(Vi omaggio di un estratto del mio prossimo libro ‘Rivelazioni sull’accaduto’ che vedrà luce in libreria a ottobre 2015) S.M.Fazio
La meschinità dell’anarchico che strimpella le sue personalissime verità, distrugge e umilia le buone intenzioni di libertà e disobbedienza, per causa giusta, del principio filosofico di anarchismo.
Felicitiamo pertanto la sparuta composizione di anarchici da vulgaris giro musicale di Do e citiamo per esteso e fedelmente dal dizionario il significato del termine anarchia. “Dal greco antico ἀν, assenza e ἀρχόςi, leader o governatore, l’anarchia è vicina ad una organizzazione societaria agognata dall’anarchismo, basata sull’idea libertaria di un ordine fondato sull’autonomia e la libertà dell’individuo, contrapposto ad ogni forma di potere, compreso quello statale”.
Si analizzi, riportandola “[…] basata sull’idea libertaria […]”. Bene, non v’è altro da scrivere. Si prosegua. L’anarchico per definizione è libero da vincoli di ogni ordine e grado. Dovrebbe non attenersi, non per presa di posizione, a nessuna offesa. Per lui il senso non dovrebbe esistere. Maggior grado di rispetto della causa che abbraccia (l’anarchico abbraccia cause?), o della parte in cui si identifica (l’anarchico dovrebbe identificarsi in una parte?), stranamente nell’accezione politica, non dovrebbe (ma è anarchico e quindi potrebbe…, può, si impone meschino unto dalla consapevolezza totalitarista del proprio disagio sociopsichico) reagire alla vista o al sentore d’alcunché. Non deve, a rigore, dire bene e/o male ad esempio di chi indossa una divisa. O dire bene e male di chi la indossa. Se durante un simposio lo si addita come appartenente ad una frangia storico/politico, dovrebbe dare una spiegazione semmai s’offendesse. Ma lui è l’anarchico, il muso duro stalinista, il mascellone mussoliniano, a lui tutto è dovuto. Lui è l’anarchico che è ben accolto dai compagni o dai politicamente corretti. È lui il vincitore dell’agglomerato emisferico: il suo minuscolissimo orto (piantagione con un vasettino dove allevare una piantina di marjuana). È lui che la sa lunga ed è lui che conosce la storia e non la stravolge: è come dice lui. Punto e basta. Lui sa che quel Tizio frequenta certe conoscenze comuniste ed è sempre lui che lo ammonisce il Tizio, dimenticandosi che le conoscenze comuniste che rimprovera d’esser amiche di qualcuno che ha disobbedito ad una sua verità (l’ermeneutica qui con tutta la sua storia si rivolta nella tomba, ma per lui è già seppellita) sono quelle che gli salvano il culo nei tribunali di ogni costellazione delle sue importanti azioni: dire ad un uomo in divisa “servo di stato, pecorella, mangia merda”, dimenticandosi ancor di più che gli uomini in divisa li ha in casa che gli strappano le multe, perché lui è anarchico e parcheggia in tripla fila anche quando c’è un km di spazio per parcheggiare, ma lui ha il vigile della urbe del suo pensiero a suo servizio: “Gianni, se c’è casino in via “sono un emarginato”, parami il culo perchè io sono anarchico e devo disobbedire. Ma non solo, è sempre lui il nostro super eroe, che liquidato il Tizio va dal Caio e lo ammonisce di frequentazioni fasciste e corporazioni paranaziste, lo esprime in pubblico per rivendicare la verità (sua) innanzi a masse infettate di correttissimo politicamente, che come greggi subordinati annuiscono e si scagliano contro Caio. Poi Caio ha una illuminazione e si permette, a bassa voce, di riportare un episodio: “scusa anarchico – e scusa nuovamente se esordisco con “scusa”, tu sei anarchico, non esiste il termine “scusa” per l’anarchico – ma, non vorrei sbagliarmi, alle tue spalle quando ti inventi produttore di rumori, non c’è quel tipo che ha fatto la storia del gerarchismo fascista? E quell’altro che assieme al comunista ti difende in tribunale? E quell’altro ancora che ti fa guadagnare da vivere per comperare le tue… scusa le…, ops scusami e riscuscusami per lo “scusa”, …le non tue, nate e prodotte dalle multinazionali, sigarette, degli odiati Stati Uniti d’America?”
Le masse infette di correttamente politico, abbassano lo sguardo e non scagliano pietre. L’indomani, il nostro supereroe è lì, nel suo ufficio a sentenziare con i suoi adepti che ad ogni scoreggia prodotta, lo applaudono. Poi ci si lascia, non v’è bisogno di saluti, si è anarchici, ci si intende, il saluto è sottinteso, e le masse vanno a sentenziare contro il nostro supereroe con Tizio prima e Caio dopo. Mentre Errico Malatesta inizia a scolpire a pugni la lastra in marmo che da troppi anni lo blocca, per cedere il proprio oculetto, dove vi è compagnia di vermi già rodati per il verme nostro strisciante supereroe.
Salvatore Massimo Fazio