Da La Sicilia del 13 maggio 2019
Al XXXII Salone Internazionale del Libro di Torino, Canta, spirito, canta, secondo episodio della trilogia ‘Bois Sauvage’, scritta da Jesmyn Ward, sicuramente è stato il libro più atteso. Pubblicato dall’indipendente milanese NN Editore, già nota per aver proposto al pubblico italiano un autore dello spessore di Kent Haruf, anche questo secondo episodio, tradotto da Monica Pareschi, si è aggiudicato la vittoriaper la seconda volta il National Book Award (2017), meta che nessuna autrice aveva mai raggiunto (la prima volta fu nel 2011 con, il tradotto sempre per NN, lo scorso anno in Italia, Salvare le ossa).
Libro sottile e crudo, dove in un momento di grande freddezza e scontro dialettico per la questione della presenza al Salone del Libro, di una casa editrice dichiaratamente fascista, per voce del suo rappresentante, tra gli organizzatori e diversi editori, sembra esser stata una profezia per lo scontro culturale sulle questioni del razzismo.
In Canta, spirito, canta, quella magia letta in Castaneda o nel divertente ‘Dona Flor e i suoi due mariti’, non la troviamo, proprio perché l’autrice ci consegna un testamento al quale credere è un obbligo morale. La storia si ripete e i fantasmi del passato tornano: non ci si illuda mai che possano essere ipotesi o schizofrenie allucinatorie, sono accadimenti che si ripresentano e lo shock primo che si evince è quello che anche una catastrofe come l’uragano Katrina, nel Missisipi, non abbia mai quietato le discriminazioni del vissuto storico che coinvolgono la storia dell’uomo.
Di questo vissuto, il giovane Jojo, viene a conoscenza grazie ai racconti che lo stesso chiede insistentemente al nonno Pop, racconti della giovinezza di quest’ultimo, pertanto le occasioni per i tormenti del passato, seppur nolentemente, si impongono come machete sulla testa di chi ascolta, nonostante un paradosso permetta di far crescere in fretta il nipote. Sono infatti i racconti di quella zona povera del Missisipi, che rappresentano lo spiraglio a resistere ad ogni costo: o resistenza o morte!
Superato il disastro causato dall’uragano Katrina, i reduci, si trovano a fare i conti con assurdità mai estinte: razzismo, violenze, vessazioni che riflettono l’incapacità di distaccarsi dal ‘peggio’, che, nello specifico, vengono rappresentati dai genitori di Jojo: Leoine e Michael. Lei è di colore, lui è bianco, i due hanno un rapporto conflittuale, intriso di devianza. Jojo e la sorellina Kayala, cresciuti dai nonni Pop e Mamam, si ritroveranno ad essere maturi si dalla tenerà, biologica, età. Quell’età che è la più complessa e che a loro apre un bivio: maturare in fretta o rimanere incastrati nei terror del disastro. Un disastro che è sempre stato copione: prigionia per tutti, ma che per l’uomo di colore diventa schiavitù.
La domanda è sempre una: come può l’esser umano, godere nel maltrattare il suo pari solo per diversificazioni socio-politiche-ambientali? È questo interrogativo che la scrittrice, encomiata dall’ex Presidente degli U.S.A. Obama, svela tutta la sua forza, la resistenza di chi ha visto con gli occhi dell’inconscio proprio quella ‘zona’ della topica psicologica che ad oggi in molti non vogliono comprendere che è qualcosa che comunica, qualcosa potenzialmente tangibile: l’inconscio parla, è lì con noi e si riflette e si apre in verticalizzazioni che attraversano il campo di centinaia di anni, così come i racconti, per nulla affascinanti, schietti e crudi di nonno Pop al giovane Jojo, ma propedeutici per una crescita, verso un potere più alto, verso una visione magistrale, che non è schizofrenia, ma capacità di vedere e sentire oltre il tangibile.
A questa esperienza psico-mistica si incrocia il rapporto quasi piatto, ma al contempo conflittuale tra Jojo e la madre, sicchè nel cuore del romanzo vi è il viaggio, dei due figli con Leoine ad accogliere il proprio padre che esce di carcere: per quale motivo questa scelta? È la lotta interiore di una donna che vuole riconquistare il marito costantemente in preda a droghe, usate assieme al marito violento e dal quale non riesce a separarsi, o l’atto supremo di una madre che non vuole sottrarre mai la possibilità di far vedere al padre i propri figli?
Questo secondo capitolo della trilogia demistifica verso quelle iperboli improvvise di ciò che accade costantemente e che a nostro dire destinate a non cambiare. Nessun pessimismo, solo realtà. A Jesmyn Ward gli onori di essere autrice straordinaria, che è riuscita con linearità a scrivere un libro che articola la spettacolarità della magia come archetipo rivelatore del disagio che si salva dallo scagliarsi nel limbo di un nichilismo soffocante, soltanto grazie ai racconti di un non ex prigioniero, che svela la scandalosa azione dell’abuso solo perché ti permetti di essere nato col colore della pelle diverso da un altro umano, o solo perché hai avuto la sfortuna di crescere in una zona di un paese più povera, dove i crismi folli di totalitaristi dell’ignoranza, ti condannano a vita.
Questa recensione è frutto di un laboratorio di lettura, commento e argomentazione che si tiene settimanalmente, da almeno 10 mesi, presso la Comunità Alloggio per disabili psichici “Insieme” di Catania, prima realtà nata nel capoluogo etneo, 22 anni fa a sostegno delle persone con disabilità psichica. Ringraziare le persone che vi risiedono che sono le medesime che hanno dato spunti interpretativi alla recensione del libro che NN Editore ha inviato in anteprima, è il minimo che si potesse fare.
Autrice: Jesmyn Ward
Titolo: Canta, spirito, canta
Editore: NN
Pagg.: 269
Prezzo: € 18,00