Da Sicilymag dell’ 8 marzo 2019
Nunzia Scalzo: «Non credo al femminismo, la parità rispetta le diversità fra uomo e donna»
La giornalista e scrittrice catanese esce l’8 marzo con “Vite storte” (A&B editore) otto storie di donne siciliane vissute nel Novecento, storie diverse legate dal filo rosso del sangue: «La violenza in tutte le sue forme non riguarda il genere ma le persone, anche se è innegabile che le donne pagano un prezzo più alto. Noi donne non dobbiamo mai abbassare la guardia»
«Sono una che legge molto ma non amo le letture mielose di certi romanzi spaccapalle di oggi dove c’è sempre una che soffre e che poi riesce a spuntarla o, al maschile, uno che deve tenere a bada l’animale feroce e l’istinto ferino che ha dentro perché vuole copulare tutte le donne che vede o che incontra sul suo cammino. Cose da un lato superate e dall’altro inarrivabili. Basta leggere Elena Ferrante o Philippe Roth per annullare il resto».
La giornalista e scrittrice catanese Nunzia Scalzo torna in libreria con “Vite storte” (A&B editore), una raccolta di otto storie vere riguardanti fatti accaduti in Sicilia nella prima metà del secolo scorso dissociandosi da tutte le forme di femminismo estremista. E sulla funzione terapeutica della letteratura afferma: «Credo che la letteratura regali sempre qualcosa di etereo, di inesprimibile che, però, quasi sempre si traduce in azione, in un modo di essere e di operare che serve nella vita: “studiare mi è servito a questo, a calmarmi”, fa dire la Ferrante a Lenù. Ecco, io credo che la letteratura, e con letteratura intendo anche i testi di matematica e di astronomia per intenderci, serva a questo. Ad arricchire. A far vivere meglio. A regalare momenti in cui si entra in contatto con sé stessi in una maniera del tutto diversa. E non penso affatto che dentro ogni essere umano viva un orco, ritengo piuttosto che oggi gli individui siano più soli e più insicuri, per dirla con Bauman, è tutto troppo liquido, viviamo in una specie di brodo che riguarda le relazioni, i rapporti di lavoro, le amicizie, tutto. Se devo chiamarla con il suo nome questa emozione si chiama paura. Paura che tutto cambi, e anche quando si ha voglia di cambiamento, si teme sempre quello che una nuova realtà può portare. Insicurezza, inadeguatezza, ansia del futuro che non riguarda soltanto noi, ma tutti gli esseri umani. Lo sperimento e lo vedo ovunque: stati d’ansia e nevrosi sono la costante, anche nelle scritture moderne. Credo che da questa condizione non si salvi alcuno perché è la condizione umana».
Nunzia Scalzo
Questo importante quanto scorrevole e riflessivo libro esce l’8 marzo e già i primi consensi arrivano dagli addetti ai lavori.
Come e perché nasce l’ultimo libro “Vite storte”?
«Nasce da una serie di inchieste giornalistiche che mi hanno presa nell’anima, toccato il cuore, appassionata nel vero senso della parola. Ero da poco diventata il direttore del settimanale “I Vespri” quando, con gli altri componenti della redazione di allora, decidemmo di dedicare una sezione del giornale ai fatti di sangue avvenuti in Sicilia nei primi anni del secolo scorso; per quelli irrisolti, volevamo tentare una ricostruzione più dettagliata e meno lacunosa a partire dagli articoli di cronaca giudiziaria del tempo e dalle sentenze. Contestualmenteero diventata grafologa forense e questo mi ha dato la possibilità di accedere ad alcuni atti che, in alcuni casi confermavano quanto avevano scritto i cronisti, mentre in altri erano addirittura in contrasto. Da qui la mia decisione di approfondirli e quindi di pubblicarli. Prima li ho pubblicati su “I Vespri”, poi su “Repubblica”. Gli spazi giornalistici, però, si sa, sono assai limitati e era come se queste storie chiedessero uno spazio diverso. Allora ho deciso di dar loro nuova vita: è nata così l’idea di questo testo che è insieme narrativa e saggio, storia e thriller, senza che mai sia trascurato l’aspetto umano».
Sono storie reali? Ne racconti una in breve? E quella che ti ha più fatto rabbrividire?
«Sono tutte storie reali e ciascuna ha un tratto diverso dall’altra, pur nel filo rosso del sangue che le accomuna. Quella che più mi ha impressionata è la vicenda di Antonietta Longo, giovane donna partita da Mascalucia alla ricerca di fortuna nella Capitale che ha finito la sua breve esistenza in tutt’altro modo… Storia e dettagli raccapriccianti. Ma anche quella di Rosa Leone da Caltagirone è una vicenda umana piuttosto forte».
Non è un libro femminista, perché?
«Non lo è perché la violenza in tutte le sue forme non riguarda il genere ma le persone, anche se è innegabile che le donne pagano un prezzo più alto. Non mi importa qui fare ideologia, io nasco come cronista di giudiziaria e il mio interesse è stato sempre quello di raccontare la realtà, i fatti senza alcuna ideologia, senza dimenticare che la calunnia sessista è norma anche ai nostri giorni. Se una donna sbaglia, a prescindere da tutto quello che le sta intorno, prima di tutto è “buttana”, poi c’è il resto. E se non lo è di fatto, “buttana” lo è di testa. Questa realtà è incontrovertibile. Una donna che fa certe scelte, paga. La libertà costa coraggio, un coraggio fatto di giorni normali, di piccoli dettagli, di luci e ombre e di momenti opachi in cui la luce sembra concentrarsi in un puntino fino a finire inghiottita dentro un pozzo scuro. Per non parlare del senso di inadeguatezza che una donna si porta sempre dietro e della paura di non essere legittimata. Per fortuna abbiamo imparato in secoli di sopraffazione a non farci spaventare, a essere forti e con la consapevolezza che anche quando si cade ci si rialza sempre con una determinazione nuova che fa rinascere. Di questo sono convinta. Ma da qui, a essere schierati a prescindere contro l’altra metà del cielo ne passa, è tutt’altra cosa, è un’altra cosa dalla quale rifuggo. Credo nella parità nel rispetto della diversità».
Quando sarà presentato il libro?
«Abbiamo deciso di presentarlo a Catania entro la fine del mese perché intorno al libro è nato un interesse di grado alto di alcune importanti associazioni, anche di professioniste, che ci ha sorpresi. Stiamo lavorando per creare un evento. A Roma, intanto, sarà presente a Feminism2, fiera dell’editoria femminileche aprirà i battenti proprio l’8 marzo».
Altre tue pubblicazioni non si rifanno ad argomenti necessariamente drammatici.
«Ho pubblicato un altro libro nel 2013 dal titolo “Cunti di Sicilia”. Un testo divertente nato dalla voglia di raccogliere le favole locali che mia nonna raccontava a me e ai miei cugini quando eravamo bambini per tenerci buoni. Mi piace pensarlo come una specie di atto d’amore verso di lei. Nel racconto orale la memoria è importante, ma se non si vuole perdere questo patrimonio o lo si traduce in scrittura o lo si perde. Le parole servono per galleggiare, la scrittura a fissare alla realtà».
La tua attività intellettuale ma non solo: filantropia innata o maturata o ancora supporto totale contro l’orco che vive dentro ogni essere umano?… O c’è chi si salva?
«Sono nata in Germania un bel pezzo di tempo fa ormai, ma dopo qualche anno passato lì sono stata subito riportata a casa, in Sicilia. Ho sempre studiato e continuo a farlo, ma non sono mai stata una secchiona; mi piace pensare alla formazione come qualcosa sempre in divenire. Ho dovuto fare delle scelte che mi sono costate la rinuncia a lavorare in importanti giornali americani, ma va bene così. Sono contenta lo stesso. Anch’io posso dire di aver avuto una “vita storta” che ho cercato di raddrizzare in ogni modo, diciamo così. In questo processo prima di puntellamento, e ora di mezzo raddrizzamento, sono stati determinanti i miei figli. Per il resto non credo che la filantropia sia innata, penso sia uno stato dell’essere che matura nelle persone quando succedono eventi tragici. Solo dopo si guardano gli altri con occhi diversi e cambia anche l’ordine delle priorità».
Un’altra imamgine di Nunzia Scalzo
Vi sono aspetti spirituali che ti hanno coinvolto per la tutela di chi subisce violenza fino a morire?
«Aspetti spirituali no, aspetti umani sì, sul piano umano mi hanno commossa e mi fanno venire il sangue agli occhi tutte le forme di ingiustizia e le vicende di chi ha subito e subisce forme di violenza fisica, verbale, sottile, subliminale, quest’ultimapoi credo che sia la più feroce».
Catania e altre città siciliane: quali le più bigotte? quali le più ipocrite? quali quelle dove c’è chi ha più coraggio di denunciare?
«Non credo che Catania sia bigotta, è solo ferita, malridotta, abitata da tanta gente che non ha alcun rispetto per il posto in cui vive, basti pensare che per il catanese medio la strada è un non meglio definito “fora”, un luogo indefinito dove puoi buttare spazzatura, fazzolettini usati in mezzo alla strada, pacchetti di sigarette dai finestrini delle auto, tovagliolini delle pizzette che spesso sono lanciati con una nonchalance da rasentare il tedio, un vero voltastomaco. Il catanese medio è sporco, indisciplinato, maleducato, in una parola incivile. Se osi lamentarti per un’auto parcheggiata in doppia fila, se ti va bene ti insultano. Catania in sé è una città bellissima, è sempre stata aperta, all’avanguardia, curiosa, ricca di vita, dinamica, nulla da invidiare ad altre città d’Italia; in una mia inchiesta giornalistica ho scoperto, per esempio, che la prima sala da ballo per omosessuali era a Catania già nel 1939, e in quegli anni era impensabile ovunque. Ma qui c’era. Non credo che sia una città ipocrita e penso che nessuna delle città siciliane lo sia, è solo che le nostre città sono ferite dall’indifferenza della politica e dalla maleducazione di tanti cittadini. Quando mi capita di andare fuori e tornare con l’aereo, la guardo dall’alto e provo insieme amore e pena, nel modo in cui intende Céline: “È come una donna mostruosa, la pena. E tu te la sei sposata. E allora forse è meglio finire per amarla un po’ invece di dannarsi e picchiarla per tutta la vita, perché, è chiaro che non la puoi accoppare”. Io questa città la amo profondamente, ma ne ho pena».
Sta tornando davvero un terrore politico simile a quello dei totalitarismi che rischia di differenziare il ruolo delle donne?
«Non credo che torneranno i totalitarismi come ce li ha fatti conoscere la storia. Ma sono fermamente convinta che noi donne non dobbiamo mai abbassare la guardia per evitare di scivolare verso pericolose derive. Gente come il senatore leghista Pillon ne è la prova. Bisogna superare la confusione, la generalizzazione e la facile complessità per restituire a tutti quello che si chiama senso del reale, senso del rispetto e rispetto della libertà individuale».
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Pubblicato il 07 marzo 2019