Da Sicilymag del 4 giugno 2019
Cristina Cassar Scalia: «Vanina non è Montalbano, ama solo la buona tavola come lui»
“La logica della lampara” (Einaudi) è il nuovo romanzo della dottoressa e scrittrice netina, catanese d’adozione, nuova avventura del vicequestore Vanina Guarrasi: «E’ dura e burbera. Quando scrissi “Sabbia nera” avevo bisogno di un investigatore e non poteva che essere donna. Così è nata Vanina». Il 6 giugno presentazione a S. Agata li Battiati e il 12 giugno a Messina
Appena lo scorso anno, Einaudi ha pubblicato un giallo dalle tinte ambientali che oscillavano tra la città e una campagna che tendeva verso la montagna. La città era Catania, la montagna/campagna era la sua provincia. Il libro era Sabbia nera, di cui sono già stati opzionati i diritti per il cinema e la tv. Trascorso appena un anno da quell’impressionante successo editoriale, esce La logica della lampara (Einaudi). L’autrice di questi due nuovi capitoli del giallo/noir siculo è l’oftalmologa, e scrittrice, di origine netina ma catanese d’adozione Cristina Cassar Scalia. Il femoneno editoriale Cassar Scalia non nasce, però, con Sabbia nera, se andiamo a ritroso di pochi anni, leggiamo che nel 2014 con La seconda estate (Sperling & Kupfer) si è aggiudicata il Premio internazionale Capalbio Opera prima e non con un giallo. Nel 2015 il boom editoriale con Le stanze dello scirocco, sino all’invenzione del personaggio di Vanina Guarrasi che l’hanno decretata l’alter ego al femminile del Montalbano di Camilleri, e a dirlo fu Carlo Lucarelli.
Cristina Cassar Scalia
Questo slittare dalla saga familiare, al sentimento, all’approdo al giallo, ci ha così incuriosito che, in vista delle nuove tappe del #vaninaguarrasitourovvero le presentazioni de La Logica della lampara giovedì 6 giugno alle 18.30 alla Biblioteca comunale “Giovanni Verga” di Sant’Agata Li Battiati, grazie alla produzione di G.D. Comunicazione e la Libreria Sofà delle muse, e mercoledì 12 giugno alle 19 alla Libreria Bonanzinga di Messina, le abbiamo chiesto di chiarirci diversi punti, che hanno fatto di questa simpatica e colta ragazza, una tra le rappresentanti italiane di genere nel mondo. Ci ha raccontato di questa seconda avventura del vice questore Giovanna “Vanina” Guarrasi, sino a svelarci perché e per chi l’ha “inventata”. Il tutto con la grande attesa del debutto in terra sicula ionica, dove è ambientato il romanzo.
Forbita e ricercata, la tua scrittura è ben congeniata. La trama del libro è a doppio contenuto, come in Sabbia nera, da una parte c’è la risoluzione di un caso e in parallelo emergono fantasmi del passato della protagonista. Questo mood si presenta anche nel nuovo romanzo, è qualcosa di fantasia o c’è ispirazione da qualcosa che è accaduto a te personalmente e che hai “tradotto” in letteratura?
«Tutta opera di fantasia, anche la mia tendenza a cercare di tirare fuori dal passato anche solamente di sfuggita, proviene dal fatto che a me piace molto rimestare nel passato, ma non nel mio passato necessariamente, ma in quello generale: riportare all’attenzione i fatti, le epoche che a mio dire è bello ricordare, qualcosa che è accaduto, episodi particolari. Insomma mi piace ricercare nel passato, ma ciò che ho scritto è tutta opera di fantasia».
Ti sei imposta con Sabbia nera in maniera ancor più forte e determinate rispetto ai precedenti libri, nonostante abbiano avuto un successo e un seguito non indifferente. Carlo Lucarelli ha detto di Sabbia nera “La chiameranno l’antimontalbano, ma non è vero”, ma anche altri, riportati nel risvolto di copertina. Ti ci ritrovi, o ritrovi il tuo personaggio in queste definizioni dove sei accostata a mostri sacri della letteratura come Camilleri?
«In realtà sono abituata al fato che Vanina Guarrasi venga paragonata a Montalbano. Premetto che Camilleri è il maestro dei maestri. Essere paragonata a Camilleri, mi inorgoglisce e mi fa piacere. Poi che Vanina abbia qualcosa di Montalbano, non credo proprio, in comune hanno il solo gusto per la buona tavola e il fatto che non sanno cucinare. Al di là di questo dettaglio gastronomico, non vi sono similitudini reali tra i due personaggi».
La Cassar Scalia lo scorso anno quando uscì Sabbia nera
Vanina Guarrasi è forte, dura, determinata: ha il tuo carattere?
«È molto più determinata dura e burbera di me, ha poco di me e in comune con me. Qualcosa che abbiamo ambedue è la passione per il cinema d’autore italiano: gliel’ho data forse per avere qualcuno con cui condividere questa passione, e anche il fatto che ambedue siamo animali notturni, questo sicuramente».
Il passaggio ambientale da Sabbia nera a La logica della lampara: nel primo gli ambienti sono campagna e città, nel secondo mare e città, è voluto per spezzare con la storia precedente?
«No, nessuna volontà. Catania è montagna e mare. Convivono. E l’ispirazione stavolta è venuta dal mare, ma non vi è nessuna intenzione».
Oggi la figura del poliziotto è più rilevante rispetto ad altre divise, esaltato come “difensore della patria”, “padre di famiglia”, persona che comprende. La storia ci insegna che purtroppo non è andata sempre così e ciò che accadde a Genova per il G8 nel 2001 fu un caso eclatante di abusi.
«Ciò che io ho conosciuto, le persone che ho conosciuto in polizia, essendo un medico non avevo conoscenze, e “infilandomi” nella squadra mobile di Catania posso dire che ho visto tutti personaggi positivi. Poi come in ogni posto e luogo, non si può fare di tutta l’erba un fascio, non si può catalogare. Certo nel mio libro non vi sono poliziotti picchiatori, non li ho rappresentati, ma non significa che nei libri non vi siano racconti di poliziotti cattivi».
Quella di scrittrice è diventata una professione?
«Decisamente sì, molto impegnativa».
Tu rilanci parecchi colpi di scena, e c’è una dovizia di particolari che entusiasmano chi vive Catania perché si riconoscono posti e abitudini. Ricordo ad esempio la descrizione delle olive nella trattoria Da Nino. E’ necessario in questo genere il coup de théâtreche coinvolga anche chi non conosce certe città e certi luoghi e modus operandi.
«Nel giallo, nel noir sicuramente è ancor più che necessario che in altri generi, perché il ritmo si basa tutto sul coup de théâtre, tutto su rivelazioni che avvengono poco per volta che tengono viva l’attenzione del lettore quindi ancora più il giallo si avvale del colpo di teatro. Se vogliamo dirla tutta, fa parte del genere».
Ho notato che questo genere ha molto successo in ambientazioni siciliane, penso alla commissaria Marò di Giuseppina Torregrossa, al Montalbano di Andrea Camilleri, ovviamente, ma anche al commissario Salvatore Vivacqua dello scrittore piemontese Carlo De Filippis. Il Rocco Schiavone del romano Antonio Manzini è pubblicato dalla palermitana Sellerio. Se c’è la Sicilia, si ha un successo maggiore?
«Non sono certa che vi siano molti scrittori siciliani di gialli ambientati in Sicilia. A Camilleri e Torregrossa aggiungo Santo Piazzese o Gaetano Savatteri, ma non ne ricordo tanti altri. Certo ambientare in Sicilia ha i suoi perché: la Sicilia è un valore aggiunto, la Sicilia è un personaggio non una ambientazione, e si presta tantissimo al giallo, perché la nostra terra ha tante contraddizioni incredibili, che nel batter d’un ciglio passa dalle luci alle ombre, è nella natura di questa terra. La Sicilia ammalia di per sé. La Sicilia, attira il lettore, me ne sono accorta scrivendo di Sicilia. I lettori non siciliani sono abbastanza attratti dalla Sicilia in sé».
Quando hai iniziato a scrivere e quando hai capito che potevi diventare ciò che sei? Sei una scrittrice di successo e di talento, spesso, però, il talento non coincide col successo, nel tuo caso sì: sei una tra le migliori scrittrici italiane e con un gran seguito che decreta un gran successo.
«Ho cominciato che avevo dodici anni, scrivevo racconti, assolutamente per. Poi all’ultimo anno di liceo vinsi un premio nazionale con un racconto, ma mi interruppi. Mi piaceva studiare, volevo fare il medico. Mi laureai. Solo dopo ripresi a scrivere. Scrissi un romanzo, che col giallo e con la Sicilia c’entravano poco, fu pubblicato dopo parecchio tempo. Fu con la Seconda estate e Le Stanze dello scirocco, pubblicati da Sperling e Kupfer, che rimasi sorpresa. Ancora non c’era il giallo, si era nell’ambient della saga familiare. Avevo presentato agli editori gusto per provarci. Poi scrissi di giallo, la mia agente lo presentò agli editori più importanti che trattano gialli ed ecco il mio approdo ad Einaudi».
L’amore, sul posto di lavoro. Marta, è bresciana, non vuole esporsi più di tanto, è timida, i rapporti con Vanina, dopo che la vide una sera con il capo ad una cena intima, si sono un po’ raffreddati. Socialmente ai giorni nostri, può influenzare negativamente agli occhi altrui se si sa che due colleghi hanno una relazione? C’è una frase importantissima che dà molte spiegazioni.
«Non dovrebbe succedere che qualcuno abbia da ridire su relazioni come quella di Marta, che è fondata su basi sentimentalmente oneste. Ma tra ciò che non dovrebbe succedere e ciò che succede molte volte c’è un abisso. La possibilità che Marta venga considerata male perché ha una relazione col capo è possibile, e allora c’è il rischio che si dimentichi il ruolo di Marta e quello di Tito. E lei, Marta lo dice chiaramente, si passa, agli occhi degli altri, da essere l’ispettore Bonazzoli alla donna del capo. E tutto cambia».
Perché e per chi hai inventato il personaggio di Vanina Guarrasi?
«Prima ancora di scrivere Sabbia nera, ero alla ricerca di una storia da scrivere e non era detto che era un giallo. Ho immaginato un montacarichi, un vecchio montacarichi dove dentro vi fosse un cadavere mummificato, una ispirazione del genere poteva portare solo al giallo. Il giallo significava inventare un investigatore che per me doveva essere una donna. Una figura che mi piacesse, dovevo inventarla donna. Ed ecco che è nata Vanina Guarrasi».
Una recente immagine della Cassar Scalia
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Pubblicato il 04 giugno 20