Da La Sicilia del 10 giugno 2020
Sbaiz una famiglia in guerra
L’intervista. La malaluna è il romanzo di esordio del poeta Maurizio Mattiuzza, saga tra due conflitti mondiali. «Ho seguito i miei personaggi dentro al fiume delle cose».
Il punk italiano ha una sua matrice che si trova a nord est, in Friuli, e si incrocia con le tonalità post punk dei Sick Tamburo, non dimenticando la ‘guerriera’ Elisabetta Imelio, che ci ha lasciato da poco più di tre mesi e con quello della famiglia Sbaiz, narrato ne ‘La malaluna‘ dall’ex prime mover della scena art punk friulana Maurizio Mattiuzza, che si pone come ritorno alle immagini necessarie da cucirsi addosso, come lo stesso rilascia: «Quel suo bisogno di dire, di raccontare e non venire dimenticato a un certo punto è diventato il mio». Mattiuzza è il poeta riconosciuto su scala europea che ha dedicato parte della sua vita al ruolo di agitatore culturale nel movimento delle radio libere e che ha esordito alla narrativa per Solferino, proponendo un romanzo storico, da sfumature e da uno stile impeccabile che richiama personaggi del calibro di Pratolini, Sciascia e Cassola. L’impronta nihil-punk, sembra palesarsi nelle vicende di Valentino e Luisa Sbaiz a ridosso delle due grandi guerre, anche se l’autore ribatte che: «Il doversi arruolare, per non morire fucilati, degli uomini della famiglia Sbaiz non è una scelta nichilista, quanto l’unica scommessa possibile alla loro condizione, perché disertare frontalmente è, nel quadro in cui agiscono loro, una morte quasi certa». Al chiedergli di richiami autobiografici, Mattiuzza incalza: «Di personale in questo romanzo non c’è quasi nulla, anche se l’eco mai spenta di un desiderio giunto fino a me da gente a cui anche io appartengo è forte».
Motivo per il quale da poeta ti sei sperimentato nella narrativa?
«Sono un viaggiatore, anche in letteratura. Quando scrivo, per prima cosa seguo un filo, una traccia nell’erba. Questa storia, quando mi è nata dentro, addosso, mi ha portato là dove sentivo di dover andare. E per questa storia, che io vedevo come fosse un albero, ci voleva un romanzo».
Frammenti di fiction, falsificazione, così sembrerebbe, nonostante affermi una verità d’appartenenza.
«Scrivo tenendo fisso un certo rigore. Falsificare è un verbo magico e che si presta però, già di per sé, a fraintendimenti. Farlo in arte, con una creatività che genera altri sguardi, altri mondi, è un’avventura irrinunciabile della letteratura; sviare consciamente delle prove oggettive invece è un tradimento della verità. Perché la verità, i fatti per come sono andati, esistono. Io vedo oggi, in Italia, una “dietrologia” che confonde le dinamiche complesse che stanno dietro a certi accadimenti in sé. Un gioco a dissolvere, a confondere, che andrebbe fermato. Tornando a La Malaluna, c’è molta fantasia. Personaggi realmente esisti e personaggi inventati, fatti veri e fatti che ho immesso io. Questo però sempre tenendo fermo il desiderio di far emergere il senso “reale”, tangibile, fosse anche solo emotivamente, di cosa è stato, ad esempio, per chi lo ha provato e lo ha trasmesso in avanti, vivere da sloveni in Italia durante il fascismo, che cosa è significato perdersi in un fiume di profughi dopo Caporetto o trovarsi a Gela la notte del 10 luglio ‘43».
Lo stile puro e perfetto, rischia di far perdere il file rouge dei contenuti attraverso la miscellanea di finzione e verità del medesimo?
«Ciò che può apparire una miscela di realtà e finzione, nel mio intento è una sorta di “verosimiglianza creativa” al servizio di una narrazione il più rigorosa possibile. Anni a studiare fatti storici che intersecano le vicende della Malaluna:ho seguito i miei personaggi dentro al fiume delle cose che sono loro capitate nella realtà che è giunta fino a me; lo stesso ho fatto per quelli che ho inventato. Come dice il prologo “questa è una storia di poca gente”, nella quale però, me lo scrivono ogni giorno diversi lettori, si specchia qualcosa che, oggi lo scopro anche io, appartiene a molti».
Va bene la verosomiglianza creativa, ma le donne di casa Sbaiz, come molte di quel tempo, son maestre nel mostrare una forza solida e non scalfibile?
«Scontato il fatto che ne “La Malaluna” vivono e pagano tutti, anche con la vita, ciò che spero emerga è la forza calma, saggia, sopravvivente delle figure femminili. Il coraggio, ancora poco narrato, di chi aveva allora, e in parte ahimè anche oggi, un ruolo fortemente sottovalutato nella società eppure sa, deve, affrontare tutto, soffrire tutto, come conseguenza di fatti a cui non ha partecipato, di decisioni che avrebbe orientato di certo diversamente. Comunquenessuno dei personaggi de “La Malaluna” pensa mai che arrendersi sia la soluzione, non lo faranno infatti».