta la sua storia. In questo libro, l’istituto, i lunghi corridoi sempre vuoti – tranne quando i bambini e le bambine rientrano dalla scuola –, la famiglia d’origine, la madre giovanissima e senza aiuti, lo zio disperato e violento riprendono sostanza, e volti. Con la precisione di un reportage, Nikolai Prestia racconta la seconda metà degli anni Novanta e l’epoca post-sovietica nel loro aspetto più duro di miseria ed esclusione sociale, violenza domestica, alcolismo e droga. Descrive quegli anni con la disinvoltura di chi ne ha fatto esperienza, e con straordinaria capacità di osservazione. Questo libro però non è un reportage, è un romanzo. È una storia durissima, che sarebbe insostenibile se lo sguardo di Kola non compisse una specie di magia: l’immaginazione. Solo che l’immaginazione di Kola non crea mondi alternativi, non cerca vie di fuga, ma indaga il potere simbolico, poetico e quasi magico degli oggetti quotidiani: basta una mela verde per rendere nutriente quello che era solo cupo e doloroso, basta un paio di calzoni con le tasche per volare verso il futuro. Kola trova la forza di immaginare molto prima delle parole per esprimerla. E queste pagine in controluce raccontano anche la conquista delle parole. Prima del bambino che guarda, ora del ragazzo che scrive. Una lingua chiara, semplice, accogliente, nella quale si avvertono echi antichi e letterari. Ne viene fuori un’atmosfera dolce amara, a tratti dickensiana.
Dasvidania racconta del male e del dolore, ma anche moltissimo del bene: la zia che tira fuori i bambini dai guai, il direttore dell’istituto che per primo mette in mano un libro al bambino, e quel libro è L’idiota di Dostoevskij, e poi l’infermiera Katiusha – che stringe con lui un patto di speranza –, gli amici dell’orfanotrofio, ognuno con il proprio fardello di rabbia e vitalità, e infine i due maestri che adottano Kola e la sorella portandoli con sé in Sicilia e offrendogli un radicamento da cui potranno guardare avanti, e anche indietro. Con Dasvidania, Nikolai Prestia racconta come anche da bambini si possano amare tutte le memorie, non solo quelle felici.
Carlo Barbieri, Tre, Ianieri Edizioni
Tre è un thriller in cui tutto è fuori dal comune, come lo è del resto la Sicilia che gli fa da sfondo: un delitto “eccellente” inspiegabilmente connesso a omicidi di squallidi criminali, il sequestro atipico di un mafioso, la scomparsa di un antico teschio, il ritrovamento dei corpi in luoghi esoterici poco noti, l’ossessivo ricorrere del numero 3. Fuori dagli schemi è anche la coppia investigativa creata dalle circostanze: un commissario della Omicidi palermitano, Francesco Mancuso, e un tenente dei carabinieri triestino, Fabio Trevisan. I due indagano spalla a spalla fino a giungere alla serrata, incredibile conclusione… Anzi, tre.
Carlo Barbieri, siciliano, risiede a Roma dopo avere vissuto a lungo in Medio Oriente. I suoi gialli, di cui è sempre protagonista il commissario Mancuso della Omicidi di Palermo, hanno incon- trato l’apprezzamento dei lettori, della stampa nazionale e di siti specializzati, ricevendo anche riconoscimenti in manifestazioni come il Giallo Garda. Con EL/Einaudi Ragazzi pubblica da qual- che anno anche gialli per i più giovani.
Mariella Fiore, Allora resta, Ianieri Edizioni
Aria, come Clara, è meravigliosa: basta respirarla una volta e non vorresti separart- ene più. È come un balcone che si affaccia sul mare. Innocenza e amore, speranza e rassegnazi- one, coraggio e paura coesistono qui, tra le crepe che si inseguono sulle strade, ignor- ate fino a quando la frana si porta via l’intero quartiere dei pescatori con la sua chiesa. Ad Aria vive Amos. Ha solo otto anni e un cuore abitato da sentimenti puri, come l’amore per Clara, sugellato un mattino di giugno con un reciproco Lo voglio e lo scambio di due anelli di gomma dono della risacca, o la rabbia per l’uomo colpevole di avergli strappato il tempo, le storie, il mare, i sorrisi che lui avrebbe potuto condividere con suo zio, prima e con Clara, poi. Attraverso una scrittura dotata di eccezionale freschezza, che sembra dar vita a pen- sieri ed emozioni prima ancora che essi stessi prendano forma, l’esordiente autrice abruzzese, dall’osservatorio privilegiato della costa dei trabocchi, ci ricorda come ogni scoglio possa rappresentare un’ancora di salvezza, come le promesse nascoste dietro l’orizzonte aspettino solo l’alba giusta per sorgere.
Mariella Fiore vive e lavora a Vasto. È sposata con Claudio e ha un figlio, Jacopo. È pedagogista e psicomotricista, collabora con le scuole e si occupa di animazi- one e laboratori di lettura. Ma, come preferisce dire lei: tutti i giorni “fa la commedia” con i bambini. Ha una passione per la cancelleria, la carta scritta e quella da scrivere, il cappuccino e le risate.
Le uscite di venerdì 2 luglio
Libro contro copertina: Francesco Cusa, Vic, Algra Editore
Vic è un ragazzo-uomo, maturo-anziano, che vive la sua schizofrenica via di scrittore in un luogo immaginario del sud Italia: Cotrone. Il romanzo è una sorta di diario surreale scritto in prima e in terza persona, popolato da personaggi estremi d’una provincia estrema. Torna così il musicista scrittore e studioso Francesco Cusa che promette botti d’inizio estate.