Da La Sicilia del 9 ottobre 2019
“Un noir da Randazzo a Varsavia”
Intervista a Vito Catalano autore de “La notte della colpa” – Lisciani Editore
Vito Catalano, nipote di Sciascia, firma “La notte della colpa”, thriller giallo con sfumature fiabesche.
«Ci sono scelte che decidono il nostro destino»
SALVATORE MASSIMO FAZIO
Fine settembre è uscito il nuovo romanzo di Vito Catalano per Black List, nuova collana di Lisciani Editore. Tra i più rinomati autori del romanzo storico, ricordiamo Il pugnale di Toledo o La sciabola spezzata, l’autore palermitano si è scommesso con un giallo-noir, dando prova di sapersi districare nel genere. A raggiungerlo ci ha aiutato quel mostro sacro dell’indagine noir che è il giornalista e scrittore Mariano Sabatini, già in quota Salani: «Partendo dal titolo – incalza Catalano – mi è sembrato efficace di primo impatto, quando lo si trova negli scaffali delle librerie, ma non solo: “La notte della colpa” può essere intesa come quel momento in cui i personaggi hanno incontrato la propria colpa, così come la notte finale del romanzo».
In questo nuovo genere, presenti una trasversalità psicologica tra i personaggi, quasi a far riaffiorare il senso di colpa: è un invito a riflettere il proprio vissuto?
«Questa intenzione c’era e sono contento che sia stata colta e mi ci sono barcamenato frattanto che esploravo la stesura di questo romanzo».
Sembrerebbe così che non vi sia speranza di ravvedimento, tant’è che riesumi il tirare le corde del “cuntu”, andando pure in contrapposizione a religioni e filosofie che invitano invece a chiudere col passato per andare avanti: credi sia meglio rivederlo sempre il passato? «La presenza del passato e anche l’idea forse impossibile, a mio parere, di alcune religioni che invitano a chiudere per andare oltre, la vedo molto difficile: chiudo una porta di una stanza, ma quella stanza c’è sempre!»
È vitale dunque il passato?
«Personalmente e anche genericamente è una cosa che sento molto. Uno scenario del romanzo è Randazzo, un comune pieno di storia. Mi piace mettere davanti a scelte del vissuto che decidono il nostro destino, come quella frase del film “Gli Intoccabili” quando Sean Connery guida Kevin Costner in un magazzino pieno di bottiglie di alcool di Al Capone e prima di fare irruzione gli dice che se oltrepassano quella porta andranno incontro a guai senza poter tornare indietro. Ciò, mi ritorna spesso in mente: quante volte scegliamo di fare una cosa sapendo di non poter tornare indietro?»
La leggenda della Dama Gialla in quel della Polonia, è un riferimento storico: la fonte è reale?
«Assolutamente, è vera la leggenda, il castello esiste. È una leggenda che possiamo trovare in altre parti del mondo, tanto che direi che la questione dei fantasmi nei castelli è un classico dell’umanità».
Nel momento in cui appare la Dama Gialla la tua penna si interseca con altri generi che si affacciano a un pubblico eterogeneo: siamo in un thriller-giallo-noir con sfumature fiabesche e favolistiche, ne convieni?
«Non vi è premeditazione nella scelta del pubblico, però posso affermare che questo libro sia fruibile a tutti. Un esempio, forse eccedo, ma lo faccio indossando i guanti gialli è quello de “I tre moschettieri”, libro che ha affascinato adulti e piccoli, con conseguente stimolazione alla lettura. Questo genere lo amo molto e tendo ad avvicinarmi quando scrivo, anche in questo caso che il genere non è soltanto storico. Mi piace l’aggettivo “fiabesco”, la fiaba ricordando i fratelli Grimm sono per bambini e per adulti e ne traiamo interessanti quid».
Quanto ha influenzato nella tua scrittura il rapporto con tuo nonno (Leonardo Sciascia n.d.r.)?
«Nella misura di scrittore al pari di altri che gradisco. Ho saputo, naturalmente, scindere l’amore per mio nonno dallo scrittore Leonardo Sciascia».