Da La Sicilia del 13 marzo 2023
Alla ri-scoperta dell’adolescenza
Libri. Il nuovo romanzo di Lorena Spampinato, storia formativa sull’età epifania dell’essere adulti, due ragazze a confronto con un gruppo di ragazzi distanti da loro
«Adolescenza, tappa unica per ciò che saremo». È questo il focus di “Piccole cose connesse al peccato” (Feltrinelli, pp. 205, € 17), nuovo romanzo di Lorena Spampinato, che sul peccato plasma magistralmente una storia che ha una funzione formativa, seppur insolita e anomala, a tratti pedagogica, con colpi a sorpresa che rasentano husserlianamente, l’epochè. L’autrice catanese precisa però che «La letteratura non deve avere una funzione pedagogica, ma ha certamente un grande potere trasformativo (e anche rivoluzionario), dato che è l’adolescenza la vera epifania dell’età adulta: il nostro nucleo più vero sta lì, ci appartiene e definisce per sempre.» Un’età colma di conflitti genitori/figli che «permette ai figli il passaggio dai mondi infantili alla giovinezza. È un passaggio che spesso si porta dietro grandi conflitti perché segna una vera rottura: l’infanzia è il luogo in cui si formano le nostre credenze, rispetto al mondo ma soprattutto rispetto a noi stessi, i tabù, la nostra piramide di valori ecc., mentre l’adolescenza è il luogo in cui tutto questo viene buttato giù, tutto viene messo in dubbio e per la prima volta nella vita ci interroghiamo su tutto ciò che avevamo creduto verità assoluta. È la nostra prima rivoluzione, ci interroghiamo anche sugli adulti, rendendoci conto che non sono onnipotenti come l’infanzia ci lascia intendere.» Nel romanzo emerge Enza e le ansie di sua madre: la condizionano? «Non è il comportamento della madre che influenza l’agire e le scelte di Enza, ma l’idea che quelle scelte la separino da lei e la avvicinino ai suoi coetanei.» Bruna, verrà accusata di un gesto che la induce a una azione discutibile: che differenza d’intendere i sentimenti tra il periodo storico del suo romanzo e quello attuale? «Conosco i sentimenti dell’adolescenza di oggi da lontano, da osservatrice. I ragazzi sono esposti più di ieri a una cattiveria che con il web viaggia e arriva al segno più velocemente e facilmente: bisogna mostrarsi solidi e forti e non è semplice. Ci sono però anche aspetti positivi: per esempio in rete i ragazzi e le ragazze parlano tra loro di consenso, mascolinità tossica, femminismo. Quando eravamo ragazze noi, nessuno ci spiegava niente, pensando sempre d’essere noi a sbagliare.»
Invidia e pentimento, nella relazione tra le tre protagoniste (almeno due figlie di certa borghesia) ma soltanto dopo aver conosciuto i bulletti (di tutt’altro ceto sociale). Un’amicizia nata da un furto, per un’estate che segnerà la vita di tutti: è un messaggio? «In quegli anni l’invidia (sentimento ambiguo, ce ne vergogniamo, e forse proprio per questo prende le forme cattive dell’inganno, del sotterfugio, del senso di colpa, anche se però può anche essere un pungolo che induca a fare meglio), era il cliché dell’amicizia femminile, la regola (sociale) imponeva alle ragazze di gareggiare in favore del consenso maschile. Più tardi si è scoperta la sorellanza e il sostegno reciproco. Sul messaggio mi guardo bene dal lanciarne. Ci sono, forse, visioni, movimenti: in questo caso c’è la curiosità di due ragazzine fortunate nei confronti di un gruppo di ragazzi distanti per classe sociale e stile di vita. C’è uno scambio tra i due mondi». Di Annina, terza protagonista del romanzo, cosa ci svela? «Lei si porta dietro per tutto il romanzo il suo bisogno di essere guardata, che non è mosso dalla vanità, ma dall’idea che essere visti equivalga a occupare uno spazio reale nel mondo, a esistere. A vederla davvero però è solo il lettore.»