“All’ombra del castello di carte” (Algra Editore, pp. 286, € 18,00) è il nuovo romanzo di Mario Cunsolo, intellettuale della provincia etnea, nonché fondatore dell’Associazione Pennagramma, che annovera centinaia di iscritti tra nuove leve e affermati scrittori che scambiano pareri e organizzano struttura e corsi di scrittura. Ambientato a Etna City, ciò che sarebbe la futura megacity della Sicilia orientale, le multinazionali e la criminalità organizzata spadroneggiano in un clima squisitamente cyberpunk. Nel romanzo la connivenza con la situazione mondiale non è delle più ottimiste, tant’è che tutte le nazioni del pianeta hanno dovuto istituire il “Reddito da Gioco” per sopperire alla “Grande Falce”, ovvero la devastante crisi economica scaturita agli inizi degli anni ’30 del XXI secolo, correlata al vertiginoso aumento demografico e di conseguenza alla crescente disoccupazione. Come se non bastasse, il Gioco, istituzionalizzato e fiscalizzato, ha provocato in buona parte della popolazione mondiale una nuova malattia mentale chiamata “Il Morbo”, ovvero l’estremizzazione di quella che nel secolo scorso era chiamata “gioco d’azzardo patologico”. Il “Morbo”, è una nuova peste incurabile della seconda metà del XXI secolo, che miete vittime e provoca sofferenze e chi ne è affetto manifesta fin da subito una furia omicida inerente alle perdite subite durante lo svolgimento di qualsiasi gioco, mettendo in serio pericolo gli altri giocatori e se stesso.

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Il protagonista, il giocatore Rino Salvieri, si aggira per le strade di Etna City giocando ai tavoli più pericolosi della città. Ben presto si farà un nome e inizierà a frequentare tavoli da gioco più prestigiosi, quelli della città bene, fino ad arrivare ai tavoli dei “Cavalieri del gioco”, in cui è possibile giocarsi persino le cariche pubbliche, e chissà, magari spianarsi la strada ai piani alti. Con questa non tanto lontana ipotesi di grande decadimento globale, l’autore di origini paternesi, rilancia le domande più inquietanti e che non trovano risposta nel teatro della vita: che fine facciamo? A che pro procediamo la vita se non adeguarci ad una situazione di grande dramma dal quale fatichiamo a invertire la rotta della tranquillità? Come nei precedenti romanzi, la penna del Cunsolo non manca di emozionare in quella sperimentazione stilistica che trova il prodromo primo in Joyce e in quella fantasia realistica che in parte abbiamo conosciuto con le fiabe, il tutto arricchito dal maturare dell’inevitabile nelle peggiori ipotesi di uno scollamento della vita. Non manca l’ironia e il piacere di staccare dalle connotazioni reali, con sarcasmi e accesi interrogativi manifesti nelle dimensione tra le fantasticherie e il procedere duro della vita: quale inizio – e non più fine – spetta all’essere umano? Libro cult da non lasciare nelle vetrine delle librerie.