Cristina Caloni è autrice di “Animali bianchi”, un romanzo corale a episodi che affronta i temi del gender e della cultura queer. «Ho coccolato per anni le mie creature angeliche»

Una laurea in filosofia e il lavoro nel mondo artistico, sino alla malattia alla vista che non l’ha certo fermata, tant’è che Cristina Caloni nel 2017 esce con “La mia stagione è il buio” per tornare quest’anno con “Animali bianchi” (Golem, pp.172, € 15). Generi diversi che hanno stimolato la critica: come mai ha cambiato? «Non credo che la coerenza sia una qualità, in letteratura. Dicono che uno scrittore parli sempre dello stesso argomento, declinato in forme differenti. Il mio allora è l’amicizia tradita o persa, filo conduttore tra i due romanzi. Animali bianchi sarebbe il mio vero esordio, scritto quando avevo vent’anni ed ero molto arrabbiata per le ingiustizie che vedevo e subivo. È un racconto corale che, attraverso la voce di vari personaggi, ne svela uno che non compare mai, se non nei loro ricordi, come ne L’urlo e il furore di Faulkner. Si tratta di Fran, cantante lesbica, moderna Lady Oscar. Gli animali bianchi cercano se stessi esplorando i rapporti senza pregiudizi, finendo spesso in amori non corrisposti. Alcuni di loro sono androgini e queer, ovvero vivono la sessualità e l’identità al di là degli archetipi e della contrapposizione binaria tra i generi maschile e femminile. Sono molto affezionata alle mie creature angeliche, coccolate per tanti anni: finalmente è arrivato il loro momento, sono animali bianchi i cantanti del Sanremo appena trascorso, gli Spatriati di Desiati, le sciamane di Vanni Santoni e le amanti di Viola Di Grado». Quando l’ha colta il piacere di scrivere? «Credo verso i sette anni, dopo aver letto Il giardino segreto, ma poi non ho seguito studi specifici, a parte molte letture e una laurea umanistica, perché nessuno mi incoraggiava e io mi vergognavo un po’ di tale necessità di esprimermi. Poi, con la malattia, mi son detta che non avevo niente da perdere, non avevo più tempo, così mi sono buttata. Sono sempre stata una discreta grafomane e, negli anni, ho accumulato un numero spaventoso di materiale prima di provare a scrivere in maniera professionale, con più consapevolezza delle tecniche e dei meccanismi narrativi. Quando leggo un romanzo non riesco a non smontarlo e analizzarlo».

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Oltre la scrittura? «Prima di tutto, purtroppo, sono una disabile visiva, che è un atroce scherzo del destino per chi scrive e legge. Mi hanno salvato gli audiolibri. Da quasi dieci anni non riesco più a trovare un lavoro, quindi scrivere è la mia unica occupazione, ma vivere di scrittura è molto difficile. Cerco di dimenticarmi della malattia, in questo la scrittura è un valido aiuto. Dunque amo la fiction e non l’autofiction o l’autobiografia, anche se in questo momento l’editoria predilige testi del genere. Così sfatiamo anche la diceria che gli scrittori siano narcisisti: non è vero, non tutti. Sono anche un’amante della natura e degli animali: mi piace fare trekking con il mio cane Willow. E adoro ballare swing». Nuovi progetti? «Ho un romanzo pronto, ispirato a un caso irrisolto di cronaca nera, a metà strada tra la narrativa generale e il neogotico. Saranno contenti i lettori che hanno preferito ‘La mia stagione è il buio’. Purtroppo, non ha ancora un editore. Sto lavorando a un altro testo ispirato alla figura di Maddalena Rostagno, inoltre mi piacerebbe pubblicare una raccolta di poesie che ho tradotto personalmente in inglese. Nonostante la crisi dell’editoria, continuo a credere nel potere della letteratura e nelle capacità dei lettori – non penso vadano compiaciuti, li si sottovaluta, non sono stupidi».