Considerata dai più come la regola da seguire. L’alchimia e spiritualità nel segno del suo nome, oltre alla dedizione costante, portano fortuna. Consegniamoci dunque ai lettori in questa intervista a Giovanna Mulas, la scrittrice sarda, classe 1968, candidata al Nobel per la letteratura.
Quale emozione si prova ad essere nel calderone del Nobel mantenendo uno stile di vita artistico riservato, senza coup the théâtre che ti potessero accompagnare verso i successi pilotati? Alludo alle grosse case editrici che in troppe preparano lavori a tavolino.
«Per un autore di serio percorso quella per il Nobel rappresenta, come ogni premio letterario di rilevanza internazionale, una porta che si apre al fine di evidenziare, nel bene come nel male, una struttura letteraria, uno stile, una persona. Ma oltre quella porta continueranno a camminare soltanto il talento quando e se presente, quindi la volontà dell’autore».
Una carriera di dedizione all’arte della parola, della scrittura, e i riconoscimenti nazionali e internazionali per Giovanna Mulas arrivano presto. Così, come “trottola” ti ritrovi in giro per il mondo a ricevere encomi di spessore. Tutto ciò è frutto di un lavoro intuitivo dell’anima, di un vissuto anche doloroso, di una forma mentis che ti hanno spinto a scegliere ad esempio case editrici indipendenti.
Ma tutto quello che hai prodotto, lo hai fatto sempre partire rimanendo nella tua terra?
«Sì, e per precisa scelta. In verità non ho una terra. Tutto il mondo è la mia terra e questa mia isola, contemporaneamente, è tutto un mondo. In ugual modo, ognuno di noi porta in sé il mondo, e per natura. Credo e lavoro da sempre per una letteratura che sia universale, come è o dovrebbe essere un Uomo degno di chiamarsi tale: senza razza o padroni, consapevole delle sue responsabilità in un preciso periodo storico e politico eppure abitante un time no time, un tempo che sia non tempo; necessario alla sua lucidità mentale. Del resto sono convinta che nulla di nuovo può accadere che non sia già accaduto.
Con l’esperienza ho appreso quanto, tramite la mia professione, si può e si deve fare per la società; quanto ombelico e specchi a poco servono. Quanto sia fondamentale la conoscenza di noi stessi quindi l’altrui, per scriverne: viaggio continuo, messaggio costante, anche scomodo. La letteratura, oggi più che mai, ha il dovere di farsi impegno civile, fuori dall’acritico, dall’apolitico, dallo sterile: specchio della realtà.
È un cammino a piedi scalzi. Lungo, certo. So che durerà una vita».
La tua opera poetica è stata tradotta e diffusa anche in lingua romena, e fin qui ci può stare. Se non che la traduttrice è la medesima di Cesare Pavese, cioè la Mara Chirițescu. Questa pregiata iniziativa culturale viene sostenuta dall’Ambasciata Italiana in Bucharest, e proposta ufficialmente il 7 giugno presso l’Istituto Italiano di Cultura della stessa capitale romena.
Come hai fatto a rimanere in una posizione di alta umiltà faticando letterariamente e guadagnando sempre più emozionanti momenti come quest’ultimo?
«Ho lavorato e lavoro costantemente su di me di feroce autocritica. Operiamo in una società frastornata da consumo e bugie, dalla perversione dei media. Fino a che si continuerà a confidare nel ‘progresso’, ad attribuire un senso esterno alle cose prettamente umane, si continuerà a rimanere comodi nel nichilismo che ci è stato costruito attorno negli anni. Una campana di vetro dove nulla filtra se non ciò che il “Gran Burattinaio” desidera che venga filtrato.
Ci saranno ancora, forse per millenni, caverne nelle quali si mostra quella che è, in un modo o nell’altro, l’ombra di un dio. Ogni vaso di Pandora può rappresentare, per un viandante sperduto, il dio di turno. qui sta l’uomo e la sua voglia di conoscere, cambiare, costruire una nuova, spero migliore, Umanità… È un mare in tempesta che partorisce un capitano o il cuoco di bordo: si deve fuggire la rassegnazione, l’individualismo, la chiusura verso l’esterno. Perché è proprio in una società dove omertà e indifferenza la fanno da padrone che la comunicazione si spezza e le domande non trovano risposta».
Giovanna Mulas, non è soltanto una monade culturale, che si alimenta e che emana energia e voglia di fare bene per il bene. È anche una straordinaria madre che ha allevato quattro figli in momenti molto critici, come il rischio di morte per mano di un uomo.
Quali emozioni si sono scatenate? E vi sono stati rischi di caduta, se vi è stata, senza risalita?
«Il rischio di caduta è quotidiano. La mia ferita è sempre aperta e ogni volta che una donna, sorella, muore per mano di un amore malato, la ferita riprende a sanguinare. Certamente la Mulas di oggi non sarebbe senza ciò che ha vissuto, nel bene e nel male. È importante rimarcare costantemente l’importanza dell’unità, della collaborazione tra donne fuori dal pregiudizio imposto, dall’ipocondria morale. Pure, che in Italia occorre una legge che davvero prevenga, che davvero punisca il colpevole della violenza. Non si può piangere il dopo. Tutto questo è indegno, è mediocre. Non può dirsi Stato quello che non protegge, quello dove il più debole – donne, bambini, anziani, disabili… – non ha garanzia di una vita sicura».
Ci saluti con una goccia di platino, una chicca in anteprima?
“…Quanta luce noi Pirati, Mercenari!
Qui ritorniamo
a volte
E senza rimedio
(con le belle parole è possibile cambiare un mondo):
non c’è spazio nel fuoco per i Poeti
solo danza tra le ingiustizie
Sopravviveremo nei ritagli di un colore.
Venti passi lunghi Vitamia
fino a riva.”