La scrittrice e ingegnere Ismete Selmanaj Leba, tra le più note nel panorama europeo, per la sua inclinazione nell’affrontare temi sociali rilevanti, nel 1992 costretta dal comunismo albanese si trasferisce in Italia, nonostante tentò di resistere e rimanervi. Coi sui libri racconta cosa accadeva in Albania durante il totalitarismo rosso… e in Italia, col supporto del figliolo, ha sperimentato “l’amoreterapia”.
Dall’Albania all’Italia, certo non in una zona dello stivale prolifico di certezza economica: perché questo spostamento?
«Con mio marito dall’Albania verso l’Italia, era il 1992. Appena laureata alla Facoltà di Ingegneria Edile a Tirana. Avevamo fatto tanti progetti per il futuro nel nostro Paese, ma la situazione in Albani dopo il crollo della dittatura divenne caotica e pericolosa. Abbiamo resistito e non siamo partiti con la prima ondata massiccia degli albanesi nel luglio 1990 quando la gente disperata sfondò il muro della Ambasciata Italiana a Tirana. Come se gli albanesi avessero trovato il loro Muro di Berlino da abbattere. Non siamo partiti neanche con la seconda e la terza ondata verso Italia nel ’91, sperando che la situazione migliorasse. Non fu così».
Nei tuoi libri e in Albania e in Italia, affronti tematiche che richiamano ciò che è la tutela dei diritti delle vittime di violenza: perché? «Mi hanno chiesto tanti amici e lettori che hanno letto i miei libri, perché narrassi storie così crude, violente, dolorose e devo dire in certi passaggi difficilissimi da scrivere».
«Il perché è che storie come quella della protagonista del libro “Verginità Rapite”, Mira, una ragazzina di 15 anni, sono successe per davvero nell’Albania durante il regime di Hoxha. Quando ero piccolina, ascoltavo tante storie dette sottovoce e non capivo perché i grandi abbassavano la voce o si zittivano quando mi avvicinavo. Mi sono rimaste impresse nella mente storie di donne etichettate come poco di buono perché avevano avuto una storia con un ragazzo oppure un figlio fuori dal matrimonio».
Fin quanto è un po’ troppo strumentalizzata la violenza sulle donne? Ci sono uomini vittime di donne, eppur se ne parla sempre poco. Perché?
«Molto spesso, purtroppo, la violenza sulle donne viene strumentalizzata. Trovo aberrante che le notizie sulla violenza sulle donne vengano utilizzate per scopi propagandistici e a fini politici. È vergognoso utilizzare la sofferenza di intere famiglie di donne innocenti che sono state vittime, per portare avanti i propri pregiudizi meschini. Per gli uomini che subiscono queste violenze è tabù parlarne apertamente; non vogliono, e in alcuni casi non possono denunciare. Perché un uomo non può essere stuprato. Un uomo violentato non è un vero uomo. Questo è il lato oscuro della cultura dello stupro».
A proposito della precedente domanda. Cosa e perché la politica si avvicina soltanto ai fenomeni che più trascinano l’immaginario collettivo verso la contestazione?
«Rispondo con una breve frase: perché fa comodo per i fini politici. Lo dimostra il fatto che parallelamente a tutti i discorsi d’indignazione che sentiamo tutti i giorni, si tagliano i fondi per l’assistenza alle donne, ai centri di comunità per il recupero e sfratti alle associazioni che operano per aiutare le persone e le donne in difficoltà. E poi c’è il fallimento politico sulla gestione del grave problema dell’abuso di droghe tra i giovanissimi».
Quanto è soddisfacente giungere in finale ad un premio nazionale come il Piersanti Mattarella, nel 2017 n.d.r.?
«Più che soddisfacente è un grandissimo onore essere stata tra i finalisti di questo prestigiosissimo premio con il mio romanzo “Verginità Rapite”.E’ stata una bellissima sorpresa per me e sono doppiamente orgogliosa; come autrice e come albanese. Ho fatto conoscere la storia dolorosa della dittatura del mio paese natio, l’Albania, e l’ho portata fino al Premio Piersanti Mattarella».
Ismete tu affronti da anni una lotta per molti alla sopravvivenza, io ti ho conosciuta al salone del libro, e per te è una lotta al vivere e non al sopravvivere: quali le spinte?
«Mi è stato diagnosticato un carcinoma mammario nel febbraio 2016. Quel giorno, con me c’era mio figlio di dieci anni che, nonostante la sua età, si rese conto della situazione. Mi guardò dritto negli occhi e mi disse: “Mamma, tu vincerai, perché tu vinci sempre”. Queste parole si sono scolpite profondamente nella mia memoria. Poi, cicli e cicli di chemioterapia, di radioterapia. Ti cadono i capelli, le ciglia, le sopracciglia. Ogni giorno che passa, davanti allo specchio, ti trovi di fronte. Ma comunque, ho sorriso! Con mio figlio abbiamo messo in atto una terapia tutta nostra; l’amoreterapia! Tutti giorni mi abbraccia e mi stringe forte forte in quello che non chiamiamo l’amoreterapia. L’amore è la terapia migliore».
Riuscirà l’essere umano a smetterla con gli abusi e diffidenza verso il suo stesso simile?
«Spero proprio di sì. Bisognerebbe cominciare a educare da piccoli i nostri figli a rispettare tutti gli esseri umani e capire le diversità tra le culture».
A quale dei tuoi tanti libri sei più legata?
«È una domanda alla quale non so rispondere. Sono molto legata a tutti i miei libri. Uscirà a breve un nuovo intitolato “Due volte stranieri” lo sento più vicino a me perché contiene episodi veri della mia vita anche se non è un romanzo autobiografico. L’unico romanzo autobiografico è quello a cui sto lavorando. È la mia vera storia della battaglia contro il tumore. La mia vera storia della vittoria per la vita».