Da La Sicilia dell’8 maggio 2021

Non nuovo a coup de théâtre, votati alla guarigione dagli spleen di baudeleriana memoria, Rosario Sorrentino è tornato con un libro shock, dal titolo ‘Intervista esclusiva a Freud. Da neurologo a neurologo‘, (Vallecchi Firenze, pp. 184, € 14). Lo studioso romano che con Cinzia Tani, aveva affrontato la questione del DAP (Disturbo d’attacco di panico) nel suo ”Panico. Una «bugia» del cervello che può rovinarci la vita”, riuscendo a far entrare nel merito della conoscenza del forte ‘spavento’ che improvvisamente colpisce milioni di persone, nel suo nuovo volume dove si confronta con il padre della psicoanalisi, Sigmund Freud, partendo dal dato medico, afferma (e consacra) la sua azione di risoluzione di mali che struggono e modificano negativamente la vita delle persone. Non mancano, a nostro dire, giusti attacchi ferrati rivolti ai ‘tecnici dell’anima’ che sociologicamente vivono questa era ultra tecnologica, ma nel loro bel setting, rimangono legati al sogno del sommo: che sia uno psicologo o uno psichiatra che si credono detentori della verità assoluta, dove la causa più profonda è da ricercare non tanto nello studio, quanto nella prosopopea tracotante del fornire o farmaci che peggiorano uno stato di malattia, o terapie buone ad annullare la libertà: il tutto fatto separatamente piuttosto che congiuntamente. È così infatti che in questo scambio di opinioni tra due dei maggiori esperti della materia, che l’uno, Sorrentino, chiede a Freud perché ‘blinda’ una persona in un setting che più che curare altro non fa che aggravare ‘posizioni’, richiamando alla memoria momenti con persone che magari non ci sono più con la ‘scusante’ che attraverso sprechi temporali e onerosi (questo è nostro, n.d.a.), si risalirà alla causa: per poi? Per poi concludere sulla scia di personaggi come Woody Allen, che hanno dichiarato che anni e anni di analisi non hanno sortito nulla. Così come non bisognerebbe mai dimenticare che, se scienze potremmo appellarle, non esisterebbe filosofia senza riflessione pedagogica (risalente al V sec. a.C.), in Sorrentino cogliamo l’aspetto pragmatico, ma approfondito peculiarmente, di chi realmente vuole aiutare l’altro.

Certo nella società contemporanea a decorrere dalla moderna, il contratto è stipulato sulla precisione temporale e sul denaro, ma non inganni ciò: c’è una necessaria e importante variabile che il preparatissimo e ‘visionario del dato reale’ Sorrentino fa emergere, e che ha più volte comunicato in saggi quali ‘Rabbia’, ‘La paura ci può salvare’ o ‘Attacco di panico, a un passo dalla libertà’: vadano bene delle terapie praticate dai colleghi psicologi, ma solo se associate a una cura farmacologica che da una spinta in più soltanto se non rimbambisce il pensiero di chi è affetto da una patologia che tale diventa dopo lo stato iniziale di disagio che poi rischia di perpetrarsi nel tempo, fino a concludere un passaggio in terra mal vissuto. Non è in contrasto con gli analisti Rosario Sorrentino, ma giunge quasi a ‘supplicarli’ di spingersi a guardare oltre la comprensione del solo iperuranio: il farmaco va usato in parallelo ad una terapia del pensiero, al fine di tirarci fuori da quello sprofondamento dal quale spesso per una piccolezza, da profani vissuta come una mefistofelica vessazione, non riusciamo a risalire. Causa? La reduce superficialità con la quale alcuni professionisti, affrontano i mali non nostri nell’era contemporanea mantenendo rigidità di tesi di un filosofo e neurologo nato 165 anni fa.