Non può non affermarsi che ogni nuova pubblicazione del romano Massimo Roscia non sia una straordinaria innovazione del panorama libresco. Scontato il paradosso che dopo aver letto “Errorario” (RaiLibri, pp. 262, € 19), i complessi sulla scrittura da narratore, giornalista, relatore in area psicopedagogica, ma anche nei tabellini che riportiamo quando finiscono le partite della Roma, ci hanno pervaso, avvolto, catapultato verso l’abisso della nostra lingua, tanto da farci pensare che qualche cretino che suona meglio con l’orifizio piuttosto che dirigere orchestrine da social media, potenzialmente potrebbe aver ragione, specie se si leggono i suoi post e commenti (anche se la contestazione magari viene vomitata verso altri per semplice frustrazione, n.d.a.). D’altro canto aprendo il “Piccolo dizionario degli errori grammaticali, dei dubbi e dei tormentoni linguistici”, questo il sottotitolo, il mondo conosciuto delle esclamazioni, locuzioni, dissertazioni, insorte espressioni usate anche in diverse professioni, altro non sono che ‘formule’, corrette e che i pari del suonatore di orifizio, sono ben donde più di quanto si possa credere. In perfetto stile alfabetico, Massimo Roscia non si permette di umiliare alcuno, consigliando o meglio dire, comunicando, quali possono essere le forme migliori usabili della nostra lingua, per motivi di phoné che si estendono a far comprendere meglio un contenuto. C’è anche una interessante difesa, che fonda le radici nella bestialità di alcuni background: esattamente alle pagg. 240 e 241 ecco cosa spiega in merito alla locuzione ‘Uscire il cane’. “«Esci il cane». «Siedi il bambino sul seggiolone». «Tornami i soldi che ti ho prestato».

Clicca sulla pagina per acquistare La Sicilia a soli € 0,99

«Esci la macchina dal garage». «Scendi il bimbo mangiato che lo gioco». Eccoli qua, i famosi verbi intransitivi usati, soprattutto al Sud, come transitivi. Nell’ambito della lingua parlata, nella quotidianità e nelle situazioni familiari, questi verbi possono essere placidamente costruiti con l’oggetto diretto senza che nessuno sia li a gridare allo scandalo, deplorare, sventolare cartellini rossi o minacciare altre sanzioni. In tali contesti, questi simpatici, vivaci e colorati costrutti non sono vietati o fastidiosi; sono fastidiosi, invece, coloro che si infastidiscono senza tenere conto che stiamo parlando di regionalismi, di dialetti che, spesso, possono vantare la stessa dignità e identità di una lingua nazionale. Quindi, a meno che non si tratti dell’italiano scritto e formale, continuate pure a uscire il vostro cane.” Un desiderio di umiltà a chi umile non riesce a esserlo, sbagliando e dimenticando la storia delle lingue se non addirittura l’adeguamento e adattamento alle nuove forme della lingua parlata. Quel modo di spiegare così divertente e gradevole fanno del Roscia una persona che con semplicità rinfresca la memoria (Roscia: si può usare quest’ultima?). Leggendolo si ride di noi stessi e ci induce a riflessioni. A noi è venuta in mente la locuzione “Una tantum”, quando viene usata per intendere ‘una volta ogni tanto’: se la persona che la usa non ha presunzione e arroganza, passi pure ciò che vuole intendere, ma se ci si trova innanzi a una isterica urlatrice, beh, possiamo aiutarla a farle capire che qualcosa della sua personalità la può salvare: “Una tantum” definisce infatti ‘Per una volta soltanto’! Libro risolutivo che aiuta magari a non interromperci mentre dialoghiamo, evitando così di far preoccupare l’interlocutore che pensa a un accidente imminente.