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Le ‘Insonnie’ di Massimo Fazio filosofo del nichilismo speculativo

15 Marzo 2013 - Recensioni

di Luigi Pulvirenti
BLOG SICILIA
15 marzo 2013

Mettersi davanti ad un specchio e confessare, senza reticenze, l’irresistibile inclinazione che spinge l’uomo verso il dolore, nelle sue molteplici manifestazioni, non è alla portata di tutti. Ed è per questo che “Insonnie”, il best-seller del filosofo catanese Salvatore Massimo Fazio, possiede la stessa carica esplosiva della luce che squarcia il buio; non per sostituirsi ad esso, ma per raccontarlo, sondando gli anfratti più reconditi della capacita speculativa che la mente umana possa produrre.
E lo fa, Massimo Fazio, mettendosi al centro della scena come un attore che non recita ma agisce, che non racconta ma interpreta, che non commenta ma scarnifica il proprio essere, secondo la lezione di Carmelo Bene: il teatro, così come la vita, essendo esso stesso vita, è azione, non recitazione (re-citare, citare qualcosa altro). Gli stessi richiami a Cioran perdono la dimensione limitata della citazione dotta per farsi espressione autentica del Fazio, nella misura in cui è sè stesso, e la propria personale esperienza del dolore a diventare testo teatrale, dove non si chiede l’applauso al pubblico, ma il fischio di disapprovazione, la smorfia di riprovazione, il fastidio per ciò che si legge e che arriva come un pugno allo stomaco.

Se un autore che Fazio detesta, Nietzsche, sosteneva che “le nature forti sono capaci di dimenticare ciò che non riescono a dominare”, il filosofo catanese fa della lotta contro la paura ancestrale materia letteraria viva, che fluisce tra le pagine iniziali, quelle dedite alla speculazione, così come negli aforismi della seconda parte, come un novello Pessoa che scrive un nuovo “Libro dell’Inquietudine” ma sublimando lo stato di disagio perché è solo arrivando agli estremi confini della riflessione sul dolore che lo si può, non esorcizzare (che non è questo il tentativo di Fazio), ma accettarlo. Come l’unica cosa che da senso e significato a tutto il resto. Giunto alla seconda edizione, dopo un tour che lo ha visto presentare la sua seconda fatica in tutta Italia, dopo aver sfondato il muro delle 4000 copie vendute, Fazio, che ha nel suo bagaglio collaborazioni importanti, in corso, con Manlio Sgalambro e Franco Battiato, può a ben diritto essere considerato tra le menti più lucide della filosofia italiana contemporanea. Lucido del suo nichilismo, che non è negazione della vitalità ma unica dimensione possibile di ogni vitalità.

Non induce in pensieri trasversali, nè in linguaggi laterali, Fazio. Non strizza l’occhio al già visto, al già sentito, attraversando la foresta dell’innominabile con la sicumera del dubbio. Parla a chi non vuole ascoltare, per porre il lettore davanti a quella vertigine che, secondo Kundera, non è “la paura del vuoto dinanzi a noi, ma il fascino del vuoto che ci chiama.” Non è autore per chi si commuove con Gramellini e medita con Fabio Fazio, il nostro Massimo. Per questo, esattamente per questo, dovrebbe essere già dichiarato “Patrimonio dell’Umanità”.

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