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SMF per La Sicilia – Gli intrighi di un noir esistenziale – Intervista a Franz Krauspenhaar

22 Agosto 2020 - Articoli di S.M. Fazio, ESCLUSIVA!, Interviste, Recensioni
SMF per La Sicilia – Gli intrighi di un noir esistenziale – Intervista a Franz Krauspenhaar

Da La Sicilia del 22 agosto 2020

Gli intrighi di un noir esistenziale

Ritorno al genere più amato per Franz Krauspenhaar, poliedrico artista milanese. 

«Sono un lupo solitario, voglio stare fuori dal gregge». Il ruolo e i tormenti di Cravat.

«Amo il noir, ne avevo pubblicato solo uno, 15 anni fa. Mi andava di ritornare col genere». Esordisce così Franz Krauspenhaar, autore affermatosi a 40 anni con Baldini&Castoldi, poi giunto in quota Fazi con “Era mio padre”, nel 2008 si aggiudicò il prestigioso “Premio Speciale Palmi” per la narrativa.  La presenza e l’assenza” pubblicato per Arkadia Editore (realtà che annovera solo ‘grandi’ firme nelle sue collane), è il ritorno del poliedrico poeta, musicista e intellettuale milanese, che segna una svolta di genere come dallo stesso si evince «Se proprio dobbiamo trovare una definizione, direi noir esistenziale». Grazie a lui si torna all’ordine distinguendo certe bufale che leggiamo, tant’è che il lettore, nella distopia di alcuni narrati di questa nuova uscita viaggia in parallelo nel contorto pensiero del genere umano.

Disturbi o riflessione pedagogica? 

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«Nessuna pedagogia, però credo di essere un moralista, perché oggi è come andare controcorrente. Mi sento più vicino a Pasolini che a un gregge di scrittori contemporanei che cercano di fare il verso ai grandi. Nani da giardino. Io so quanto valgo ma voglio stare fuori dal gregge, sono un lupo solitario per costituzione. Il mio primo libro di poesie si chiama Franzwolf…. questa specie di noir parla di una società gravemente malata di schizofrenia, attraverso certi topos di genere. È una lettura a strati».

La storia, narra dell’industriale  Tommei, che licenzia subito dopo averlo assunto, per cercare la moglie smarrita, Cravat un investigatore privato cui il tormento è la sua costante ontologica. Nonostante ciò proseguirà l’indagine privatamente, più per capire perché è stato subito liquidato. Emerge un aspetto che lo studio del comportamento potrebbe aprire ad una nuova ricerca che ad oggi non conosce bene il suo orientamento. 

Cravat, ha un vissuto molto provato: lei è riuscito a farlo emergere anche nel lettore/scrittore più spocchioso e tracotante: c’è un messaggio nel descrivere questo personaggio fallimentare che è specchio  di molti imbecilli? 

«Certo, dimostrare come e chi siamo, che dobbiamo abbassare la cresta, pur mantenendo orgoglio e dignità. Che ci può anche essere posto per il reato, se tutti fanno a gara a sparare di più. Cravat mi assomiglia, in parte. La rabbia, i momenti di tenerezza, la durezza estrema se qualcuno cerca di fregarlo. È un’anima teutonica con una parte mediterranea, altrettanto dura all’occasione.Sa soffrire come un cane, ma poi azzannare. Cerca l’amore anche lui, è solo ma non si da mai per vinto. Non è un eroe, ma è quel che si dice un uomo vero. Ora non si usa più, dirlo».

A Cravat subentra Saluzzi. Questi agisce con metodi discutibili, sino a minacciare lo stesso, dopo aver saputo che procede le sue personali indagini. Ecco che i demoni si ripresentano con incubi riportanti al terrore di Ivan Il’ič in Tolstoj. 

 

Con Cravat lei descrive un uomo senza più energie o un sempliciotto che si trovò a far il poliziotto, lavoro che agisce anche di abusi praticati che sovente sentiamo? 

«Sempliciotto per niente. Semmai poliziotto per bisogno e per ansia di riscatto. Si capisce che Cravat non ha vissuto molto bene i suoi anni verdi…»

‘Cardiologista’ che la suspance di questo suo nuovo supera e “1975” e “Era mio padre” tanto da attivare processi tachicardici simili a quelli dei topi. Quando gli chiedo perché la scelta esistenziale nel noir, replica quasi ermetico che lo ha fatto: «Per me e per il maggior numero di lettori. Non saprei cosa aggiungere, amo la sintesi».  

 

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Colgo la schiettezza ricordandomi di arroganti ‘preti’ mancati fuori di senno, fittizi filantropi che spingono carrozzelle, che Dio gli insegna però a disintegrare l’altro. Urlatori, fanghiglia, feccia che tributano il perbenismo… loro, che potrebbero apprendere da questo trattato ironico/noir che coniuga l’uomo e lo scrittore in quella leggendaria frase del film di Monicelli: “Cos’è il genio? È fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione”. Krauspenhaar: chapeau!

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