“Il tornello dei dileggi” di Salvatore Massimo Fazio, Arkadia editore
Leggendo questo libro non si può fare a meno di essere colti da una vertigine percettiva per numerosi motivi. Al primo posto va la tecnica narrativa che, con sapiente costruzione, riesce a cogliere pieghe esistenziali annidate tra i protagonisti del libro. Il racconto scorre, s’impenna, rallenta, s’infratta nei diversi dettagli situazionali. I deutoragonisti appaiono e scompaiono come ombre fuggevoli, sebbene descritti con notevole abilità letteraria cogliendo, nel segno dell’evocazione , la struttura personologica di ciascuno di loro. Tuttavia è sui reali protagonisti che il lettore ne resta sorpreso e incantato: Paolo e Adriana. Entrambi smarriti nel caos della quotidianità, tra conflittualità interiore e oggettività, percepiti entrambi come assurdamente banali, ma fagocitanti ed a tratti terribili, come un mostro che bussa continuamente dietro la porta della coscienza, incutendo timore, pau
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ra, orrore dell’inconsueto, tentazione alla fuga, insicurezza fuori e dentro di se stessi. Ed è proprio nei dialoghi, tra Paolo e Adriana, costruiti dall’autore con notevole abilità, che si coglie il mestiere di scrivere e di saper raccontare il lavorio circolante tra due personalità che fluttuano tra entusiasmo nel ricercare se stessi dentro l’altro, e l’angoscia di perdere una parte di sé quando l’altro lo cattura dentro le sue maglie emotive. Tutto appare tra i due come un contrappunto simbiotico, ora magicamente stabile, ora inquieto e terribilmente demolito dall’attrazione incondivisibile che si chiama abitudine, quotidianità, vita propria, impossibilità a rinunciare al proprio essere individuum, proprio come qualcosa che non si può spartire in due.
Leggendo il libro non si può fare a meno di pensare a certe ambientazioni emotive narrate da Murakami o da Kent Haruf, dove l’incompiuto fa da cornice e sfondo, tema dominante e ferita aperta. Salvatore Massimo Fazio infatti coglie in pieno la difficoltà esistenziale di una generazione oscillante tra il vincolo della stabilità affettiva, fatta di relazioni semplici e di immortali principi, come la famiglia, la fascinazione amorosa, l’amicizia, l’odore del caffè appena fatto e la tentazione di svincolare tutto alla ricerca di un livello di conoscenza di se stessi che spesso impedisce qualsiasi tipo di sodalizio sentimentale e relazionale. Come per dire, citando un noto filosofo dell’Etre et le Neant, tra l’essere e il nulla scorre la vita mentre il tempo batte il suo ritmo di tamburo a proprio piacimento. Come se da una parte la tentazione di Essere desse voce alle sirene della certezza, mentre il Nulla , dall’altro lato richiama al fascino dell’ignoto ancora da venire e da scoprire dai quali scaturisce il dramma della scelta. Su questo principio Kirkegaard aveva edificato la sua fortuna, chiamandola angoscia della possibilità e Fazio sa raccontare questo dramma a due con ammirevole limpidezza, tra il rumore di locali metropolitani e la ricercata quiete di una trattoria dei Nebrodi, lasciando trasparire citazioni di esperienze vissute e discrete cifre autobiografiche. Non solo. Il lettore, nella voglia di girare pagina, nel desiderio di sapere come va a finire, approda infine allo smarrimento percettivo ( e qui la vertigine ) quando scopre che tutto quanto narrato forse era un incubo, un dormiveglia, uno scherzo della coscienza dalle cui pieghe non si comprende più dove sta la verità e la finzione, un gioco a nascondere o l’illuminazione finale. Di sicuro si comprende, grazie all’arte narrativa di Fazio, che nel concetto del dileggio sta l’enigma tra il narratore e la storia raccontata, il lettore che apprende e la tentazione di riprendere daccapo tutta la vicenda, come se l’indefinito prendesse voce con il sottile e non dichiarato compiacimento dello smarrimento emotivo che ha provocato tutto questo.
Fortuna quindi a questa indovinata opera letteraria!
Carmelo Zaffora 2.10.2023