Da La Sicilia del 17 luglio 2022
Il rock, la musica del diavolo
Il nuovo romanzo del palermitano Fabio Casano: «Si può anche definire come un personale omaggio ad un mondo che piano piano sta scomparendo»
«I tre anelli del diavolo è un mio tentativo di parlare di musica, in particolare della musica rock – quella che mi accompagna dall’adolescenza quando nella mia stanza mi consumavo i pomeriggi ad ascoltare dischi – in un contesto di narrativa». Cosi ha esordito il panormita Fabio Casano, giunto al suo terzo romanzo, “I tre anelli del diavolo” (Arkadia, pp. 136, € 14) all’incontrato in occasione della performer “La famosa invasione dei sardi in Sicilia” tenutasi sabato 11 giugno all’interno della XIII edizione del festival “Una marina di Libri”. Come mai si parla di invasione sarda è semplice: Arkadia Editore è sarda ma vanta un nugolo di scrittori, nelle varie collane, che sono siciliani. Ma tornando al romanzo, l’autore continua asserendo che «Si può anche definire come un mio personale omaggio ad un mondo che piano piano sta scomparendo». Cioè? «Quando leggo l’ennesimo necrologio di un musicista, gli ultimi ad esempio di Vangelis o di Alan White degli Yes – mi viene da pensare al finale del Signore degli Anelli, con le navi elfiche che portano via Gandalf, Frodo e gli altri eroi in una nuova terra aldilà dal mare.» Motivo per ambientarlo in Inghilterra? «Più che altro un romanzo che tratta di musica non poteva non svolgersi che in Inghilterra, cosa che sotto il profilo dell’ambientazione ha rappresentato una sfida ulteriore per la mia capacità. Londra è la mia città preferita che ho visitato parecchie volte.»
Blade, chi è? «Mi sono ispirato e mi ha colpito, l’autobiografia di Pete Townsend, leader degli Who. Aldilà dalla sua figura imponente e dal suo naso, ancora più imponente, mi ha influenzato tanto da creare un personaggio a sua immagine e somiglianza. Un uomo che si fa apprezzare con e nonostante le sue debolezze, fragilità e arroganza. Blade è uno degli ultimi dinosauri. Si muove a fatica in un mondo che non è più quello della sua gioventù, e cosa ancora più amara, oggi si trova a dovere pagare il prezzo delle scelte sbagliate compiute anni prima. La vecchiaia è il suo nemico, qualcosa da cui tenta disperatamente di sfuggire.» E invece Dress? «Lo definirei un personaggio in continuo mutamento. Ha vissuto pur essendo relativamente giovane, almeno due vite, eppure avverte la necessità di andare avanti. Non si accontenta di quello che è diventato. La stabilità economica o il fatto di essersi disintossicato dal suo alcolismo sono sempre argomenti ricorrenti, tanto da fare nascere il sospetto che il parlarne così tanto, nasconda una sua segreta attrazione per il lato oscuro.». E cosa vorrebbe? «Il suo desiderio sarebbe quello di tornare a suonare, fare dischi, ma al tempo stesso – a differenza di Blade – sa che il passato non tornerà più.» Palermo, lei manifesta una certa atipicità, ne conviene? «Non sono né mai sarò il classico scrittore palermitano. È la mia città, ci vivo, a volte la amo, altre la odio. Palermo può essere una città molto crudele, specie se ne sei figliastro e non figlio. Esistono una serie di cerchi e cerchietti magici, uniti da legami di censo, parentela, rapporti più o meno di reciproca utilità, dove l’estraneo è tenuto lontano.» Lo stesso vale nella letteratura? «Alcune volte è il nome che conta, più del lavoro che è dietro.» C’è dell’acredine? «No! Penso soltanto che non sia rispettoso o giusto non solo per chi scrive ma anche per l’editore che investe. Mi piacerebbe che un giudizio, sul mio libro venisse dato da una lettura imparziale e non da passaparola di gente che non si è nemmeno degnata di aprirlo.»