Da La Sicilia del 1° giugno 2022
L’uomo, un perdente come il pesce
Lo scrittore e sceneggiatore siciliano Massimiliano Scuriatti pubblica il romanzo con “Le lacrime dei pesci non si vedono”, una forte metafora del fallimento umano
«Non credo che nei miei personaggi vi sia un atteggiamento arrendevole, tutt’altro» è lo scrittore e sceneggiatore siculo Massimiliano Scuriatti in uscita il 19 maggio con “Le lacrime dei pesci non si vedono” (La nave di Teseo, pp.224, €18) che abbiamo letto in anteprima. Ha ragione Scuriatti la nostra impressione ha errato sull’intuito del padre di Vittorio, il protagonista: «In quest’ultima storia, come nel precedente romanzo, sussiste un forte desiderio di non accettazione, che spinge i personaggi a muoversi e agire. Anche i più insospettabili, come il padre del protagonista, che, come tutti, in un primo momento è felice per quanto stia accadendo nel suo paese, si accorge ben presto del risvolto cupo di tutta la faccenda, nonché dell’impossibilità di tornare indietro (è riuscito a dare il suo contributo per la caduta del nazifascismo, ma comprende che nulla si può fare per fermare l’avanzata del progresso). La questione riguarda quindi lo scoprire, dopo aver agito, che è impossibile contrastare quei poteri che ovunque si impongono con ogni mezzo.»
Nel suo nuovo romanzo, parafrasando la scuola psicoterapeutica della gestalt, lo sfondo è mare, l’oggetto è un’azione, quella del pescare: il pesce cos’è?
«Il pesce (ma in questo caso userei il plurale) è la rappresentazione – visiva, prima ancora che metaforica – del fallimento dell’uomo. E lo è non tanto per puntare il dito sugli errori che compie nel suo cammino verso il progresso (spesso dovuti alla mancanza di conoscenza), quanto per l’indifferenza che lo induce a perseverare verso una trama di cui si prevede il finale. Le ragioni sono sempre le stesse: potere, soldi, quando non la semplice la scoperta di avere imboccato una via senza ritorno. Tornare oggi ai vecchi mestieri e alla “lentezza” sarebbe forse bello, di certo è inattuabile.»
Dunque la metafora del pesce piangente, del quale le lacrime possono non vedersi…
«In realtà quello è l’unico momento “vero” di una storia le cui vicende (e i personaggi) sono frutto di fantasia. Il pensiero che mi sovvenne dopo aver visto con i miei occhi l’immensa distesa di pesci morti o morenti a pelo d’acqua, nel porto di Augusta. Avevo circa dieci anni e a quell’età credo che l’unica prova della sofferenza umana sia la vista delle lacrime. Il pesce che soffre, con il suo sguardo inespressivo, qualsiasi cosa gli accada, sembra non impietosire. Per di più, il suo vivere immerso nell’acqua, rende impossibile scorgerne le lacrime. È un’immagine che ancora oggi mi turba, tanto da avervi costruito attorno una storia.»
In un suo corso di lezioni Heidegger rispondeva alla domanda “Che cosa significa pensare?”, attraverso un lavoro di scandaglio delle parole tedesche Denken (pensare) e Danken (ringraziare). Concludeva che il pensare è a un tempo pensiero dell’essere come rammemorazione e ringraziamento; dove l’essere che “è” la destinazione originaria quindi il senso dell’ente nella sua totalità si dispiega come temporalità dell’essente. Sulla scia di questa risposta del filosofo tedesco, le chiedo qual è il luogo del dire originario dell’essere come rammemorazione/ ringraziamento del protagonista del suo romanzo, al cospetto del padre?
«Tenendo presente delle riflessioni di Heidegger circa la non immediatezza delle risposte a domande non di carattere pratico, a mio avviso ciò che manca ancora oggi all’uomo (in senso evolutivo) è la capacità di calcolare bene i tempi delle sue reazioni ai quesiti che le relazioni umane richiedono: troppo presto, creando ulteriori dubbi; troppo tardi, finendo per generare rimorsi. Nel caso specifico, ritengo che per Vittorio il luogo del dire originario cui lei si riferisce riguardi il rimorso, che emerge in quella fase dell’esistenza in cui ognuno di noi realizza il dolore per non aver detto quando avrebbe potuto farlo. Vittorio ricorda il padre, lo ringrazia, ma quando lo fa, è solo un dialogo con se stesso.»
C’è del suo in Vittorio?
«Come già detto l’unica parte vissuta personalmente è quell’immagine dei pesci in agonia; Quanto a Vittorio mi riconosco nel suo comportamento.»