Da La Sicilia del 2 novembre 2024
A passeggio nelle notti bianche
“A San Pietroburgo con Dostoevskij. La città di carta e di sogni” è la terza opera che la studiosa panormita, Antonina Nocera, dedica all’autore russo. Un lungo viaggio filtrato dai romanzi
“A San Pietroburgo con Dostoevskij. La città di carta e di sogni” (pp. 142, € 16) uscito il 18 ottobre per Giulio Perrone Editore è la terza opera che la studiosa panormita Antonina Nocera, dedica all’autore sovietico. Se i precedenti sono saggi di critica letteraria, in questo nuovo appare e si delinea ciò che la collana intende: un viaggio dentro la città vista con occhi dell’autrice filtrati dall’opera dell’autore che rappresenta.
Cosa aspettarsi da questo libro? «Lavoro che si distanzia dai precedenti per diversi motivi: testo ibrido che compendia diversi generi a metà tra saggio, memoir, racconti di viaggio, mappa letteraria. Rendo omaggio a Dostoevskij, narrando la mia esperienza tra le strade di San Pietroburgo. Un cammino contestuale, nella città e nel testo, intrapreso col piglio della flâneuse che si intreccia con le suggestioni che la città rimanda: il “testo pietroburghese” in cui la città entra nel testo come elemento vivente, col suo gravame di pensieri e con la sua bellezza vaporosa, onirica. Un cammino ‘fianco a fianco’ con i personaggi, primo tra tutti Raskol’nikov che nei dedali pietroburghesi ha scritto il suo destino implacabile.» Il nome Pietroburgo evoca durezza e materialità della pietra: perché sottotitola di “carta e di sogni”? «Pietroburgo vive questo dualismo tra materialità e leggerezza. Una città costruita sull’acqua, del resto ha questa radice instabile, anche concettualmente. L’anima pietroburghese coincide con quella del sognatore delle notti bianche, una sorta di flâneur russo che si perde tra i vapori delle sue fantasie irrealizzate. Con lui ho camminato e “sognato” ripercorrendo le stesse strade, gli stessi vicoli, fino a sentire quasi sulla pelle quella sensazione di stordimento. Accanto a questa Pietroburgo ne esiste un’altra narrata e disegnata da Dostoevskij nei suoi manoscritti originali e nei taccuini, un vero e proprio racconto di immagini in cui personaggi e luoghi rivivono attraverso il filtro della visualità: disegni, schizzi, storie di quadri per lui importantissimi come la Madonna Sistina al quale Dostoevskij fu molto legato e di cui si conserva una copia nello studio della casa museo. Da questo dualismo, scaturisce la magia di Pietroburgo, che ho cercato di rievocare mantenendo fede ai romanzi ma anche alla biografia di Dostoevskij e della sua famiglia.» Nell’indice salta all’occhio un titolo accattivante: “L’ultimo dei Dostoevskij”. È un’intervista inedita: a un parente vivente: racconterebbe di questa esperienza? «Trattasi del pronipote, penultimo erede vivente – l’ultimo erede è il figlio di questi, il quattordicenne che si chiama pure Fedor –. È stato piuttosto emozionante conoscere Aleksej, anche perché è accaduto in maniera casuale. Durante la pandemia ho collaborato con l’Università di San Pietroburgo e con l’Accademia russo cristiana per un progetto di ricerca tra Italia e Russia su Dostoevskij. Nel team c’era anche Aleksej, e dopo due anni gli atti del convegno e le ricerche sono state raccolte in un volume che è stato donato a lui. Gli ho poi proposto l’intervista e lui ha accettato di buon grado. Essere l’erede vivente di un grande scrittore può essere un grande peso, una grande responsabilità, si corre il rischio di essere schiacciati. Grazie a lui, ho compreso meglio alcune sfumature sul ruolo delle progenie dei grandi scrittori. O dimenticano o creano dei totem. Nel caso di Aleksej, la famiglia rispettando lasciti della Grigorevna, ha onorato il suo testamento spirituale».