Da La Sicilia del 14 maggio 2022

Il ruolo devastante della televisione nella disinformazione

Tra manipolazione mediatica e testimonianze fuorvianti

Il 2002 è un anno cruciale per diversi motivi: in primis l’euro che ufficializza il suo ingresso senza più duellare con la lira, che ha devastato il già medio e medio povero; secondariamente ha un riferimento storico che impaurisce: si parla del primo ventennio degli anni 2000 e sovente si rientra in un doloroso immaginario collettivo storico. Ma il 2002 è anche l’anno in cui l’overture del volume pubblicato da Valerio de Gioia e Adriana Pannitteri per Vallecchi, dal titolo “In nome del popolo televisivo” (pp. 208, € 16), affronta il ruolo devastante dei media, nello specifico della tv. Nel gennaio di quell’anno infatti, a Cogne si realizzò uno dei casi che ad oggi lascia ancora più dubbi su fatti, dinamiche e persone. È col il figliocidio di Cogne pertanto, che i due autori iniziano a scandagliare la manipolazione mediatica: da quel gennaio vi fu proselitismo illogico del messaggio televisivo, che mise a soqquadro il dato reale delle indagini e dei fatti che, lo aveva anticipato Carmelo Bene, “disinformano” piuttosto che rendere onore alla verità. De Gioia e Pannitteri sono chiari, tant’è che ogni episodio di crimine, che può essere studiato con attenzione per giungere alla verità, purtroppo il più delle volte è intralciato, ad esempio, da dichiarazioni di persone vicine ai fatti che ricevono invito in trasmissioni televisive, che addirittura li pagano, col risultato di confondere l’opinione pubblica, già di suo, media-manipolata, che nel momento in cui conosce la sentenza di un fatto, si basisce, alimentando lo squallore e l’indignazione di un popolo che già è vittima dello schifo di chi governa l’Italia. Il Bel Paese è davvero tale?