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SMF per La Sicilia – Pecorelli, la verità del Freddo – L’intervista a Raffaella Fanelli

1 Dicembre 2020 - Articoli di S.M. Fazio, DIGRESSIONI, ESCLUSIVA!, Interviste
SMF per La Sicilia – Pecorelli, la verità del Freddo – L’intervista a Raffaella Fanelli

Da La Sicilia del 1° dicembre 2020

Pecorelli, la verità del Freddo

L’intervista. Raffaella Fanelli ha pubblicato un libro sulla vicenda del giornalista ucciso nel 1979. Seguendo una pistola e la struttura occulta di Avanguardia nazionale

I giornalisti morti piacciono sempre e piacciono a tutti: ai colleghi, ai politici e spesso anche a coloro di cui i cronisti ormai defunti hanno scritto. È una regola non scritta, una specie di ‘onore delle armi’. Ci sono delle eccezioni, per quanto rare, una tra queste è Mino Pecorelli, il collega freddato con quattro colpi di pistola, esplosi non si sa ancora da chi, il 20 marzo del 1979. Per quarant’anni Pecorelli è stato ignorato. Dimenticato. Solo oggi, grazie al lavoro di Raffaella Fanelli, l’inchiesta sull’omicidio del giornalista è stata riaperta e le indagini hanno preso una direzione nuova puntando su un movente che porta ad Avanguardia Nazionale.

Il 22.11.’19 pubblicammo la lunga intervista alla Fanelli, su “La verità del Freddo” (Chiarelettere), libro inchiesta dove per la prima volta Maurizio Abbatino, uno dei capi della Banda della Magliana, concedeva la sua versione dei fatti a una giornalista.

Nella stessa emersero piccoli frammenti sull’omicidio del Pecorelli. Meno di un mese fa esce ‘La strage continua – La vera storia dell’omicidio Pecorelli’ (Ponte alle grazie). Un titolo che suscita non pochi interrogativi. Ricontattata la Fanelli, le chiedo il perché di un titolo così crudo: «È lo strillo centrale di una copertina abbozzata e mai pubblicata rinvenuta nell’auto di Mino Pecorelli la notte del 20 marzo 1979, poche ore dopo l’omicidio del giornalista».

La tua inchiesta giornalistica ha permesso la riapertura delle indagini sull’omicidio Pecorelli e l’avvocato Giulio Vasaturo, legale della Federazione Nazionale della Stampa italiana, costituita parte offesa nell’inchiesta, ha chiesto alla procura di Roma di acquisire agli atti il tuo libro. Ci sarà un nuovo processo Pecorelli?

«Vorrei risponderti con un sì. Perché solo consentendo a Vincenzo Vinciguerra di testimoniare si darà giustizia all’ingiusta morte di Mino Pecorelli. E’ assurdo che in 40 anni nessuno abbia mai indagato sulle dichiarazioni di Vinciguerra, che nessuno abbia mai messo a confronto Vinciguerra, Adriano Tilgher e Silvano Falabella. Assurdo che nessuno abbia mai cercato fra le armi sequestrate a Domenico Magnetta la pistola indicata da Vinciguerra. Perché un’arma dello stesso calibro della pistola usata per uccidere Mino Pecorelli è stata sequestrata a Domenico Magnetta nel 1995».

Per quella pistola – stando alle dichiarazioni di Vinciguerra – Magnetta avrebbe ricattato il fondatore di Avanguardia Nazionale, Tilgher, a cui chiese aiuto per uscire dal carcere. Chi è esattamente Magnetta?

«Di Magnetta sappiamo che era il responsabile della struttura occulta di Avanguardia Nazionale, una struttura di una decina di persone che facevano rapine in banca, in Italia, per aiutare i capi di Avanguardia latitanti all’estero. Magnetta era, ed è a tutt’oggi, amico di Massimo Carminati. Furono arrestati insieme, nel 1981, al valico del Gaggiolo mentre cercavano di scappare in Svizzera. Durante quell’arresto gli uomini della Digos spararono contro Magnetta e Carminati, lì perse l’occhio sinistro. Sono sempre stati amici. E Abbatino ha da sempre accusato Carminati di essere il killer di Pecorelli. Accusa mai ritrattata».

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Riguardo Vinciguerra, facciamo un passo indietro: trovi il verbale del neofascista di Ordine Nuovo cercando riscontri a una dichiarazione di Abbatino sul caso Moro. Abbatino ti aveva rivelato di un incontro con il democristiano Flaminio Piccoli e della richiesta ai boss della Magliana di cercare il covo dove le Brigate Rosse tenevano prigioniero Aldo Moro. Cosa riporta Vinciguerra nel suo verbale?

«Il verbale è del 27 marzo 1992 e ad interrogare Vinciguerra, all’epoca detenuto nel carcere di Parma, è il giudice Guido Salvini. I fatti che racconta si riferiscono al novembre del 1982, a un suo periodo di detenzione nel carcere di Rebibbia. Vinciguerra era in cella con Adriano Tilgher e Silvano Falabella, entrambi di Avanguardia Nazionale. Nel corso di una conversazione riguardante l’episodio dell’arresto di Magnetta, avvenuto nel 1981, Tilgher parlò del ricatto di quest’ultimo: se i vertici di avanguardia nazionale non lo avessero aiutato ad uscire dal carcere lui avrebbe tirato fuori la pistola usata per uccidere il giornalista Mino Pecorelli. Quando si è ricattati è perché si ha qualcosa da nascondere e per capire quale fosse l’inconfessabile segreto dei vertici di Avanguardia sono andata prima da Domenico Magnetta poi da Adriano Tilgher. Nel libro ci sono entrambi. Racconto i nostri incontri e riporto le loro dichiarazioni. Così come riporto le dichiarazioni di Franco Freda, di Gianadelio Maletti e di due collaboratori di Mino Pecorelli, entrambi testimoni di incontri fra Pecorelli e Giovanni Ventura”».

Dalle pagine della postfazione curata da Stefano Pecorelli, figlio di Mino, emerge la vita del giornalista che fu in prima linea nella battaglia di Montecassino, una delle più sanguinose della seconda guerra mondiale: “In quella battaglia mio padre affrontò la morte, furono solo cinque i sopravvissuti del suo plotone e oltre 2 mila i morti. Il soldato Pecorelli fu decorato con la croce di ferro per aver affrontato con onore il nemico ed è stato ucciso il 20 marzo del 1979 da quattro colpi di pistola esplosi da un vigliacco che non aveva visto arrivare”.

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