Casualità, errori e pertinenze nell’esordio del viterbese Alessandro Serpetti – L’intervista
Con “Pertinenze d’ombra” le influenze di un viaggiatore in una spy story che scuote l’animo
Chiacchierando con un distinto signore dal nome Alessandro Serpetti, ho scoperto, oltre la sua ironia straordinaria, «sono nato a Civita Castellana… per puro caso», che mi trovavo innanzi all’autore di Pertinenze d’ombra. ‘Apolide’ che dopo la laurea in chimica presso L’Università La Sapienza di Roma, conseguita nel 1968 e dopo diversi lavori ha girovagato per il pianeta, «ho lavorato come ricercatore presso l’Istituto di Chimica Organica e come consulente all’Istituto di Microbiologia. Nel 1970 mi assumono in una multinazionale e l’anno successivo mi trasferiscono a Hong Kong. Dopo tre anni, mi inviano in Sud Africa e dopo altri tre in Inghilterra, dove rimarrò per nove anni».
Che giro elettrico, gli dico. Mi stoppa e incalza: «È nulla! Nel 1986 di nuovo trasferito a Hong Kong come responsabile del Far East con un incarico di alto livello per le strategie nei confronti della Cina, dove riceverò anche incarichi dal Governo di Hong Kong (vice presidente del Environmental Protection Committee, membro direttivo del China Committee e altro)». Non ti stancavi? «Per nulla, fui eletto Presidente della Camera di Commercio. Fondai una Società in Joint venture con un partner cinese e un coreano per la realizzazione di un impianto petrolchimico sino a diventarne il managing director». Ma da quando sei a Roma? «Definitivamente dal 2007, ma ancora non è finito il mio girovagare: vengo assunto da una società d’ingegneria nel 1998 e mi trasferisco a Houston in Texas. Dopo tre anni mi invieranno a Rio de Janeiro a dirigere la costruzione di un grande complesso petrolchimico; come se non bastasse sarò eletto membro del consiglio di amministrazione della filiale venezuelana che producevafertilizzanti… e adesso da 13 anni sono tornato a casa dove vivo tra Roma e la Toscana», e dove hai scritto il libro Pertinenze d’ombra pubblicato da Il seme bianco, «Esattamente» replica.
Come nasce Pertinenze d’ombra?
«Durante gli anni professionali, ho avuto modo di conoscere e apprezzare le diverse culture dei luoghi dove ho operato. Ho letto moltissimo: la letteratura, la storia, la filosofia, l’arte di quelle regioni, visitavo monumenti, musei, bellezze naturali e, con un pizzico di presunzione, credo di essere diventato un esperto di Cina».
Oltre alla lettura e il viaggio per motivi di lavoro?
«Per motivi di lavoro, certo, ma io amo viaggiare. Mi piace la fotografia, la fisica quantistica, l’astrofisica, la storia del cristianesimo, e lo sport, in primis tennis, vela e fotografia subacquea».
Ci introduci Pertinenze d’ombra?
«È la storia drammatica di due ragazzi, Giulio e Marta, e del loro amore contrastato da un destino malevolo. Lui esuberante, ambizioso, proiettato verso il futuro, lei riservata, ancorata alle tradizioni. S’incontrano, si amano iniziando quella che sembra una felice e spensierata storia d’amore».
Tutto qui?
«E mica posso spoilerare?» – ride di gusto Alessandro.
Se scrivo io, lo racconto tutto, perché mi ha lasciato con quei dubbi classici che un bravo autore innesca nel lettore, che a sua volta si innamora del racconto, dello stile e inizia la ricerca spasmodica di altri libri dello stesso autore…
«E non potresti».
Perché?
«Perché è il mio debutto nel mondo editoriale».
E subito con una indipendente del calibro del gruppo LIT?
«Gli è piaciuto evidentemente e ci hanno creduto».
D’accordo, allora lo racconto io…
«Non t’azzardare! Dai, due colpi di scena che non implicano troppo, li svelo. Una bimba viene abusata, Giulio è l’accusato e lo arrestano. Marta, la sua compagna va in crisi».
E poi succede che?
«Adesso basta non ti dico più nulla, e anche tu farai altrettanto. Vero?»
Dipende (ridiamo). Ma cosa ti ha spinto a trattare di questo argomento, che poi non è solo questo, sino a partorirne un libro che seppur da pochi giorni pubblicato sta destando interesse?
«Un giorno mi è capitato di vedere “Il frontone di Talamone”, con le scene del mito dei “Sette a Tebe” e mi sono tornate alla mente le tragedie di Eschilo e di Sofocle, la lotta dell’uomo per sottrarsi al volere malevolo degli dei, l’ineluttabilità del fato e le conseguenze delle nostre azioni malvagie. Avevo già in mente una sorta di canovaccio e così ho iniziato a scrivere un racconto dove i personaggi sono vittime del caso, commettono errori spinti da odio, superbia, incapacità a perdonare, autocommiserazione, errori che stravolgono la loro esistenza. L’opera non è autobiografica però descrive situazioni e luoghi di cui ho avuto esperienza. Non ha fini morali né didattici. È una storia drammatica d’amore ma è anche un thriller e in un certo senso una spy story.
E poi ha un finale del tutto inaspettato, è stato definito un coup de thèatre».
C’è un destinatario che hai pensato quando hai scritto Pertinenze d’ombra?
«L’ho scritto perché ne sentivo il bisogno, dovevo esternare cose che vagavano nella mia immaginazione. Scrivere è stata una liberazione e una soddisfazione, non mi sono mai stancato né avuto dubbi o ripensamenti. I personaggi si sono materializzati spontaneamente mentre scrivevo. Mi sembra di averli sempre conosciti, sono vivi. Aggiungo che c’è stata in me la volontà di rendere partecipi i lettori del racconto creato dalla mia fantasia sperando di suscitare in loro le emozioni che ho provato io».
Il tema è serio, tu sei ironico, e contieni modus vivendi et operandidelle culture che hai vissuto: hai ricevuto riconoscimenti per questa tua prima? (Io mi sono complimentato privatamente e lo faccio anche pubblicamente, perché ripeto, mi ha molto preso l’incrocio di contenuti che scorrono meravigliosamente nel tuo libro).
«Ho ricevuto apprezzamenti verbali molto positivi da persone che hanno letto il libro. E ti racconto un aneddoto che mi ha molto lusingato e fatto apprendere ulteriori novità del mondo editoriale. Prima di approdare, a Il Seme Bianco un altro editore, che non ha potuto pubblicarlo perché già completamente impegnato, mi inviò la sua personalissima recensione. Mi emozionò molto. Il titolo da me ideato era “Erano ragazzi nel 68”, poi con l’attuale editore del gruppo LIT, mi si è aperto un altro mondo che comprendeva anche l’accurato lavoro nella scelta del titolo, ed ecco Pertinenze d’ombra».
Che tutti i mali non vengono per nuocere: non è facile esordire con un editore di un grosso gruppo
«È vero, e sono molto soddisfatto».
Così come non è male aver deciso di rilasciarmi questa intervista.
(Ride) «Devo capirlo ancora».
Un ringraziamento particolare a Paolo Iannarelli che ha concesso gentilmente l’uso delle sue foto per questa intervista.