Da La Sicilia del 25 ottobre 2022

Ciarapica e la fuga dalla provincia

L’intervista. La scrittrice manda in libreria “Chi dà luce rischia il buio”, evoluzione socio familiare in un periodo di boom economico. «Un romanzo che dà voce a un paese intero»

Un’attesa lunga tre anni per leggere Giulia Ciarapica, che però non ci è mancata, perché l’autrice marchigiana tra organizzare il festival “Libri a 180°”, insegnare scrittura, nonché scrivere di libri come giornalista, ha sempre seminato gocce di platino che hanno reso meno pesante la sua assenza. Con “Chi dà luce rischia il buio” (Rizzoli, pp. 384, € 19), l’evoluzione socio-familiare in periodi di boom economico è potente, ma non solo, chiarisce infatti la Ciarapica che lo «scopo principale era raccontare una provincia prima ancora che la storia di una famiglia». La provincia è quella marchigiana, già narrata nel suo esordio, “Una volta è abbastanza”, Rizzoli, 2019: «Nel precedente, mi fermavo al 1964, che riprendo nel nuovo, per arrivare agli anni Settanta: epoca fondamentale per lo sviluppo del mondo calzaturiero marchigiano e Casette d’Ete diventò in quel momento uno dei distretti calzaturieri più importanti del territorio». Però questo sembra più corale del precedente. «Assolutamente sì. Il romanzo non vuole dar voce soltanto ad alcuni personaggi o a una famiglia, ma a un paese intero». Descrive luoghi che le appartengono: c’è del personale? «A chi scrive resta sempre qualcosa, ma questa volta la misura è minima. Mi ritrovo in quel carattere volitivo e prepotente e soprattutto destinato alla solitudine di Annette, anche se qualcuno invece mi ha identificato in Gianna, amante della letteratura e di alcuni capolavori del Novecento italiano in particolare. Ma la verità è che questi personaggi sono tutti realmente esistiti, e forse appartengo al romanzo stesso; c’è più Giulia in Casette d’Ete che in qualunque altro personaggio della storia.»

Romanzo che attraversa il boom economico, le prime ribellioni, il baronaggio scolastico: un messaggio chiaro! «Sono stati anni ricchi di passione, di grinta, di ferocia, e io ho voluto raccontare come quel processo di ribellione a tutto tondo fosse arrivato anche a Casette d’Ete.» Comunque la famiglia, sociologicamente, è focus «No! C’è, ma non è centrale.» Addentriamoci nel contenuto: la fuga della primogenita dei Verdini potrebbe rappresentare la ‘teoria dello scambio sociale’? «No, in realtà la fuga di Bianca Maria è semplicemente la fuga dalla provincia. Vuole vivere da donna libera, per capriccio e per incapacità di sentirsi parte di un nucleo, quello familiare. Tanto che il padre, intuisce quasi subito la sua volontà, bieca e superficiale: lei, semplicemente, decide di fare di testa propria. La banalità del nulla, insomma, un gesto privo di qualsiasi spessore, addirittura annoiato. Nella sua anaffettività, Bianca riconosce soltanto due linee di pensiero: l’obbligo e l’atto libero, che però non è davvero libero in senso identitario, ma è pura prepotenza.» Quanto può condizionare oggi una giovane figlia di famiglia, la visione del ritorno a retoriche socio-familio-lavorative? «Diciamo che la prospettiva di un ritorno di quella dimensione è abbastanza lontana da sembrarmi improbabile (almeno, in quella specifica modalità e approccio). Di sicuro ci sono dettagli che vengono replicati anche senza volerlo, in modo quasi inconscio, e ci appartengono così tanto da non rendercene più del tutto conto, ma facendo una somma ti direi che i tempi sono cambiati troppo per poter ipotizzare un’influenza effettiva che abbia qualche rilevanza.» Domanda secca: ha capito che il suo valido romanzo rientra nel saggio sociologico di alto spessore? «Risposta secca a domanda secca: no, e chi ci aveva mai pensato?»