Da La Sicilia del 19 maggio 2021
Tre soldati napoleonici in fuga
“Il cannocchiale del tenente Dumont” di Marino Magliani tra la campagna d’Egitto e la battaglia di Marengo. E quei disertori con il vizio comune del traffico di hashish
Ancora una volta Marino Magliani stupisce e afferma la sua grandezza di scrittore al di sopra delle convenzioni e al di là di ogni paragone. L’autore del romanzo storico, “Il cannocchiale del tenente Dumont”, (L’orma, 2021, pp.286, € 20), forse mette su carta la propria vita? Esiste tra i disertori napoleonici protagonisti, uno che gli somiglia? È un mistero che rimandiamo alla lettura di questo capolavoro.
Dei suoi lavori di traduttore, curatore di collane ai propri: romanzi distopici, libri di viaggio, raccolte di racconti, ma romanzi storici mai. Può dirci in merito?
«In effetti non si può considerare un ve- ro e proprio romanzo storico, nel senso che chi riporta le sue avventure è un di- sertore, e sappiamo perfettamente quanto sia difficile per un disertore co- noscere la realtà che lo circonda, ad e- sempio, in un territorio tanto fram- mentato, dove nella stessa valle un co- stone appartiene al Regno Sabaudo e quello di fronte è della Repubblica di Genova, il disertore di Napoleone que- ste cose le ignora e l’unica cosa che sa è che deve nascondersi agli uni e agli altri, persino all’esercito francese che fino a poco prima era l’esercito amico».
Che terre erano, due secoli fa, quelle liguri e quali contatti avranno i disertori con la popolazione?
«Nessun contatto, non possono per- metterselo, devono attraversare vallata dopo vallata, costone dopo costone, senza che nessuno se ne accorga, e ciò che vedono, loro, sono le colonne di salariati, falciatori, carrettieri, che proseguono da prima dell’alba fin dentro la notte seguente per rotabili e mulattiere, sparpagliandosi negli uliveti a faticare, affamati, sconfitti, perseguitati da ogni esercito, eppure in qualche modo invidiati dal tenente Dumont che li osserva e che vorrebbe essere uno di loro, perduto nel microcosmo azzurro di ulivi, davanti al mare, lontano dalla Storia».
Può indicarci qualche coordinata (termine usato nella parte degli Epiloghi del romanzo), di cosa si tratta e quando?
«Siamo nel 1799, vendemmiaio, costa africana, Alessandria, ultimo giorno di Campagna per Napoleone, per i savant, ossia gli scienziati e gli studiosi che han- no accompagnato l’esercito francese, e per tre militari, un capitano, un tenente, un soldato, mezzo basco. Appartengono entrambi al corpo dei “chassuers” e in comune hanno un vizio: l’hascish, che trasporteranno in una buona quantità in Europa, senza sapere che fin dal- l’Africa e durante il viaggio attraverso un Mediterraneo infestato di navi inglese, e poi in Francia e in seguito durante la battaglia di Marengo e sulle montagne liguri, essi saranno pedinati da uno strano personaggio di nome Pangloss che sta studiando i loro comportamenti».
Cosa c’entra alla fine il cannocchiale del titolo, e come mai si trovano sulle montagne liguri, e soprattutto in che modo, malgrado sia una narrazione di avventura, piena di spie e di imboscate, di inseguimenti, viene considerato dai critici un romanzo anche di paesaggio?
«Uno dei disertori, il capitano Lemoine, aveva acquistato il cannocchiale a Aix en Provence, prima che l’esercito fran- cese penetrasse in Italia attraverso le Alpi, ma dopo la battaglia di Marengo il cannocchiale finisce quasi esclusiva- mente nelle mani del tenente Dumont che giorno dopo giorno, valle dopo val- le, controllerà il territorio o ci si smarri- rà. Dopo Marengo puntano il ponente ligure, hanno un progetto e se riusciranno a raggiungere Porto Maurizio, dove il capitano conserva delle conoscenze, per essere stato di stanza in quella città prima della Campagna di E- gitto, ci sono probabilità di sopravvivenza».