L’esilarante abitudinarietà di una vita dolorosa

Il camaleontico Carlo Turati ne “La carezza della mantide” (Solferino, pp. 245, € 19) racconta con ironia la vita dolorosa di Marco Morlacchi alle prese con due figlie affidategli dal giudice nonostante la grave malattia ai polmoni. Divertente oltre lo sfinimento, il dramma si coglie in espressioni quali: «Se tutte le famiglie sono felici e la tua no, sappi che la tua è l’unica che conosci davvero». Morlacchi è un ses- santenne che trascorre le sue giornate tra ospedale, dove tutto si racchiude in improbabili incontri tipo: «Il medico ti chiama, entri, ti visita, ti saluta e si dimentica che sei mai passato da lì», e la gestione delle due ragazze che crescono e lo accusano di essere distratto ma molto critico con loro. Esilarante l’abitudinarietà narrata: sempre i medici che per fretta inciampano in se stessi: «Scu- si sig. Marlocchi, ma chi è il cretino che le ha scritto questo medicinale?», «Lei dottore», «Benissimo, allora continuiamo che questo aiuta tanto». Turati dunque rasenta l’assurdo degno del miglior Brecht e incalza su classici mood: «“Pronto, ti disturbo?”, “Sì”, chissà perché la gente se dici “no” ci crede, se “sì”, pensano che li prendi in giro ma proseguono».

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345 pagine chiuse con una frase che riporta all’amaro quotidiano: «Ogni mattina una famiglia felice si alza e si sfascia. Ogni mattina una mattina infelice si alza e si riunisce. Ogni mattina non importa se sei una famiglia felice o infelice. L’importante che sia felice tu». Ro- manzo che dice quanto sia difficile essere “persona”. Parafrasando Ferretti nel “Comunicare fa male”, Turati ha colto nel segno sulle difficoltà del confronto tra umani.