Dentro c’è finito di tutto: autori e cantautrici di lucida e sbilenca ispirazione, abili manipolatori di suoni elettronici, sopravvissuti agli anni Novanta ma anche giovani talenti semi-esordienti. Con una frammentazione stilistica che risulta quasi indecifrabile e estremizzata. Dal sound internazionale dei Babil on Suite alla chitarra acustica e ai versi in dialetto di Fabio D’Angelo; dal pop leggero di Anita De Luca al post rock dei Diane And The Shell; dal noise dei Gigantik alle sperimentazioni di Tazio Iacobacci aka Tizio; passando per la scrittura graffiante di Mapuche, l’alternative dei Di Viola Minimale, il post punk di Ex Freunde. Solo per citare qualche nome rispetto ai tanti meritevoli di menzione.
«Catania non esiste – incalza Schillaci – è anche volontà di ripulirsi da un passato che sortì una bolla mediatica sfociata nel mantra giornalistico di Catania come Seattle, ribadendo che i paragoni sono fuori tempo massimo. Catania non esiste, perché, a parte qualche dinosauro del mainstream ancora saldamente ancorato al proprio ruolo, non ha proposte musicali forti in grado di affermarsi solidamente sul territorio nazionale e internazionale e, seppur 29 band non possano rappresentare la totalità né la radiografia perfetta della musica cittadina, sicuramente ci restituiscono uno sguardo complesso e corposo sullo stato di salute della sua cultura musicale. Catania non esiste – accusa Schillaci – perché il dissesto non è solo finanziario ma culturale e cognitivo».
Giuseppe Schillaci, foto di Samantha Scuderi
Se la compilation non può essere certo esaustiva sullo stato dell’arte musicale in città, il dibattito sul suo passato (ma anche sul presente e, soprattutto, sul futuro) è un terreno ancora più scivoloso. Aiutato da amici come Renato Mancini, Salvatore Massimo Fazio, Paolo Mei, Emiliano Cinquerrui e tanti altri, Schillaci sta mettendo in piedi un incontro di presentazione del progetto. L’appuntamento per tutti – musicisti, politici, addetti ai lavori, giornalisti, appassionati o semplici curiosi – è fissato per il 19 giugno, alle 19, allo spazio Mono. Un dibattito culturale aperto ma anche un confronto identitario, alla presenza dei promotori e delle band che hanno aderito all’iniziativa. Ma non solo. Cesare Basile è stato il primo a dare conferma della sua partecipazione e sono previsti numerosi ospiti che verranno annunciati nei prossimi giorni.
«Non so come il progetto verrà accolto, quale sarà il sentimento che si creerà attorno – continua Giuseppe Schillaci – ma nonostante il dissenso o consenso che arriverà, nonostante qualsiasi critica, questo è quanto era importante fare in città, per restituire il suo specchio musicale, attuale e frammentato come non mai. Un progetto che dovrà ricordare in qualche modo che la musica a Catania sopravvive grazie alla tenacia dei suoi musicisti e alle iniziative discografiche private e senza i maxi eventi promozionali di un tempo. Ciò che è emerso da questa fase – continua Schillaci – lo devo alla collaborazione dei musicisti presenti, che mi hanno consegnato le chiavi per strutturare una compilation di musica indipendente, e non indie, di quasi 2 ore di musica. Ventinove brani per altrettante band e musicisti legati per origini e attività al capoluogo etneo. Ventinove, quasi a definire l’unico mese dell’anno che in qualche modo storpia e si impone come pecca in una monotonia di 30 e 31 costante. Quasi due ore di musica underground, nel senso più sotterraneo e sommerso del termine, che questa monotonia vogliono interromperla, con rispetto del passato, in proiezione futura. Una volta lessi una dichiarazione di un mio concittadino, Leo Gullotta: “Abbiamo bisogno di stare insieme come si faceva una volta nei teatri greci, dove si stava insieme a fare teatro, si sorrideva, si soffriva, si graffiava, secondo le situazioni del potere, della storia, si guardava la vita reale com’era, si puntava il dito”. Aveva ragione».
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