Da La penna nel cassetto del 17 maggio 2022
Salvatore Massimo Fazio ci racconta
“Il tornello dei dileggi”
Di Amalia Angione
Salvatore Massimo Fazio ci parla del suo libro “Il tornello dei dileggi” e dice: “ho potuto dare libero sfogo al divertimento”
Oggi torno a parlarvi di un romanzo, Il tornello dei dileggi di Salvatore Massimo Fazio, che avete conosciuto tramite una segnalazione (la potete leggere cliccando qui). In realtà, a parlarvene è l’autore stesso attraverso una intervista che gentilmente mi ha concesso e che ci racconta, come nessuno potrebbe fare meglio, i protagonisti e di cosa ruota e ha ispirato la storia.
I lettori del blog già hanno avuto modo di conoscere, tramite una segnalazione, il suo libro, ma prima di scoprire altro, ci dica chi è Salvatore Massimo Fazio.
«Fui sognatore, ancora oggi mi riconosco in tale definizione. I sogni non bisogna tralasciarli mai, e se non ti arrendi in qualche modo si realizzano: se non come li auspicavi, sicuramente migliori o peggiori. In breve mi pento d’esser stato sognatore, d’aver creduto alla buona fede del mondo, in quanto molte cose, non tutte, molte nascono dai loro opposti: dalla melma il fiore, dalla fondazione del PCI, con Bombacci, politicamente parlando, la rivoluzione interiore verso il fascismo; pertanto mi pento ma continuo a sognare.»
‘Il tornello dei dileggi’ rimanda ad un via vai esistenziale, è così o nella vita c’è linearità?
«Il tornello è un romanzo, se si può definire tale, ciò perché da diverse parti hanno notato un taglio saggistico seppur scorrevole come un romanzo, punta all’esistenziale, partendo dall’esistenzialismo filosofico puro. A tal proposito, la vita è sconcertantemente un pendere su scie esistenzialiste, che non debbono essere viste come una tragedia, tutt’altro: comprendere e vivere il declino o il successo di una posizione, non può che opporsi alla piattezza, intesa come linearità e facilità del percorribile, in cui ci si trova. La linearità è figlia, in ogni caso, di un compromesso: una raccomandazione che mi risolve la questione economica o un’agenzia matrimoniale che mi capitola nella distruzione della libertà facendomi trovare un marito o una moglie, quando non si è stati mai pronti a scommettersi nella relazione di coppia. L’opposto, il diabŏlus, dal quale proviene il sostantivo appena citato, ha la peggiore devastante delle matrici: perché devo congiungermi al mio opposto (nel senso di altro, non di genere), quando pre durante e post divorzio, violenze e abusi di ogni genere verso la donna si consumavano socio-fisico-psicologicamente? Basta pensare al diritto di voto, o alla possibilità di lavorare al pari del maschio? Dunque nell’unione la linearità, che altro non è che il suo opposto. La vita è lineare così da fondare terremoti esistenziali e continui.»
Paolo è il protagonista di quest’opera. Come lo presenterebbe ad un suo amico?
«Per ciò che è, una intersecazione di problematicità, nonostante abbia raggiunto ciò che desiderava, fino all’exploit finale di ogni suo momento, che rimette, nuovamente, tutto in gioco: dunque un umano? Un sogno? Una obiezione ontologica? Condito necessariamente di sberleffo e dileggio.»
Paolo ha a che fare con la filosofia e anche lei. C’è autobiografia in quest’opera?
«C’è molto di biografico, ma poco in Paolo, se non che è tifoso di calcio, di Zeman, del Catania e della Roma. Tra Adriana, Giovanna e Aristide c’è molto di biografico invece.»
E dei personaggi femminili cosa ci può dire?
«Tantissimo, ma una su tutte: ho attinto informazioni da persone che ho conosciuto e visto; nel tempo si sono ripresentate caratteristiche comportamentali del personaggio Adriana ad esempio, costruita su alcuni specifici canoni, in tantissime altre donne, che ovviamente con giochi pirotecnici della penna ho riproiettato in altre. Basti pensare alla descrizione della misoginia, associata ad una donna che lavora per un marchio aziendale enorme, che pur di abbattere le sue paure, distrugge la vita altrui, sempre d’altre donne, motivando cazzi per mazzi, perché manca di sicurezza delle proprie abilità. Mi creda, un fatto reale di circa 13 anni fa che ho fictionizzato, ma che ho vissuto!»
Diverse città sono presenti nella trama, hanno un ruolo o sono solo un luogo come un altro?
«Hanno rigorosamente un ruolo: sono tutte città che ho vissuto, tranne Madrid, che l’ho soltanto visitata e dove ho ribaltato la mia quiete, così come ribalto quella di Giovanna. Da Madrid ho compreso l’errore più grande ad oggi annoverabile tra i miei pentimenti.»
Nell’opera c’è anche una lettura sarcastica della società contemporanea. Come definirebbe la società in cui viviamo?
«Lo scempio: è una società carica di “io, io, io, io”; gli stessi che asseriscono questo conseguimento di io ipertrofico e iperegoico, altro non sono che i peggiori mistificatori del reale. Vendette, canagliate, bigottismi, mascherati da ambienti, luoghi, colori politici a cui aderiscono… pensi e guardi un po’ i culetti accomodati nel parlamento del nostro Stato; pensi adesso a quanta fatica fanno milioni di italiani per riuscire a mangiare: non è demagogia, è un fatto reale! Frattanto masse di imbecilli litigano scendendo in piazza per onorare simboli di destra e sinistra. Potremmo pur vivere in pace se la smettessimo di mascherarci troppo e di combattere a rischio di giovani, come accadeva tra il ’68 e il ’77: non mi importa nulla di sentire ‘eroi’ di quei tempi, due li ho pure intervistati (pentimento), si uccidevano tra loro ed erano giovani, 17/20 anni: proiettili in testa, bastonate di gruppo contro uno, esito? Il dolore delle madri. Non mi andava di riportare narrazione del genere, pertanto mi sono ingannato volutamente, giocando col sarcasmo, di cui prima mi diceva sul mio romanzo.»
Infine, perché le persone dovrebbero leggere il suo libro?
«Oggi, trascorsi sei mesi esatti dalla prima pubblicazione, posso dire che interessa tanto e anche troppo, tant’è che questo potente ritorno del Fazio, ma narratore in 100 pagine con migliaia di argomenti messi dentro, piuttosto che saggista, non me lo aspettavo e anche perché ho potuto dare libero sfogo al divertimento che sempre non mi riusciva nei libri precedenti, in quanto saggi.»