Da La Sicilia del 16 gennaio 2022
Attraverso il dolore per rinascere
Il felice debutto di Letizia Cuzzola con “Foss’anche un romanzo”, ristampato dopo cinque giorni. «La morte di mia madre, mi ha costretta a guardarmi con occhi nuovi a ricostruire un’esistenza»
È stato un caso non annunciato né atteso ma che ha sorpreso. Il debutto di Letizia Cuzzola è datato 17/12/’21, per Città del Sole Edizioni. Il 21/12/’21 va in ristampa. Cosa è accaduto? Parliamone con l’autrice reggina iniziando dal titolo: perché “Foss’anche un romanzo”? «Perché le chiavi di lettura sono molteplici: può essere letto come un romanzo qualsiasi o con la consapevolezza che è il racconto di una vita, anzi due, che di letterario ha soltanto l’incontro fra la realtà che supera la fantasia.» Due vite con un’unica protagonista… «Sì, succede più spesso di quanto si pensi che dopo aver vissuto una malattia invalidante, un evento tragico come la morte di qualcuno a noi vicino o la nostra stessa vita in pericolo avvenga questa cesura: per me è stata la morte di mia madre ad avermi costretta a guardarmi con occhi nuovi, a ricostruire un’esistenza che non aveva più nulla a che vedere con la precedente.» Perché decide di raccontare questa esperienza dolorosa? «L’idea del libro è nata da una telefonata: in ospedale avevo conosciuto una ragazza che per anni aveva assistito la madre come avevo fatto io con la mia; due vite parallele e sovrapponibili ed entrambe siamo rimaste orfane a distanza di 24 ore. Mentre parlava della difficoltà di ricostruire una quotidianità che l’ha portata ad abbandonarsi a se stessa, improvvisamente mi ha chiesto “di chi ci prendiamo cura noi adesso?”. Di noi stesse, per me era quasi scontata come risposta ma lì ho compreso che non poteva esserlo se non c’è la buona volontà di attraversare il dolore per uscirne.» Come si attraversa il dolore? «È un’esperienza complicata perché richiede che chi ti sta vicino comprenda che la disperazione è un momento privato e può manifestarsi in maniera diversa. Come tutti ho tentato di tenermi impegnata, ho viaggiato per sfuggirle per poi tornare a casa e rimodulare gli spazi, guardarla in faccia e cambiarle i connotati: è un’energia che può spingere al fondo o una forza motrice per cercare una nuova strada.»
E questa strada dove porta? «Il libro è una sorta di eserciziario. La prima parte racconta quella disperazione precedente alla
morte di mia madre: le norme anti-covid per cui siamo rimaste separate per due mesi, lei dentro un ospedale e io fuori in attesa; racconta il lutto nelle sue convenzioni a tratti surreali nella curiosità morbosa degli altri. La seconda parte coincide la buona volontà di ricominciare e tutti i tentativi pratici di creare nuove abitudini, di capire chi fossi fuori da quei ruoli che la società ci impone: figlia, caregiver, professionista. Sembra scontato ma non ci conosciamo mai davvero. È stato un processo vero e proprio in cui mi sono erta ad Accusa e Difesa con una sentenza finale dopo 365 giorni, l’arco di tempo che mi sono data per uscire dal tunnel e sigillarne la porta.» Quanto è stato difficile trasportare su carta gli atti di questo processo? «Tanto ma avevo ben chiaro dall’inizio che mettermi completamente a nudo, non tralasciare nulla, anche quella vergogna del dolore che spesso è inconscia, era utile non soltanto a me ma anche a chi aveva vissuto o stava e sta vivendo questo momento già complicato di per sé ma reso ancora più difficile dalla pandemia che ha imposto nuove norme, regole e cambiato il rapporto con gli altri. Nel corso dell’opera la narrazione si fa sempre più scarna, con capitoli sempre più brevi fino a concludersi con un elenco di quanto ho plasmato “impastando” le mie due vite: una sorta di decalogo. Rinascere ha il vantaggio di poter portare con sé il bagaglio della vita precedente, le esperienze e farne tesoro per vivere, adesso, con consapevolezza.»