Da Letto, riletto, recensito! del 10 giugno 2021
‘Uno e 50’ è Michele: ingannato e asportato in Francia per giungere alla volta delle nuvole
Uno e 50 (pp. 223, € 15), pubblicato per i tipi di Bookabook e scritto da Maria Antonietta Rea narra di una vicenda scritta tra il dato reale e la fiction. Michele è un piccolo pastorello che vive assieme al padre Vincenzo, la matrigna Maria e una nidata di fratellastri che il genitore aveva avuto dalla seconda moglie. Il giovane a insaputa del padre durante un pascolo, viene consegnato ad un uomo che lo porterà con sé per lavorare in Francia: senza scrupoli approfittando della disperazione economica dell’epoca, l’uomo barattava la vita di bambini e adolescenti con le famiglie bisognose in cambio di poco denaro. I ragazzini dopo l’approdo in Francia venivano usati come manodopera in fabbriche di vetro o di altro materiale. L’esperienza è parecchio drammatica: schiavismo puro era quello a cui venivano sottoposti i giovani e la descrizione riportata dall’autrice sbalordisce e addolora il lettore. Grazie al suo docile carattere, ma anche risoluto, il ragazzo riesce a far uscire delle informazione del posto lager dove era stato confinato, facendo intervenire le forze dell’ordine che con un improvviso blitz, misero fine a quella tratta di giovani sfruttati.
Alla liberazione le autorità si prodigarono di capire quale fosse la provenienza di tutti, al fine di poterli rimandare nelle rispettive famiglie. Michele che aveva capito che era stato svenduto dalla matrigna decise di non far ritorno e attraverso la conoscenza di un uomo con cui aveva intrapreso un buon rapporto di amicizia trovò lavoro presso la zona portuale come addetto al carico e scarico di prodotti, ma non solo, sempre grazie allo stesso conoscente riuscì a farsi imbarcare su una nave da carico diretta in America. Durante la navigazione e le varie fermate, vennero imbarcati clandestini che dietro pagamento speravano di raggiungere lidi migliori dove vivere, ma l’ammassamento per il poco spazio a bordo, fece perdere la vita a molti, con conseguente gettito in mare dei corpi. Il ragazzo rimase sconvolto e una volta giunto a destinazione decise di non imbarcarsi più. Siamo nel 1915 e al giovane viene recapitata la cartolina precetto per rientrare ed essere arruolato tra le file della milizie italiane. Lui piccoletto di una statura, un metro e 50, sperava di essere esentato dal servizio di leva, ma ciò non fu possibile, tanto che subito arruolato fu inviato al fronte austroungarico nel tentativo di liberare Gorizia. Fatto prigioniero, più volte tentò la fuga, ma altrettante venne ripreso con conseguenze fisiche di una violenza inaudita.
Il libro di Maria Antonietta Rea è un pugno allo stomaco per i riferimenti storici e gli accadimenti di quegli anni, speci in periodi e ambienti dove la miseria regnava sovrana. Non possiamo continuare a raccontarvi le mille traversie del giovane che in qualche modo, cresciuto e messa su famiglia, riesce a tornare in Italia, a Sora nello specifico, dove realizzerà un’attività molto fruttuosa che lascerà in eredità ai propri figli e alla propria vedova, proprio perché Michele morirà.
E qui siamo alla meravigliosa genialità dell’autrice. Il protagonista non esce fuori dal romanzo, ma non nel senso di essere ricordato nella memoria, quanto in altra zona dell’universo dove tranquillità e cura da parte di una figura ci azzardiamo di re celestiale, gli permetteranno di star con gambe penzoloni a rimirar e mirar il proseguimento di ciò che è. Ci è doveroso comunicare che ad oggi gli eredi di eredi di Michele continua a vivere a Sora, dove l’umo alto uno e 50, viene ricordato con immenso affetto dai suoi discendenti ma purtroppo sconosciuto ai più, ma noi speriamo che dalla lettura di questa recensione la curiosità spinga quanti più persone a diventare lettori dello stranissimo libro che fonda e punta alla radici senza fare prosopopea del sud, bensì di un finale che lascerà piacevolmente colpiti.