Da La Sicilia del 20 agosto 2022
Lontano dalla grande madre Russia
Torna negli scaffali delle librerie l’intellettuale svizzero Sergej Roić: Roche è l’antagonista di De Gaulle, ed Eric Feríta è un suo strettissimo “consigliori”
Il ’68 è il momento (più) epico della Storia: chi vi ha aderito ha permesso il cambiamento, ce l’ha fatta per se stesso e per il mondo intero. Dalla Francia tutto ebbe inizio, la Francia quella stupenda nazione dove se eri di destra, di centro o di sinistra poco importava, la cosa più giusta era essere patrioti. Il ’68 non ha vinto tout-court, ma è pur vero che molto è cambiato. Da alcune sottomissioni sovvertite al capovolgimento musicale, fino al cinema, dove il compagno Eric Feríta lancia l’appello al generale Roche: «facciamo girare un film al dissidente regista russo Martin Aleksandrovicˇ Belogradski, si proprio lui che rifiuta di tornare in URSS… un film che crei una liaison tra la nuova Francia della Sesta Repubblica e l’URSS, un film su Giovanna D’Arco”. Con una strategia immaginaria e stravolta della Storia, torna negli scaffali libreschi l’intellettuale svizzero Sergej Roić. Roche è l’antagonista di De Gaulle ed Eric Feríta è un suo strettissimo consigliore. La vicenda si svolge nel 1971 dove Belogradski non vuole tornare nella grande madre: la Russia, così si avvia un processo di interesse culturale che interroga la storia dell’ultimo cinquantennio: cosa sarebbe accaduto se il ’68 avesse vinto come intendevano tutti i miliziani rivoluzionari? Nulla: se non un capovolgimento delle speranze artistiche politico culturali. Nel capitolo focus titolato ”Per realizzare ciò che proponete dovremmo riscrivere la rivoluzione”, di questo straordinario romanzo, Sergej Roić, afferma la sua grandezza. Il coraggioso scrittore giornalista di origini croate è stato l’unico a scrivere il proseguo di “Solaris” a distanza di decenni, ottenendo un successo planetario che ha garantito a Mimesis edizioni un posto di rilievo nell’editoria contemporanea (anche se qualche caduta l’abbiamo appena notata sul fronte pseudo filosofico).
Ma continuiamo con “Feríta. Giovanna D’Arco, anno 1971” (Mimesis 2022, pp. 164, € 14). Il volume si apre con la spiegazione di cosa è la decostruzione. Partendo inevitabilmente da Derrida, Roić non può che scomporre la struttura di una vicenda che ha cambiato il mondo, il tutto praticandolo con immagini e riferimenti filosofici di altissima levatura e dell’ottava meraviglia artistica che è il cinema: tante sono le rammemorazioni delle immagini. C’è l’incontro tra il rivoluzionario filosofo Eric e il poliziotto, al quale viene spiegato che la ferita è dolore creato dalla mente, punizione auto inflitta. A Eric che di cognome fa sempre Ferìta, piace passeggiare per Parigi, piace immaginare ciò che sta portando a termine, ciò che è riuscito a proporre ad un sinistrorso generale, che però sempre politico rimane. Tra narrazione interrotta e momenti di alta poesia, traslitterata sempre in narrazione, l’autore riesce a consegnare un gioiello raro della nuova letteratura contemporanea che sicuramente meriterebbe una battaglia sul campo letterario: se a filosofi nostrani s’ergono malati di mente a riscrivere ciò che fu già detto, con Roić la rivoluzione è servita grazie a una scopia terminologica e assiologica, dove il pavido riesce a emulare l’idolo, altro non saprebbe fare, altro non può fare, altro non è degno di fare; mentre l’ardito, Roić, rilancia senza preoccupazione e senza alcuna licenza poetica, perché se dichiari il vero, seppur nell’immaginario, ben venga lo stato di ribellione d’archiana memoria, che solo ultimando la lettura della sua nuova opera renderà onore al merito e poco importa se lapilli di contestazioni dovessero presentarsi.