Da La Sicilia del 28 dicembre 2022
Paladine della libertà ante litteram
“Di donne, di ieri”, primo romanzo della giornalista Giusi Arimatea, è la storia di una famiglia raccontata dalla giovane Lulù.
«C’è un po’ di me, storie che avevi afferrato in un tempo lontano»
Ideologie, generi, la fascinazione nello scoprirci in un determinato modo, conoscere le radici seppur le abbiamo vissute, approdando alle semplici cose: il calcio, il cinema, le passioni, i viaggi, l’evasione dalla terra natia, il ricordo di chi ti ha allevato. Tutto questo è il debutto alla narrativa della giornalista Giusi Arimatea “Di donne, di ieri” (Pungitopo, pp.112. € 13) da qualche giorno in libreria, l’autrice però chiarisce che già aveva: «[…]scritto ma per il teatro, nel 2018 avevo pubblicato un saggio storico sul colera del 1887 a Messina». È la storia di una famiglia al femminile dove Lulù è la più piccola. Quest’ultima è anche la voce narrante, che ricorda la madre Rita, ripercorrendo l’evoluzione sociale dalla rivoluzione sessuale agli anni di piombo, supportata da una vedova: «è l’estranea che le porge la mano; sopravvissuta già poco dopo essere nata, scampando al terremoto, fuggita anch’ella da un’esistenza stretta, ancorché doverosa». Allegorica la scrittura che rende onore al miglior simbolismo archetipico hillmaniano che rivolterà la vita della protagonista, grazie a questo ripercorrere. Soffermandoci sullo stile abbiamo chiesto alla Arimatea cosa l’ha spinta a far convergere la miscellanea di stili che in parallelo affrontano la crescita di Lulù: «Non volevo la scrittura ponesse argini ai pensieri, ai ricordi della protagonista. Mi sono adoperata per lasciarla straripare, lasciando che le parole, la costruzione delle parole si adeguasse al ritmo della mente e del cuore di Lulù, non il contrario. Le frasi sono spesso brevi, lo stile credo risenta molto della mia personale necessità di chiarezza. Volevo asciugare, per decifrare meglio le cose. Volevo eludere il superfluo, per puntare diritto al cuore delle questioni.» C’è qualcosa di lei in Lulù? «Nel romanzo c’è naturalmente anche un po’ di me. Non in Lulù, o meglio non solo in lei. Ci sono tutte le mie passioni, per esempio: dal cinema al teatro, dalla letteratura al calcio, dalla smania che talora mi prende di correre alla paralisi che altre volte mi trattiene, impedendomi di muovere un solo passo.»
“Di donne, di ieri” parrebbe femminismo, ma non militante e attivista: ne conviene? «Tre donne come quelle contenute nel mio romanzo forse non avrebbero potuto “militare” nel femminismo inteso come movimento. Insieme e ciascuna alla propria maniera provano a trovare il proprio posto nel mondo e a sovvertire certi schemi senza attingere ad alcun manifesto programmatico. E il bello sta proprio nel loro essere paladine della difesa di certi diritti, di certe libertà prima che quei diritti e quelle libertà fossero addirittura concepiti. Se poi le si considerasse femministe ante litteram non credo si dispiacerebbero. E neanch’io mi dispiacerei.» A cosa si è ispirata? «Non una, ma varie storie. Erano frammenti del mio passato, di un passato comune, storie che avevo afferrato in un tempo lontano. Ne riesumavo una e subito scorgevo i contorni di quella dopo. A scortarmi, il desiderio di affrontare il passato, la necessità di “sentire” il dolore, la consapevolezza che andasse in qualche modo liberato.» Potrebbe essere terapeutico scriverne (Cioran docet)? «Introduco dicendoLe che Cioran è sempre sul mio comodino; sulla terepeuticità ho sempre pensato che i personaggi chiedessero di raccontarsi. A me è successo esattamente questo. Alla fine, io stessa mi sono sentita più leggera. Ho come avvertito la sensazione di aver chiuso un cerchio aperto da troppo tempo.»