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SMF per Sicilymag – Massimiliano Scudeletti: «La modernità ha infranto il sogno ancestrale di Gioacchino Cataldo, l’ultimo Rais di Favignana» – L’intervista

5 Luglio 2019 - DIGRESSIONI
SMF per Sicilymag – Massimiliano Scudeletti: «La modernità ha infranto il sogno ancestrale di Gioacchino Cataldo, l’ultimo Rais di Favignana» – L’intervista

Da Sicilymag del 5 luglio 2019

«La modernità ha infranto il sogno ancestrale di Gioacchino Cataldo, l’ultimo Rais di Favignana»

LIBRI E FUMETTI

Lo scrittore toscano Massimiliano Scudeletti è l’autore di “Aiace alla spiaggia” (Bonfirraro Editore), romanzo di biofiction sul celebre tonnaroto scomparso lo scorso anno: «Il tema è la delusione. La vicenda umana del mio Aiace/Cataldo è quella di un bambino, ragazzo, uomo che coltiva un sogno e diventa il re dei Rais per poi vedere il regno inabissarsi»

 

 

«Per questo romanzo anomalo, epico e tragico, volevo qualcosa di particolare: una scrittura che mescolasse il mio vecchio lavoro di documentarista con la biofiction e con una classicità, un’epica che non voleva sparire malgrado tutto. Volevo linguaggi diversi, a volte inadeguati: presi dagli spot della televisione, così come dalla poesia arcaica greca. Ho pensato molto alla prosa magica, evocativa, irraggiungibile di Marguerite Duras».

Così Massimiliano Scudeletti presenta il suo romanzo sulla vita e gli ambienti di Gioacchino Cataldo, ultimo Rais della tonnara di Favignana che dopo esser emigrato in Germania è tornato nella sua Favignana per fare ciò che ha sognato sin da bimbo: il tonnaroto. Non solo, il passo è breve per il sogno: Cataldo sarebbe diventato il Rais più conosciuto tanto che nel 2006 l’Unesco lo conclamò “Tesoro umano vivente”. L’anno dopo la tonnara avrebbe chiuso. Con “Aiace alla spiaggia”, pubblicato per i tipi di Bonfirraro, Massimiliano Scudeletti racconta non solo ciò che in troppi pochi sapevano.

Nel libro c’è uno studio approfondito sulla questione della mattanza e del girovagare di Gioacchino Cataldo: un saggio, un racconto lungo, una biografia?
«No, è un romanzo, né una biografia né il risultato di uno studio, già in troppi ne hanno scritti. Preferisco considerarlo l’effetto di suggestioni di diversi temi, dalla bellezza di Favignana e le Egadi, terre non solo di mare ma partorienti lavori antichi come pescatore e cavatore di tufo: mestieri che si perdono nella preistoria così come dalla preistoria vengono i graffiti della grotta di Levanzo. Nel mio libro non si parla solo di tonnaroti e di tonnara, ma anche di cavatori di tufo: altro mestiere primordiale che ha inciso profondamente l’isola tanto che le cave scavate fanno oggi parte stessa del paesaggio come le cale e il mare. Sono ferite cicatrizzate che attestano la forza di una terra che trasforma le proprie ferite in bellezza.

La tonnara con l’atto finale della mattanza è considerata da troppi simile alla tauromachia. Perché?
«La tauromachia è sì tradizione ma anche spettacolo, mentre la mattanza è un modo di dare sussistenza alle proprie famiglie. Tradizione antichissima dalle regole che si perdono nella notte dei tempi mutuate dall’incontro tra le genti da una parte all’altra del Mediterraneo, luogo in questo caso non solo di battaglie e di scorrerie, ma anche di incontro e di condivisione. Non a caso la parola Rais, il titolo più nobile viene probabilmente da termine arabo proprio come calafataggio e molti altri termini marinari vengono dall’arabo. Poi, molti rais andavano proprio in Libia o in altri paesi arabi a esercitare la loro arte, a riprova di come quest’arte sia cresciuta di concerto tra i popoli che magari contemporaneamente si combattevano.

Ben esposto nel romanzo l’ereditarietà del Rais. D’improvviso appare Orazio Mercurio e la tradizione storica si muta: non c’è più consanguineità?
«Per molto tempo si era rais solo per sangue, cioè per discendenza come se fosse un titolo nobiliare. Ma anche quando il titolo non venne più attribuito per discendenza, il rais veniva scelto dal proprietario della tonnara ma tra gli uomini più esperti perché ci dice uno dei maestri di Cataldo: “la raissìa è una scienza che attecchisce solo in tarda età”. E abbisogna di un apprendistato lunghissimo, fatta di rituali, di silenzi, di una religiosità antica dalle tracce pagane. Una conoscenza passata quasi intatta dalla preistoria al tempo dei radar».

Altro tema scottante è il danno della contemporaneità. C’è un passo drammatico, spiegato con cura, sul tonno congelato proveniente dal Giappone: convince e conviene?
«La modernità che trasforma il rito antico della mattanza in un evento per il consumo dei turisti che vogliono solo vedere il sangue e a cui non importa quello che succede. Una modernità che impone e stritola un rito antico. Le nuove tecniche di pesca che nel centro dell’oceano grazie ai radar avvistano i branchi dei tonni e li prendono con immense reti a strascico dove finiscono tutti i pesci e non solo i tonni. Questi vengono tenuti per mesi in gabbie e ingrassati (perché ai giapponesi i tonni piacciono grassi) prima di essere uccisi a fucilate».

La tragedia della modernità!
«Certo, e sempre a proposito della modernità: la pubblicità televisiva che ha orientato il gusto del consumatore verso il tonno tenero che si taglia con un grissino, facendo dimenticare un prodotto superiore come il tonno rosso e i suoi derivati».

Una delle immagini classiche della mattanza condotta dalla ciurma di Gioacchino Cataldo

Romanzo colto e avvincente che lascia l’amaro in bocca, specie dopo l’uomo che diventa mito: parliamo di Gioacchino Cataldo che combatte contro la chiusura della tonnara.
«Il tema fondamentale è la delusione. Per essere più chiari, cosa sognava un bambino nella Favignana degli anni del secondo dopoguerra? Sicuramente di trovare un lavoro, magari allo stabilimento Florio, di aver abbastanza soldi da non dover emigrare. Forse di diventare un ciclista o un attore dei film che vedeva nei due cinematografi dell’isola oppure – ma questo era ancora più impossibile – diventare rais. La vicenda umana del mio Aiace/Cataldo è quella di un bambino, ragazzo, uomo che continua a coltivare questo sogno attraverso gli anni e che lo realizza dopo una vita intera. Anzi, diventa probabilmente il rais più famoso fuori da Favignana, ambasciatore e strenuo custode di quella tradizione. Contemporaneamente a questa (sovra)esposizione mediatica, però la cooperativa da lui presieduta per mantenere viva la tonnara affronta sfide economiche che non riesce e forse non poteva sopportare. Proprio quando lui viene inserito nel Registro Eredità immateriali come “tesoro umano vivente” per la sua immensa conoscenza di quella sapienza antica, la tonnara chiude, la cooperativa passa di mano e finisce – almeno per molti anni – quell’antica tradizione. In sostanza, cosa prova un uomo che corona il suo sogno di diventare re ma solo per vedere il regno che si dissolve o meglio che si inabissa?».

La tonnara di FavignanaLa tonnara

Il lettore però vive il fascino della scrittura, che racconta una vicenda reale.
«C’è sempre il narratore, io, che racconta della sua fascinazione non certo per Cataldo, osannato da troppi, quanto per quel mondo antico, quelle tradizioni e per quel personaggio sovrastato da un fato implacabile come il personaggio di una tragedia antica schiacciato non dagli déi dalla modernità che si aggira confuso, come un moderno Aiace, in compagnia dei tanto amati gabbiani su una spiaggia solitaria di Favignana. Cronaca dunque di un inseguimento con un linguaggio che cerca di usare i registri più diversi.

Che libro è “Aiace alla spiaggia”?
«Il mio libro appartiene al genere biofiction, benché non ami il termine un po’ abusato. Si tratta perciò di un romanzo liberamente ispirato alla figura di Giovacchino Cataldo, rais della tonnara di Favignana scomparso quasi un anno fa (il 21 luglio nda) e diventato simbolo della lotta per mantenere in vita una tradizione ancestrale»

L’editore Salvo Bonfirraro ha dichiarato: «Abbiamo scommesso su un autore toscano che ha scritto della Sicilia, di Favignana e del rais Gioacchino Cataldo». Come è nata l’idea di parlare di una vicenda sicula?
«Forse proprio perché tutti non la sanno, o più semplicemente perché ha un grande fascino. Hai presente i racconti di famiglia? Sono storie che bellissime ma che diamo troppo per scontate. Proprio perché le abbiamo sentite molte volte – e siamo sicuri di risentirle – non le approfondiamo e magari le lasciamo un in angolo. Poi, coloro che ce le raccontavano spariscono e noi rimaniamo con domande che non avranno più risposta. A volte un estraneo ci racconta delle cose che appartengono alle nostra famiglia, alle nostre tradizioni e noi le risentiamo quasi come fossero nuove. Era una storia cui io mi sentivo assolutamente inadatto a raccontare sia per complessità che per lontananza: ho cercato di supplire con anni di approfondimento, ma ho capito che non avrei mai potuto scrivere di tonnara – troppi autori e troppo bravi avevano affrontato questo mondo – ma forse della mia visione di un uomo, forse di quella, sì. Non avevo capito fino a pochi giorni fa cosa mi attirasse della raissìa, cioè della scienza-arte- antica sapienza che possiedono i rais, quella conoscenza quasi esoterica che ha portato a definirli sciamani del mare. Poi ho capito, quasi per caso. Gli antichi rais non parlavano con la ciurma, ma solo con il sotto-rais; erano depositari di una tradizione millenaria persa nella notte dei tempi che rifuggiva dalle parole e che necessitava di lentezza, di distillazione. Mi piace ricordare Andrea Pinketts, asseriva che “i generi letterari sono dei bracci della morte in cui imprigionare i romanzi”».

Una delle immagini più recenti di Cataldo

Per chi e perché è stato scritto questo libro?
«Sono rimasto ammagliato – si dice di un pesce che rimane preso nella rete della tonnara per caso, etimologicamente non ha nulla a che vedere con ammaliato ma il risultato è lo stesso -, non solo dal fascino della tradizione antichissima della tonnara – come moltissimi altri d’altra parte – quanto dall’idea di un bambino che nel secondo dopo guerra ha un sogno impossibile – cioè diventare rais – e dopo anni di immigrazione, di sforzo, di dedizione, realizza il suo sogno. Diventa rais, raggiunge una notevole fama mediatica, diventa ambasciatore della sua tradizione, solo per vedere quel mondo sparire. Mi sembrava una storia che collegasse la tragedia antica con una modernità altrettanto ferale: una storia che meritava di essere raccontata non solo ai siciliani. Non credo che abbia un pubblico di riferimento preciso: questo aspetto antico, tragico – non a caso si parla di un Aiace alla spiaggia – collegato a una modernità dai denti d’acciaio che tutto travolge e mastica; questa delusione profonda penso, e spero, che abbia un ampio spettro d’interesse non stretto nelle catene di un ambito regionale. La mia ambizione non era certo di parlare di tonnara ai trapanesi, sarebbe stata una presunzione inaccettabile, una hubris insopportabile, quanto raccontare di come il realizzare i proprio sogni possa essere molto pericoloso: questo penso che sia un tema che non ha confini».

Lo scrittore Massimiliano Scuduletti

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