Da La Sicilia del 12 gennaio 2021
Viaggio nella terra dei confini
Giuseppe A. Samonà ne “La frontiera spaesata” si muove da Trieste verso i Balcani.
“Un percorso letterario composto, come una matrioska, di racconti, personaggi, Storia”.
«Seppur impregnato di storia, politica e sociologia il mio non è un libro di storia o sociologia. È un viaggio letterario composto, come una matrioska, di racconti, che permette al lettore di scoprire importantissimi personaggi, molti dei quali si sono intrecciati con la nostra storia e che restano ingiustamente sconosciuti». A parlare è Giuseppe A. Samonà (la ‘A.’ del suo nome è inserita per distinguersi dal nonno e dallo zio, ma non è legata a nessun vero nome),nipote del grande architetto palermitano Giuseppe Samonà, che ha pubblicato per Exòrma ‘La frontiera spaesata’, volume che trasversalmente si muove tra i Balcani, Trieste e la Sicilia. Un libro che è romanzo, che è storia, che è guida e che al chiedergli come lo presenterebbe al lettore replica che «Gli direi che è innanzitutto un appassionante romanzo d’avventure, il cui filo conduttore è un concretissimo viaggio che – vista l’attuale tragedia pandemica – è uno dei pochi viaggi possibili».
Concepito per questo periodo pandemico dunque?
«No, è stato scritto prima della pandemia: ma i libri, quando funzionano, hanno la capacità di reinventarsi nelle diverse epoche. In prospettiva, quel che sembrava un modo di viaggiare antico e un po’ desueto rispetto al moltiplicarsi dei viaggi fulminei, gli aerei low cost, etc., rischia insomma di ridiventare il modo di viaggiare del nostro futuro. Insomma il libro è innanzitutto divertente, per chi ama le avventure, la scoperta di nuovi mondi, e utile per chi vuole scoprire terre vicinissime ma molto poco conosciute, attraverso due itinerari. Il primo da Trieste segue la costa istriana, prima slovena, poi croata, fino a Pola e oltre, in direzione di Fiume, di Zara; il secondo penetra l’interno, verso Lubiana, Zagabria e poi si ramifica ulteriormente in direzione di Belgrado e Sarajevo. Solo che, come succede solo nei sogni o nella letteratura, chi percorre un itinerario finisce magicamente per avere conoscenza anche dell’altro, come se i due s’intrecciassero».
Una guida reale e immaginaria?
«Certamente lo è, ma anche no. Come potrebbe essere un diario di viaggio e non, una riflessione storica e non e un romanzo ma anche no».
Geniale lo è però, l’ho letto! Sei un apolide: nasci a Roma, ma dichiari ‘tra Roma e Palermo’ perché è in quest’ultima che sono le tue radici; vivi a Parigi, dove ritorni: cos’hai amato in questo viaggio?
«Mi sono innamorato delle terre visitate, delle loro genti, delle loro letterature, che sono – al di là appunto degli specialisti – pressoché sconosciute al pubblico italiano ed europeo, nonostante siano in realtà molto vicine – e come succede quando amiamo qualcosa, mi è venuto il desiderio di condividerla con altri. Se poi il lettore fosse siciliano gli direi che questo libro prima di tutto è stato pensato per lui, perché parte da un margine, parla di margini e di mescolanza e pertanto interpella la sua storia. Riguardo Parigi ti dico che è la mia casa per eccellenza: posso vivere in un ambiente plurilinguistico: oltre il francese, fanno parte del mio quotidiano lo spagnolo e l’inglese».
Dunque paesi, lingue e ‘La frontiera spaesata’ vista come spazio?
«L’amore per le lingue è una costante della mia vita: quelle che ho nominato, e anche quelle antiche che ho studiato (in particolare il greco omerico e l’ebraico, che fanno anche loro del mio quotidiano di studio e letture). Non potrei vivere con una sola lingua, ecco perché non mi sento soltanto italiano, o almeno, non più di quanto mi senta francese, canadese, e poi ebreo, fors’anche arabo, spagnolo, sicuramente mediterraneo (come non pensare allora alla mia amata Grecia? insieme naturalmente alla Sicilia): l’identità, al singolare, mi sembra un colossale e pericoloso inganno. Sulla questione del ‘libro/viaggio’ più che lo spazio il nocciolo è il tempo. Più che i luoghi in sé mi interessano le persone, le loro storie, che vengono vissute nel tempo: lo denota una certa suspence nel libro. Posso dire in breve che i riverberi del tempo in un viaggio, così inteso, sono anche molto concreti: il viaggiatore-lettore si sposta come dicevo molto lentamente, il più possibile a piedi, la sua a momenti diventa quasi quasi una marcia zen, dove le pause, la contemplazione, sia pur in movimento (anche le pause ‘si muovono’), il continuo calarsi verticalmente, appunto per scoprire le storie dei miei incontri, reali o letterari, dissolvono l’insensata fretta dell’andare».