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SMF per L’Urlo – 1° maggio festa del lavoro! L’esclusiva intervista a Giovanni Ardemagni:«Un momento fa, forse»

1 Maggio 2019 - Articoli di S.M. Fazio, ESCLUSIVA!, Interviste
SMF per L’Urlo – 1° maggio festa del lavoro! L’esclusiva intervista a Giovanni Ardemagni:«Un momento fa, forse»

Da L’Urlo del 1° maggio 2019

1° maggio festa del lavoro! L’esclusiva intervista a Giovanni Ardemagni:«Un momento fa, forse»

Lo scrittore italo-svizzero, trionfa nella sezione inedita del Città di Cattolica con un tema scottante vissuto sulla propria pelle.

Un momento fa, forse è il titolo del romanzo inedito che ha trionfato al premio Città di Cattolica 2019, e che ufficialmente uscirà a fine maggio. Grazie alla mediazione della sua agente letteraria, in esclusiva per L’Urlo, l’intervista all’ironico scrittore che con una punta di spietatezza, racconta come e cosa può essere il lavoro e la relativa festa, che non sempre è il 1° maggio.

La spada di Damocle sul lavoro, quella condizione che rallegra, che suicida, che esalta, che annienta. È questo (l’eterno) tema della pagine che a sorpresa hanno trionfato nella sezione della romanzo inedito al Premio Città di Cattolica 2019 e che mi hanno dato la possibilità di incontrare il determinato Giovanni Ardemagni, che dopo i saluti di rito così si è presentato:

«Prima di tutto devo e voglio dire che è un libro che descrive la realtà. Fatti accaduti, accaduti, poi romanzati, usando quella fantasia utile a far capire, ancora più a fondo, le tante emozioni di quei giorni».

Mi sorprende il suo incalzare

E subito dopo incalza: «Chieda pure». Capisco che non c’è tempo da perdere. Chiedo. Ma vengo interrotto, educatamente come è nel suo stile: «C’è un capitolo del mio romanzo al quale sono molto affezionato. È una carrellata di ricordi come quello de L’osteria senza tempo. L’ho voluto rappresentare in un sogno, quasi premonitore, quasi a volermi regalare l’ennesima illusione. Ma se invece di questa vi fosse un obiettivo? Forse qualcosa al quale tutti noi dovremmo chinarci? Non è tutto quanto un momento fa, forse? Perché siamo sempre pronti a giudicare e sentirci grandi. Una prostituta ad esempio, può diventare l’amante di un uomo solitario che non ha il coraggio di dirle che l’ama e lei non ha il coraggio di dire lui che l’ama pure. Un uomo disteso nella pozza del suo sangue fa pensa, fa paura o fa ridere? E se quell’uomo disteso nel suo stesso sangue fosse colui che un attimo fa ti aveva ucciso un amico che ha scoperto esserlo in un solo giorno passato con lui dopo averci lavorato una volta assieme? Ma ridere di un morto ti consola? Una torre che cade fa ridere? O ancora una volta è solo un momento fa, forse?»

Mi sorprende: perché ha scritto questo libro?

«Perché nel 2016 accadde un evento che ha cambiato radicalmente la mia vita. Oggi giorno, quando arrivi a festeggiare i cinquant’anni, se non qualcosa in più, e vivi le contraddizioni, gli isterismi del mondo del lavoro, a qualsiasi livello gerarchico tu sia, sembra che cadi in momenti di paranoia, di dubbio e incertezza. Sempre che devi imparare, e subito!, a fare tante cose che non hai mai imparato, anche se volevi apprenderle. Poi una sera, davanti ad un buon bicchiere di whisky, parli col tuo migliore amico e gli chiedi se conosce la differenza tra depressine e recessione secondo la tesi di un grande filosofo economista. Lui non lo sa e tu prosegui. “Metti che incontri il tuo vicino per strada, uno che lavora da anni un una azienda, ti dice che è stato licenziato. Questa è recessione. Depressione invece, è quando tu vieni licenziato e non ci puoi credere. Non gai la forza di aprire la porta di casa!“ Lui, prima ride, poi tu gli fai capire che sei molto preoccupato».

(In foto: La grafica della copertina di “Un momento fa, forse” curata dal fotografo Philipp Mckay)

La notte sarà lunga

«Lui ti guarda e ti chiede di raccontare, ordinando altri due whisky, perché ha capito che la notte sarà lunga. Allora continui a raccontare che un tuo collega di lavoro, che lavora in un posto lontano da tuo ti viene a trovare. Trascorrete una meravigliosa giornata a Milano e scopri, al di là dell’amicizia, che lavora con te da sempre, ma lo scopri in quel momento, dopo 35 anni che non lo vedevi. Dopo due giorni tu e lui venite licenziati perché siete “over 55”. Non è solo un scelta aziendale che si può praticare e dibattere. È una sentenza che subisci. Punto e a capo. Adesso, metta che le reazioni di questi due amici sono state così diverse, così intense che non potevo non parlare, per condividere l’incredibilità, la drammaticità di ciò che era successo. Era giusto raccontarlo così che tutti coloro che leggeranno il mio romanzo potranno contattarmi e potrò discuterne con loro. Perché? Perché bisogna creare qualcosa».

Dunque lo ha scritto per tutti?

«In fondo per quel mio collega, Marcel. Ma anche per chi lavora e chi non ha ancora capito che ci sono valori fuori dal lavoro, ci sono silenzi che fanno rumore. Per chi ha capito che il lavoro è sopravvivenza e cercherà di offrire competenza, viglia di fare. Ma anche per chi riceve tutti questi doni e farà di tutto per capirne l’importanza, valutandone il vero valore aggiunto. Magari evitando di sputare sentenze. Forse l’ho scritto con la speranza che un qualsiasi direttore generale, imprenditore, consulente ingaggiato per tagliare teste, insomma per tutte queste persone che hanno scelto di adottare la strategia della distruzione per ricostruire, da zero, dimenticando l’importanza dell’esperienza. Devi rilanciare la tua azienda. Usa il cinquantacinquenne per formare il giovane perché sarà lui a trasmettere la fede nell’azienda e la storia che è base del futuro. Nel marketing si parla delle “4 P”. vogliamo aggiungerne un’altra che sta per “persona”? O professionalità, passione, personalità?»

Il tema che tratta è realisticamente duro e crudo, lei crede che qualcosa possa cambiare in positivo?

«Da parte mia è cambiato tanto, anzi, di più. Io spero che possa portare a riflettere su tanti valori, ma sopratutto sul significato vero e profondo del “volerci essere”. Ecco, questo voler esserci, in ogni cosa che si fa. Capire perché lo si fa e farlo perché hai capito e hai condiviso. Altrimenti è eseguire, e il solo eseguire non ti darà mai e poi mai quelle emozioni di cui devi nutrirti».

La vittoria al premio Città di Cattolica 2019 che emozione le ha suscitato e se posso osarmi: le si sono aperte nuove porte? Possibilità?

 

«Ho vinto il premio della sezione romanzi inediti, di questo importantissimo concorso, con una giuria di altissimo livello. Le emozioni sono state infinite, molteplici. Il festeggiare con amici, con mia moglie e i miei figli. Il poter incontrare e conoscere altri premiati e scoprire persone bellissime. Ma soprattutto chiedersi se davvero stava succedendo a me! In merito alle opportunità è molto prematuro dirlo. Non le ego che vorrei che mi si desse la possibilità di vendere molte molte copie, perché credo che vi sia un messaggio importante nel mio romanzo. Perché quando l’ho scritto ho vissuto ogni emozione, riga per riga. In merito alle porte apertesi? Per il momento è difficile, ma aver incontrato una agente letteraria di livello [Michela Tanfoglio n.d.a] e ricevere richieste per interviste, insomma è tanto».

Cos’è oggi il lavoro?

«Una gara ad ostacoli. A volte fai due passi indietro, migliori la rincorsa  via. Il premio finale dopo aver superato tutti quegli ostacoli sarà il vivere una emozione intensa, una gioia infinita per non essere stato “decapitato” quando si era vicini al traguardo».

Che crisi attraversa il cinquantenne contemporaneo?

«Probabilmente l’incapacità, o meglio, la paura di adattarsi al cambiamento. Il chiedersi in continuazione “Mio Dio cosa succederà adesso?». Ma se non c’è il problema perché crearselo? Perché rinunciare ad essere il Peter Pan favorito di chi ti sta vicino, in primis, te stesso? O ancora perché si lascia che l’egoismo diventi il proprio strumento sexy di attrazione fatale, personale o sociale o aziendale? Ma anche a pensare che appena svegli, uscita di casa, dobbiamo prendere la posizione del cacciatore o del cacciato: è necessario?»

…che messaggio vuole lanciare, più nello specifico?

«Fondamentali sono due i messaggi: il primo è forse monotono, trito e ritrito, ma non posso non ripeterlo. Si può sempre cadere, occorre cadere, o almeno cercarlo di fare su quattro zampe, per poi ripartire, senza perdere un attimo, perché noi valiamo, qualsiasi persona siamo, qualsiasi posizione occupiamo, sani o malati, introversi o estroversi, solitari o meno; il secondo lo vorrei dare, sottolinenando, e metaforicamente lo faccio cin giallo fluorescente, un passaggio della recessione che un economista svizzero, persona di grande sensibilità e umanità, mi ha inviato dopo aver letto la prima bozza del mio manoscritto».

Crede nella politica?

«Il giorno che ci sarà la vera politica io ci crederò. Oggi la politica rappresenta l’assurdo, evidenzia a grande lettera ogni controsenso che noi stessi ci regaliamo con la semplicità e l’ignoranza incredibile. L’insostenibile leggerezza dell’essere, mi lasci usare questo bellissimo titolo per ironizzare su qualche cosa che ci rende tristi e inerti perché siamo noi ad avere scelto chi ci ha governato, governa e governerà. L’insostenibile leggerezza dell’essere – nuovamente!  Poi è bello vedere politici che hanno l’ambizione di poter dimostrare, un giorno, che sanno camminare sull’acqua».

(In foto la vignetta di M. Lombezzi sulle incertezze della politica)

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