Da Letto, riletto, recensito! del 2 marzo 2023
Oltre lo sguardo risolutivo alla domanda esistenziale sulla morte
Diversi anni fa ebbi a conoscere una band musicale, Betularia, che produceva un rock noir davvero interessante, tanto che ai vari concerti del tour siciliano, quelli di parte orientale, il pubblico accorreva numeroso grazie al passaparola, per quei suoni ‘grezzi e sporchi’, che creavano un tappeto melodico che entrava nell’anima. I Betularia, non so più se esistono, erano di Livorno. Al pari di questo breve cappello il romanzo del quale oggi raccontiamo è ambientato in buona parte a Livorno ed è stato scritto da un livornese, che ci si azzarda a dire, riesce a far rivivere quello stile ‘sporco’ di un noir davvero avvincente che emoziona anche per novità stilistica.
Giuseppe Benassi, che vanta diverse pubblicazioni molto apprezzate, con “Il luogo giusto in cui morire” (L’Erudita 2022, pp. 167, €19,00) sembra caratterizzare una miscellanea di generei che orbitano tra il giallo, il noir opaco (così ci piace definirlo) e il non molto in auge ancora in Italia, hard boiled, che permettono al lettore di sorridere anche di momenti dove la crudezza delle avversità si scaglia devastante contro il protagonista (nel nosto caso, proprio di questo romanzo).
La recensione
È un pomeriggio novembrino e presso la stazione di Livorno, l’avvocato Borrani, uomo dedito a cacciarsi in sventure o a trovarvisi costantemente implicato, assiste, connivente un caffè che gli mette in moto le budella, a uno strano movimento nei bagni della stazione. Lo stesso, pur non avendone contezza, dopo oniriche apparizioni e passeggiate dialogiche con padri psicoanalitici si risveglierà scoprendo che ha vissuto un delitto. Riuscendo a imbrigliarsi, come è suo solito, in disavventure, anche in questa vicenda sarà coinvolto, tanto da ritrovarsi per un periodo ad essere l’indiziato numero uno. Come uscirne fuori? Come salvaguardarsi? Non certo un’azione semplice se non quella di decidere di indagare personalmente senza supporto o aiuto della giustizia.
Frattanto subentra un’oscuro figuro intersecato nell’ambientazione costruita attorno a un casolare messo in vendita all’asta nella campagna toscana, dove i tre previsti acquirenti, non si presentano: perché? Certo di uno lo scoprirete leggendo il romanzo, anche degli altri due, ma di quell’uno, la sorpresa che riserva l’autore non è poca cosa e da quel momento i colpi di scena sono all’ordine del rigo. Cosa sta succedendo al Borrani? Quale altro mistero si cela dietro al personaggio creato anni fa dall’autore?
Sicuramente ciò che si rivela in questa nuova avventura di Leopoldo Borrani, è un margine esistenziale nella narrazione, quella sottile linea di confine tra il vivere e il morire, tra il sentirsi vivo mentre si comprende che si è morti, non fisici, non fisiologici, ma nel fare i conti con il non esserci più, che reagiscono per una volta ai casini in cui ci si caccia per volontà propria o per virtù delle stelle o del destino, ma, ed ecco nuovamente il genio della fiction della mano del Benassi, che conia un’amica del protagonista: un’esperta e pasionaria di esoterismo, che del mistero della soluzione del caso sembra essere la strada prima, maestra e diretta, pur non conoscendo i fatti.
La descrizione dei paesaggi, seppur molto industrial, hanno del poetico: dai fiocchi di neve alle riflessioni sull’architettura di Tribunali simili alle stazioni ferroviarie; dalla necessità di mangiare un boccone per trovarsi dal kebabbaro, unico aperto a certi orari ai flashback che lo proiettano nuovamente a quel giorno alla stazione, dal pensar all’amica matta, che però grazie al dono dell’intuizione, inizia a far quadrare il cerchio. In breve, un libro iconico e monumentale per generi, stili e tema che induce a pensare al perché oggigiorno chi si afferma, anche a scatola chiusa, sono i soliti nomi di autrici che raccontano e narrano la solita papella. Lo sguardo merita d’essere lanciato verso altri orizzonti per poter risvegliare dal sonno della non lettura questo Paese sempre nelle ultime posizioni per cittadini che non leggono, rispetto altri paesi europei. Di questi orizzonti, sicuramente Giuseppe Benassi è uno tra i più attenzionabili.
Il parere
Giuseppe Benassi è certamente una penna che non pone limiti alla concezione assoluta e squadrista di certa letteratura nell’attenersi a metodi convenzionali che ripotano le belle idee e interpretazioni per creare e plasmare un romanzo in una noiosa lettura. L’idea, che parte dal giallo, va ad intrecciarsi con i casi, con i guai e con un linguaggio che non rappresenta certo la volgarità spicciola, bensì il ritratto di una società abituata ormai a certi ‘fonemi’ che non distingue classi sociali e ciò rende ancor più potente quel livellamento riportato di cui si fa difficoltà a riconoscerne altre elevate penne di qualità.