Da La Sicilia del 3 aprile 2024
Il silenzio degli eroi comuni
“Una vita a cottimo” è il nuovo romanzo della scrittrice messinese Giusi Arimatea
Un viaggio nei sentimenti che hanno delineato un percorso esistenziale in Sicilia
«Credo fermamente nell’eroismo della gente comune, quella che in silenzio affronta gli ostacoli ogni giorno, quella che resiste, quella che spera. Lì dimora molta di quella poesia che la letteratura ha il privilegio di poter trattenere.» Così esordisce la messinese Giusi Arimatea, che negli ultimi due anni ha girato lo stivale per ricevere riconoscimenti per le sue creature culturali, tra queste il romanzo “Di donne, di ieri” che dal 20 marzo è in compagnia del nuovo “Una vita a cottimo” (Pungitopo, pp.160, € 15). Emozionata? «Al tempo del primo romanzo prevalevano l’entusiasmo, l’incredulità, una buona dose d’incoscienza. Adesso è davvero tutta un’altra storia: in tanti ti accordano fiducia e non intendi deluderli, senti addosso maggiore responsabilità. Scrivendo mi sentivo più forte, più audace. Stavolta credo di aver osato, nella forma e per certi aspetti anche nei contenuti. Al momento del “si stampi”, dopo un considerevole numero di giri di bozze, è subentrata però quell’apprensione che deriva dall’enorme rispetto nei confronti dei lettori e della scrittura stessa.» Quanto ne è soddisfatta? «Tanto. Io ho una certa idea della letteratura. Sono una lettrice onnivora, ma al contempo parecchio esigente. Se non fossi stata soddisfatta di “Una vita a cottimo”, l’avrei lasciato nel cassetto. Questa storia meritava tutta quanta la mia anima dunque quel processo accurato e impegnativo di scrittura necessario a raccontarla.» Ci descrive questo processo? «Se hai in testa una storia, una galleria di personaggi e uno sfondo deputato ad accoglierli, devi trovare le parole giuste, quelle che rendono credibili il tutto. Senza uno stile narrativo personale, originale, degno insomma di attenzione, viene meno il contributo che miri a dare a un panorama letterario già sovraffollato di ordinarietà. Ragiono per ore anche su una frase fino a sentirla “suonare”.»
“Una vita a cottimo” ha a sua volta una sua storia… «Nasce come un testo teatrale, solo dopo acquista il respiro del romanzo. Avvertivo il bisogno di andare oltre le pagine che avevo impiegato perché fosse compiutamente messa in scena un’anima, quella del protagonista. Volevo recuperare il suo passato, rinvenire le ragioni del suo presente in un orizzonte che intrecciasse storia personale e sociale. È dunque un viaggio nei sentimenti, nei legami che hanno delineato un percorso esistenziale, in un’epoca oltretutto ben precisa e in un luogo, la Sicilia, che ha una maniera propria di cavalcare tempi e mode.» L’importanza della memoria, una costante in entrambi i romanzi? «Ho sempre pensato fossero poca cosa sia l’individuo sia la società privi delle proprie radici. In esse risiedono le ragioni di ciò che siamo e non siamo, delle strade intraprese e di quelle in prossimità delle quali abbiamo deviato, delle conquiste e di ogni sconfitta, di ciascuna deriva. Scavare a piene mani nella nostra memoria, personale e collettiva, credo sia necessario per prendere coscienza di molte cose. Tutte necessarie.» Perché, in particolare, la storia di un cottimista? «Il lavoro a cottimo è la metafora, romantica se vogliamo, di un mondo votato alla produzione, all’utile, alla disumanizzazione. Un mondo che troppo spesso rinuncia alla vita nel forsennato e illogico intento di renderla produttiva. Mi piaceva l’idea di rintracciare i germi di questo nuovo regime che è la società del profitto, rimarcandone ove possibile l’insensatezza, e farlo chiudendo l’obbiettivo su una singola esistenza, emblematica ancorché trascurabile.»