Da La Sicilia del 10 maggio 2021
Quando qualcosa si da per scontato e per semplice non è una novità che dietro vi sia un accurato lavoro d’ottimizzazione. Questo accade nella tecnologia che giornalmente propone progressi che velocizzano la lettura di informazioni in qualsivoglia sfera del nostro vivere quotidiano. In merito a queste Richard Masland, scomparso nel 2019, s’è dedicato alla complessità del parallelismo tra processori artificiali e sviluppo fisiologico nella funzione del riconoscimento. In Lo sappiamo quando lo vediamo, tradotto e pubblicato in Italia lo scorso 13 aprile da Einaudi (pp.248, € 29,00) lo studioso e docente di neuroscienze si cimenta sul dato percettivo dell’occhio: com’è possibile che grazie alla vista riconosciamo in un nano secondo un volto dopo che approfonditi studi mostrano la lentezza dei recettori sinaptici rispetto ai computer?
Il mistero sta nella distinzione tra le velocità umane e artificiali: l’uomo ‘legge’ un volto grazie al senso della vista, ma dietro questa lettura vi è la possibilità che il dato finale consegna con più facilità una svolta gnoseologica più rapida, nonostante la lentezza elaborativa del cervello umano al cospetto di quella di un processo tecnologico dove algoritmi vengo sistemati per una risposta più immediata. È così che Masland, spiega peculiarmente la vita di un occhio con relative risposte che giungono da più ambiti. Da reti neurali a progressi informativi di ciò che l’occhio racconta al cervello e come questo rielabora in quella lentezza che è madre di una risposta quasi automatica degna di una negazione epistemologica. L’evoluzione è come la formazione: si sviluppa in modalità itinerante senza abbandonare mai, anche nei momenti più disagevoli per il nostro organo supremo, la sua naturale e lenta crescita.