Da L’Urlo del 23 gennaio 2019
Marco Cerase e l’invito all’uso dell’Italiano
Contro la paradossale e discriminante proposta del Politecnico di Milano
Giovedì 17 gennaio presso il Senato della Repubblica nella Sala dell’Istituto Santa Maria in Aquiro a Roma si è tenuta la presentazione del libro In italiano, please! Istigazione all’uso della nostra lingua all’università.
Scritto con l’intento (non) polemico, ma chiarificatore da Marco Cerase, pubblicato per Armando editore.
La sorpresa nella quale mi son ritrovato, mi ha permesso di risolvere il nodo di Gordio, in maniera definitiva e netta. Quanto incide su una scelta e su un modus operandi la vita di un cittadino in Italia? Questo libro lo svela, velocemente, chiaramente e senza ghirigori inutili. È certo che i nostri laureati fuggano dall’Italia perché non conoscono la lingua per antonomasia più conosciuta per la comunicazione tra i popoli?
Una prefazione esilarante… mente, drammatica
Sin dalla prefazione si coglie la necessità di un forte chiarimento di ciò che in Italia sta accadendo. La questione nasce al Politecnico di Milano, che erse la proposta di usare esclusivamente la lingua inglese per le lauree magistrali, per i test, per i compiti, diremmo noi anche per andare al cesso.
Affidata a Giovanni Solimine, che nella prima parte è anche divertente, l’esordio di questo importante libro di poche pagine (o dovremmo rigorosamente chiamarlo pamphlet?), con un colpo di coda ti prepara a comprendere la drammaticità dei poteri forti. Quei poteri che a tutti i costi vogliono imporre un qualcosa che escluda l’italiano a favore di altre lingue, di un’altra lingua: l’inglese. Con basse scusanti provenienti dal mondo della sinistra radical chic: il PD!
Un errore non valutato
Perché si dovrebbe studiare tutto rigorosamente in lingua anglosassone? E come mai proprio l’Università ad esempio dimentica che uno studente di filologia avrebbe necessità più di conoscere il tedesco per il suo cammino professionale? Al Politecnico di Milano, lo hanno dimenticato con l’erronea scusante dell’internazionalizzazione e con la questione di aprirsi a tutti: invero! Cosi facendo si discrimina la nostra Italia a favore dell’evasione dei cervelli nostrani. Quasi un prepararli propedeuticamente alla fuga.
Marco Cerase
E giungiamo al cuore del libro, senza spoilerare(maccheronico dall’anglosassone spoiler).
Marco Cerase, consegna statistiche per nulla noiose.
Negli atenei italiani ed europei alcune discipline di alcuni corsi di laurea sono papabili di esser studiate in lingua inglese. Fin qui, siamo nella normalità.
La bellezza, che conferma lo stillicidio italioto, è il gran casino creato dal Politecnico di Milano, che si è spinto sino a discussioni in Parlamento e in Senato. Casa di dibattito delle allora fazioni politiche più in vista.
Parlamento e Senato
Divertente, ma per nulla salutare e istruttivo appaiono interventi di deputati che dibattono sulla proposta del Politecnico che fu subito respinta dal Tar dopo l’appello di molti docenti.
Furono giorni di una totale mancanza di lucidità, direbbe Franco Battiato.
Situazioni di opposizioni che vanno a creare ossimorici pensieri sulla questione con un risultato che ancora non è chiarito.
Progressisti contro conservatori? Si!
La questione non è cosi semplice e a farla complessa vi ha pensato l’allora capo primo del Politecnico di Milano. La risposta immediata del TAR in prima istanza, è che “una lingua esterofila può essere adottata, ma non come primaria”.
Insomma, il fatto che il biennio di specializzazione per completare la laurea magistrale debba esser fatto tutto in inglese, dal momento che entri a lezione fino a quando vai in bagno, è una cosa non accettabile.
Le posizioni dei piddini, si rilanciarono tutti verso il progressismo, che annullerebbe la lingua italiana, a favore di una lingua, l’inglese, che permette una comunicazione globale e globalizzante per uno studente che finiti gli studi “andrà a portare il suo sapere fuori Italia”. Dunque si è impiantato un sistema creato ad hoc per preparare la fuga dei nostrani cervelli, il tutto passando attraverso l’uso indiscriminato dell’inglese e quello discriminatorio della madre lingua italiana.
In poche parole e detto alla “carlona” è questo che solleva Marco Cerase. Ne ha ben donde ragione. Come rilanciare il futuro scolstico, accademico, industriale e professionale del nostro paese? Certo non omettendo o bandendo o sopprimendo la nostra lingua, che potrebbe certamente rappresentare, quel mezzo di comunicazione che è stato dato all’inglese, per un solo motivo, la semplicità della grammatica, con tanto di osservazione personale: diffidare dal facile, perché spinge tutto verso il nulla.
Non dovremmo farlo, non è nostro stile…
…ma noi questo libro lo consigliamo fortemente e vivacemente, perché vi sono anche interventi in pre e post fazione che spingono a riflettere e non vi è manipolazione per la scelta su da che parte stare.