Da La Sicilia del 20 dicembre 2022
Il conflitto sociale come risposta ai mali che la medicina non riesce a curare
Shock in the world of medicine provoca il “De Docta Marginalia, riti e sacralità nella cura” (rueBallu edizioni, pp. 446, € 28) di uno dei maggiori contemporanei studiosi di antropologia della biomedicina, Arthur Kleinman. Il volume, con la raffinatissima ‘introduzione della dott.ssa Angela Maria Callari (psicoterapista transculturale e specialista in oncologia che rappresenta una delle ‘colonne’ dell’etica attuale pro ontologia e contra l’abbandono del paziente al destino post cura). Kleinman, seppur crudissimo in alcuni momenti della sua riflessione nella ricerca antropologica di molte sofferenze, si muove sull’asse binario delle culture Nord americane e cinesi, giungendo a più conclusioni che gli si sono presentate grazie all’osservare tout-court il mondo e chi lo abita stando al ‘margine’. Il “De Docta” è una raccolta di saggi che lo studioso americano assembla e dove afferma il valore basico che rilascia risposte grazie all’investitura antropologica, trascendendo nel dettaglio più diretto: non è il solo danno organico o biologico a sviluppare una patologia quanto quel ‘liminale’, che definisce la soglia di confine tra la marginalità della certezza e quella della sicurezza. Tutto origina dalla relazione, ponendo un parallelismo si cita Cavell che individua la liminalità tra autobiografia e filosofia, che dà risposta di comprendere al meglio il godimento per la conoscenza, messo al servizio dell’altro; in Kleinman il vivere ai margini dei colleghi, dei pazienti, dei sofferenti, permetterebbe un abbandono della psicologia del profondo a favore di una superficie che è l’elemento diretto che porta all’ ‘oltre’, per consapevolizzare la sofferenza che dà risposta. Questa sofferenza è da cullare, giungendo a posizioni che potrebbero apparire scomode.
Dunque il basico umano starebbe nel trovarsi innanzi al collante e al conflitto sociale come risposta ai mali che la medicina non riesce a curare totalmente. Sembra avvicinarsi al ‘coccolamento della propria depressione e della propria sofferenza’ delle quali James Hillman fece notizia quando affermò la superiorità archetipica come qualcosa che sempre è e che sovvertitamente deve ripercorrere in un ritroso che è evoluzione e continuità della ricerca per migliorare. L’inutilità di un ex-ducere in schola educationis, viene letta come danno contro la naturalità socio-relazionale, che di contra, investe l’umanità delle risposte di guarigione sino a giungere a una dichiarazione tanto scomoda (se letta però solo in parte): anche il vivere parrebbe inutile, ma solo se paragonato al bambino, nel senso di piccolo, piccino, paoliniano, quasi inutile per l’appunto, come si evince nella cultura cinese. Dunque una veduta sul mondo in guarigione grazie a rituali che non saranno più compulsivi, quanto sacre azioni come un mantra extra verbum, che se da una parte bandirebbero la stessa disciplina di specializzazione di Kleinman (è uno psichiatra), dall’altra la ricongiunge con effetti classici dell’anima (in quanto psiche), necessitante di incontrarsi e ritrovarsi nella alterius substantiae. Il file rouge a questo punto è delimitato in tutto ciò che è marginalia: pochezza, povertà, dolore, sono chiavi per accedere lì dove chi si culla nel benessere non riuscirà mai ad accedere e solo grazie al simbolo (torna Hillman e l’archetipo) l’essere s’avvicina in «forme intersoggettive di memoria azione. [Dove] Le esperienze sarebbero integrate [grazie] al self emerso da processi viscerali espressi attraverso di essi».