Da La Sicilia del 22 novembre 2019
Sempre sul pezzo, Raffaella Fanelli (“Sette”, “La Repubblica,” “Panorama”, “Visto”, “Gente”, “Oggi”, et alii,), in più di 20 anni, ha consegnato scoop necessari sino a far riaprire l’ indagine dell’omicidio Pecorelli. Ardita e testarda, la sua ultima fatica letteraria sembra non conoscere sosta di successo. “ La verità del freddo – L’ultima testimonianza di Maurizio Abbatino ” (Chiarelettere), è la prima opera che racconta della Banda della Magliana con il coinvolgimento di uno dei fondatori del crimine romano, “Il Freddo”, che ha rivelato shokkanti arcani che rimettono in discussione la storia del crimine non solo italiano.
Ai perché i suoi libri sono ispirazione per gli studiosi, incalza: «Da sempre scrivo di delitti irrisolti e cronaca nera. Ho intervistato assassini, serial killer, boss mafiosi e collaboratori di giustizia. Sono passata dalla carta stampata alla televisione, alla radio. Parecchie notti insonni mi ha regalato Riina quando ha chiesto il sequestro del mio secondo libro, “Intervista a Cosa Nostra”. Comprendi bene che non è una bella cosa scontentare uno che di cognome fa Riina, ma, stranamente, a danneggiare il mio lavoro è stato altro: persone cosiddette “perbene”, esperti “attori” di salotti televisivi che hanno punito le mie posizioni e le mie inchieste. Dal delitto di Via Poma (da cui il mio primo libro, “Al di là di ogni ragionevole dubbio”, pubblicato per Aliberti) all’omicidio di Sarah Scazzi. Ad ostacolarmi sono stati i miei principi e la mia lealtà. i miei “no”. Troppo libera per accettare compromessi. Per quindici anni ho collaborato con un noto settimanale, aspettando un’assunzione che non è mai arrivata, a scapito mio, a vantaggio di figlie di ex direttori o di amiche di amici. Sono rimasta “un’abusiva” fino all’unico e ultimo contratto giornalistico arrivato con Estreme Conseguenze, piattaforma online che ha ospitato la mia inchiesta sull’omicidio del giornalista Mino Pecorelli. Un delitto rimasto irrisolto, riaperto dopo 40 anni grazie a un verbale che ho ritrovato scrivendo il libro che hai tra le mani (“La Verità del Freddo” n.d.a.).»
Come sei arrivata al “Freddo” Maurizio Abbatino?
«L’ho cercato, trovato e convinto a raccontarsi. È stato Abbatino stesso a trasformare la mia richiesta in una sfida, fino a dirmi “mai parlerei di me con una donna”. Ma dopo due anni l’ha fatto. Delle sue verità ho cercato traccia, incrociando verbali e sentenze; ho cercato persone e trovato nuove fonti. Anche sullo strano omicidio di Franco Giuseppucci (“Libanese” nella serie tv, n.d.a.) e sull’altrettanta strana morte di Danilo Abbruciati. E’ un libro scritto come un romanzo, con nomi e fatti veri.»
Cosa è emerso oltre la stesura del libro?
«Che Abbatino è altra cosa rispetto gli ex della banda della Magliana che si sono trasformati in giullari che trascinano la loro immagine da un programma televisivo all’altro. “Il Freddo” è stata una conquista, uno scoop vero, una miniera di informazioni altrimenti inaccessibili. Ha raccontato di Carminati, senza mai far un passo indietro, confermandogli tutte le accuse, comprese quelle per l’omicidio di Mino Pecorelli. Per quel delitto Carminati è stato processato e assolto insieme a Giulio Andreotti.»
A tuo parere encomi e menzioni condizionano il successo di un’opera?
«Con “La Verità del Freddo” ho vinto due premi, ma non sono gli encomi o le menzioni a determinare la qualità di un’opera, bensì i lettori. Ti scelgono, ti contattano, ti chiedono di sapere di più, capisci che la storia che hai raccontato è di valore.»
Hai mai subito ripercussioni, per le indagini dei fatti trattati?
«Sono stata querelata tantissime volte, anche dal serial killer Marco Bergamo, “il mostro di Bolzano”. Tutte sono state archiviate. Anche la prima querela arrivata da Silvia Signorelli dopo una mia intervista per La Repubblica a Vincenzo Vinciguerra condannato all’ergastolo per la strage di Peteano. Oggi Silvia Signorelli ha querelato ancora e ha ottenuto il sequestro di una mia nuova intervista a Vinciguerra. Le accuse rivolte a Paolo Signorelli sono le stesse che Vinciguerra ha ribadito in trentacinque anni di verbali e testimonianze. Dopo la pubblicazione del mio articolo Vinciguerra è stato chiamato a testimoniare nel processo in corso a Bologna all’ex Nar Cavallini, confermando le sue accuse.»
Ti ha inquietato qualcuna più di altre?
«Più che altro mi ha fatto arrabbiare quella giunta dalla dalla figlia di un uomo politicamente protetto. Arriva per costringere un giornalista a fare un passo indietro davanti a un intoccabile facendolo apparire come giornalista piantagrane: inaccettabile! Come lo è il tentativo di santificare il defunto Signorelli.»
Ostacoli per la verità: hai mai pensato di lasciare?
«Non riesco a uscirne. Cercare la notizia per me è come una droga. Cerco, guardo, ascolto con gli occhi e le orecchie di un giornalista, e continuo a indignarmi. Quando il dubbio di rischiare per niente, quando la delusione supererà la mia indignazione, allora smetterò di scrivere.»