Da La Sicilia del 1° aprile 2022
“Un cantante rock all’avventurosa ricerca di Dio in terra”
Intervista a Sergio Sozi
Sergio Sozi, scrittore umbro-romano, residente in Slovenia, è giunto alla sua undicesima fatica letteraria in cartaceo dal titolo “Àpeiron”, romanzo pubblicato per i tipi dalla ferrarese Pluriversum, uscito in questi giorni. Fra i precedenti ricordiamo alcune delle opere narrative, che hanno ricevuto notevoli apprezzamenti da critica e pubblico quali “Il menù”, “Diorama”, “Giovedì” o “Bilogia”. “Àpeiron” presenta un incipit che incuriosisce: «Ero lì, l’ho visto bene, era steso sulla pietra nuda. D’un tratto ha aperto gli occhi, si è levato ed è uscito dall’ambiente come se niente fosse. A me è sembrato tutto normale, o… invece ero “io” a fare tutto ciò? Si chiede Stefano Corsi con profonda incertezza. A volte succede di veder fare una cosa da altri e dopo credere che siamo stati noi. Immedesimazione, suggestione, sogno.» La prima curiosità è sul paragone coi precedenti: abituati a sconvolgimenti repentini e direzioni inimmaginabili degli eventi, com’è Àpeiron? «Come al solito: sconvolgimenti e direzioni imprevedibili, ma stavolta non repentini, soltanto graduali.» Cioè? «Un itinerario quasi liturgico seguito dal protagonista, Stefano Corsi, cantante rock, che vediamo ventenne agli inizi degli anni ’90. Uno di quei giorni fa un concerto e sparisce alla ricerca di un personaggio che lo perseguita nell’immaginazione sin da quando era piccolo, piccolissimo.» Itinerario liturgico di un cantante rock, oggi nel 2022, anche se riferito a trent’anni fa. Ardito: ce ne parla? «Un attimo, il cantante è un tipo strano e inaffidabile (beve troppo): convive con le visioni del Monte Golgota e del Santo Sepolcro.»
Sarebbe Gesù Cristo a perseguitarlo nelle visioni? «Il giovanotto ha preso alla lettera i Vangeli che dicono che il terzo giorno dopo la crocifissione Gesù risorse ed è dunque convinto che sia, ancora oggi, in giro per il mondo. Fa un concerto davanti a cinquemila persone, poi viene coinvolto in una rissa in un locale notturno in cui un tipo che voleva picchiarlo non riesce ad afferrarlo, come fosse fatto d’aria, e perciò si convince che le cose qui siano due, due sole: o Gesù è lui, lui stesso, o dovrà andarlo a cercare ovunque sia nel mondo. Così pianta in asso la band e… ecco, lì inizia l’avventura che lo porterà in una città del Sud.» Àpeiron significa “illimitato”, nel gergo filosofico greco di Anassimandro: che legami ci sono con Gesù e col cantante visionario? «C’entra perché più avanti la strada del ragazzo, durante la sua avventurosa ricerca di Dio in Terra, incrocerà quella di un gruppo di persone strane, più di lui intendo, convinte che Bene e Male siano princìpi che non devono essere distinti ma amalgamati come era nella concezione del filosofo antico, all’interno dello sconfinato Àpeiron: una sorta di brodo primordiale in cui niente aveva una propria identità e definizione. Vedila come metafora…» Dunque uno scontro al vertice tra cristianesimo e filosofia greca? «Chissà! Un romanzo mica si può riassumere in un colloquio. Succedono tante cose nell’intreccio. Non è stantio, noioso, né un discorso o l’illustrazione di concetti: è una narrazione mossa, viva, ritmata, simbolica ma non verbosa né teoretica.» Chiaro. Ci ha abituati anche ad alchimie linguistiche, frizzi, lazzi, salti nel vuoto e piroette… «Stavolta meno fiaccole (ride n.d.r.), ma nemmeno piattezza, omologazione e grigiore. Sempre fantasia a briglie sciolte. I miei libri restano coloratissimi senza bisogno di fotografie, anche se la copertina stavolta mi contraddice.»