Da La Sicilia del 21 febbraio 2021
Lo zibaldone di Permunian
Lo scrittore di Cavarzere racconta quel confine che passa tra una tormentata insonnia un fustigato soccombere degli ululati di cani ai bordi del Lago Di Garda e di preti falliti
In un’intervista dell’estate scorsa Francesco Permunian rilasciava una dichiarazione su quello che fu definito il ‘caso Permunian’: «Della qualità di Cronaca di un servo felice, ero – e lo sono ancora oggi – convinto. A loro, blasonati editori, stava a cuore (allora come oggi) nient’altro che la produzio- ne di una letteratura di largo consumo. Una letteratura da supermercato, in- somma, mentre a me piace invece una letteratura di alto artigianato». Francesco Permunian, da bibliotecario, in spazi intrisi di libri, ebbe la potente intuizione di capire quanta mondezza viene esaltata nella carta scritta e quanta poca ha il pregio di essere cosa rara. Non è arrogante, né tronfio, il poeta e scrittore di Cavarzere, trapiantato nel gardanese: è chiaro, cristallino, puro. Da Cioran, fui travolto, tanto da identificarlo come un puro anti santo. Frattanto scoprivo Permunian.
Al pari, se non addirittura a superarlo, Permunian, esordì come poeta, prima della narrativa dal taglio saggista, dove emerse e a tutt’oggi continua, prepotentemente la grandezza di chi ha dovuto affrontare un lavorio esterno, contro certa editoria degli anni ’80 e ’90, che a produrre ‘merce’ da supermercato non perdeva tempo, mentre per quell’Artigiano della parola ben curata, fruibile ai tutti, che la definivano complicata (e non complessa), alzavano sempre delle barriere, che il caso volle si rivoltarono contra.
Eccolo tornare dopo opere magistrali come “La polvere dell’infanzia e altri affanni di gioventù” o “Chi sta parlando nella mia testa?” o “Sillabario dell’amor crudele” e altre ancora, con l’appena pubblicato “Il rapido lembo del ridicolo” (Italo Svevo ed., 2021). Permunian, che è simpatico e per nulla stizzoso, come mi fu presentato da alcuni per tramite d’altri, presenta nella forma del diario, pensieri e accadimenti che ne ‘condizionano’ l’ispirazione per perle platinate. Sciabolatore di fatti e lontanissimo dall’ermeneutica, che tutto concede a verità grazie all’interpretazione, l’autore a più riprese racconta di quel confine che passa tra una tormentata insonnia, un fustigato soccombere degli ululati di cani ai bordi del Lago Di Garda, di gentucola e di preti falliti d’esser tali: non ce l’ha col ‘prete’, non ce l’ha con la Chiesa, ma ne trae conclusione anti cristiana, dello spergiuro che l’uomo s’innalza a superiore per una toga o per un latino usato a mo di santità, quando invece il cappellano crea discrimine. È il genio Permunian, che come nell’epigrafe di copertina «Pur stanco, afflitto e sfinito da una cronica insonnia e da un caldo boia – ‘el sofegòn de l’ista el me copa’, diceva sempre quella buonanima di mio nonno –, malgrado una siffatta agonia agostana, eccomi ancora qua a frugare come un ossesso tra sudatissime pagine di questo zibaldone che, più passano i giorni, più io temo possa sfuggirmi di mano riducendosi a un confuso ‘gnommero’ informe. Oppure, ben che vada, a uno sgangherato garbu- glio proliferante di voci e confidenze», resiste a tutto, nonostante lamenti dal mare tornano a inquietarlo, seppur lo omaggia di consapevole suggestione.
Rispolvera scelte errate (quando comunica col medico) a quelle opposte, e lo stupore ci possiede, e qui chiudiamo, quando dal gardanese sceglie di non allontanarsi perché tutto è lì, al di là del luogo nelle pareti della sua mente, dove la sua conoscenza viene svelata ai tutti che sanno che Permunian non osa, ma riporta i drappi dell’ alterità, costi quell’uggia, che in altri devasta, che apre alla verità ontologica.
Proprietà riservata “La Sicilia”