Da Sicilymag del 22 marzo 2019
Ismete Selmanaj Leba: «Nessuno lascia la propria patria senza dolore nell’anima»
La scrittrice albanese, dal 1992 trapiantata nel Messinese, è tornata nelle librerie con “Due volte stranieri” (Besa editrice), dove affida al personaggio di Mirela il disorientamento di chi continua a sentirsi straniero nonostante anni di vita nel Paese d’adozione: «Qual è il Paese di tanti immigrati che hanno passato più della loro vita in Italia che nel loro Paese natio?»
Due romanzi in lingua albanese, due romanzi pubblicati in Italia e premiati nei concorsi letterari più ambiti, racconti pubblicati in diverse antologie e adesso un nuovo libro, Due volte stranieri, pubblicato dalla salentina Besa Editrice. I libri di Ismete Selmanaj Leba non sono per nulla demagogici, ma spaccati testimoniali scritti sotto forma di romanzo, che a tratti fanno ridere lasciando il tutto con l’amore in bocca. Originaria di Durazzo, dal 1992 in Italia, Ismete Selmanaj Leba, da anni cittadina siciliana a Rocca di Capri Leone sui Nebrodi messinesi, si è imposta con la sua scrittura nel Paese di adozione tanto che i due scritti in Italiano sono stati adottati come testi di studio all’Università degli Studi di Palermo.
La prima nazionale di Due volte stranieri si terrà il 23 marzo alle ore 18 alla Biblioteca comunale “E. Mancari” di Capo d’Orlando. Organizzato dalla Fidapa di Capo d’Orlando, i relatori saranno l’architetto Giusetta Cavolola, presidentessa della sezione di Capo d’Orlando di Fidapa, la professoressa Rosetta Vitanza e il giornalista Antonio Puglisi.
Da dove prende tutta questa ispirazione?
«Mi è sempre piaciuto raccontare e scrivere. Nei miei libri racconto storie verosimili, storie vere e anche inventate. Quando scrivo non lo faccio perché penso che forse quello che sto scrivendo possa essere pubblicato o se possa piacere o meno. Scrivo semplicemente perché mi piace. Di natura sono un’attenta osservatrice e conservo dentro di me opinioni, punti di vista, valutazioni che poi metto nero su bianco. La cosa che mi fa sentire orgogliosa in tutto quello che ho scritto finora è il fatto di aver portato per il pubblico italiano storie vere del mio paese natio, l’Albania».
La scrittrice Ismete Selmanaj Leba
“Nessuno lascia la propria patria senza dolore nell’anima, figlia mia!”. Mirela, una giovane professoressa di lettere in un noto ginnasio dell’Albania, costretta a lasciare il Paese e partire verso l’Italia, ricordava tutti i giorni queste parole di sua nonna. Anche lei, come Mirela, la protagonista del suo nuovo libro Due volte stranieri, ha lasciato l’Albania per trasferirsi in Italia. Ci sono somiglianze tra la sua storia e quella della protagonista del suo libro?
«Il libro “Due volte stranieri” è diverso da quelli che ho scritto in precedenza per due ragioni principali: la prima è lo stile narrato, perché è scritto in prima persona. La seconda, e credo la più significante, è che tra le varie storie che lo compongono ci sono tanti, tantissimi episodi veri della mia vita. Posso dire che Mirela mi assomiglia moltissimo, cominciando dal viaggio verso l’Italia con un visto comprato dai funzionari corrotti dell’Ambasciata Italiana a Tirana. Gli albanesi non potevano entrare regolarmente per lavorare o farsi una vita in Italia o altrove perché l’Albania, dopo le elezioni democratiche, non entrava più nelle zone a rischio; ma il rischio di essere uccisi e di non avere neanche il pane asciutto era reale. Allora tantissima gente fu costretta ad attraversare l’Adriatico con i gommoni. Era rischioso e aveva anche un certo costo ma la disperazione era tale che la gente chiedeva in prestito soldi ai parenti arrivati in Italia un anno prima. Molte volte la disperazione supera anche la paura di morire».
Può dirci qualcosa in più riguardo la trama del libro?
«La maggior parte della storia è ambientata in Italia. Al centro della storia c’è Mirela. Aveva molti sogni per il futuro in Albania ma fu costretta a partire verso l’Italia perché la situazione era diventata pericolosa. Dopo il crollo del regime, l’Albania entrò in un caos totale. Lo Stato, nel vero senso della parola, non esisteva più. Anche se nel 1991 furono svolte le prime elezioni parzialmente democratiche, dopo quasi mezzo secolo di regime totalitario, il colpo di coda della dittatura si stava facendo sentire con tutta la sua forza, come quella bestia feroce ferita a morte. Le bande armate dettavano le leggi e la vita di una persona costava meno di un sacco di farina. Tantissime ragazze giovanissime, anche minorenni, venivano rapite dai banchi di scuola e poi costrette a prostituirsi in Italia e in altri Paesi europei. Suo malgrado, Mirela assistì al rapimento di una sua alunna, proprio durante l’ora di letteratura. Un’esperienza aberrante che la segnò profondamente. Fu la goccia che fece traboccare il vaso e che la convinse a prendere la decisione di andar via dall’Albania. Come procedette la vita di Mirela e suo marito una volta giunti in Italia? Avevano un solo indirizzo; quello di un’amica arrivata in Italia circa 8 mesi prima. La vita di Mirela e sua marito fu molto difficile. Lasciare il proprio Paese è durissimo e in certi momenti ti manca il respiro dalla nostalgia. Dopo la scadenza del visto, lei e suo marito diventarono clandestini, trasparenti; per lo Stato non esistevano. Vivevano sempre con la paura di essere rimpatriati. Iniziarono subito a svolgere lavori umili per riuscire ad andare avanti e crescere la bambina che nacque cinque mesi dopo il loro arrivo. E quando finalmente, dopo tre anni di clandestinità e duro lavoro – molte volte sottopagato – fu approvata la sanatoria che avrebbe permesso loro di uscire dalla clandestinità, si trovarono davanti ad un’altra ingiustizia e delusione. Secondo questa sanatoria gli extracomunitari clandestini che si trovavano in Italia al momento dell’approvazione, potevano essere regolarizzati se assunti con un contratto regolare di lavoro. I datori di lavoro dovevano versare i contributi per almeno sei mesi. Sembrava semplice ma non lo era affatto. Era facile, facilissimo, trovare gente che gridava e urlava contro i clandestini e, allo stesso tempo, era difficilissimo trovare persone disposte a pagare i contributi per il loro lavoro, gesto che avrebbe permesso loro di uscire dalla clandestinità. Era un circolo vizioso. Mirela fu costretta a pagare i contributi da sola. E come lei un gran numero di extracomunitari dovettero fare la stessa cosa».
È un romanzo che parla solo degli immigrati albanesi che vivono in Italia oppure ci racconta un panorama più ampio?
«Il romanzo è composto da tante storie vere di immigrati provenienti da diversi Paesi, le difficoltà che trovano una volta arrivati in Italia, la grande umanità e accoglienza dell’Italia e degli italiani, storie di ragazze costrette a prostituirsi e di ragazzi che sono arrivati in Italia neonati ma che non sono cittadini italiani neanche a 25/30 anni. Qual è il Paese di questi ragazzi? Qual è il Paese di tantissimi immigrati che hanno passato più della loro vita in Italia che nel loro Paese natio? Io ho passato 25 anni in Albania e 27 in Italia. Se qualcuno me lo chiedesse risponderei senza alcuna esitazione; entrambe, l’Italia e l’Albania. Entrambe sono la mia casa, il mio Paese! L‘Albania è la mamma che mi ha messo al mondo, l’Italia la mamma adottiva».
1991, l’immigrazione-esodo degli albanesi in Italia
Dal titolo Due volte stranieri, si percepisce in linee generali la tematica narrata. Perché questo titolo?
«Rispondo con un brano del mio romanzo. È la lettera inviata alla nostra protagonista da parte di un ragazzo nato in Egitto.
Gentilissima signora Kushta,
leggo sempre i suoi articoli e le interviste di “Due volte stranieri”. I problemi che lei sottolinea riguardano molti immigrati in Italia. Mi congratulo con lei per questa bella iniziativa e per la sua dedizione nel risolvere questi problemi. Mi chiamo Said e ho appena compiuto 18 anni. Una settimana fa ho finito il mio quarto anno di liceo con ottimi risultati. Mi rimane l’ultimo anno e poi vorrei iscrivermi all’Università. Il mio sogno è diventare medico. Temo che questo sogno rimarrà irrealizzato. Sono arrivato in Italia con i miei genitori dall’Egitto nel 1988, quando avevo solo un anno e mezzo. I miei genitori hanno lavorato duramente per assicurare una vita dignitosa a me e alle mie due sorelle che nacquero dopo in Italia. Mio padre lavora come muratore e la mamma pulisce gli uffici e le scale. Per i primi quattro anni hanno lavorato in nero perché erano clandestini. Per ottenere il permesso di soggiorno sono stati costretti a pagare loro i contributi che invece dovevano pagare i datori del lavoro. Sono andato sempre molto bene a scuola e i miei genitori sono felicissimi del mio desiderio di andare all’Università. Dopo dieci anni di residenza in Italia, quest’anno i miei genitori hanno fatto la domanda per ottenere la cittadinanza italiana. Dal momento in cui viene presentata la domanda, dovrebbero trascorrere almeno due anni per ottenere la cittadinanza. Raramente si rispetta il tempo di due anni e ne trascorrono tre o più. Come minorenni, io e le mie sorelle risultavamo parte del permesso di soggiorno dei genitori. Secondo la legge, le mie sorelle che sono nate in Italia, al compimento dei diciott’anni acquisiscono automaticamente la cittadinanza italiana. Possono acquisirla anche prima, se i nostri genitori diventano cittadini italiani entro due anni. Per me la situazione è più complicata perché non sono nato in Italia e ora sono in età adulta. Se non mi munisco del permesso di soggiorno personale, sarei illegale e clandestino! Per ottenere il permesso dovrei lavorare e avere un regolare contratto di lavoro. Come posso continuare la scuola se devo andare a lavorare? Se non avrò a breve la documentazione necessaria, potrebbero rimandarmi nel mio paese d’origine, in Egitto! Mi sento davvero “due volte straniero!” Amo l’Egitto, è il paese dove sono nato, dove sono nati e cresciuti i miei genitori, le mie radici. Il sangue che scorre nelle mie vene è egiziano. Ma l’Italia è il mio Paese, sono cresciuto qui, qui ho detto le prime parole, ho fatto i primi passi. Per questo Paese mi emoziono e il cuore mi batte forte davanti al tricolore, la mia lingua madre è l’italiano, i miei migliori amici sono qui. Non voglio credere che esista questo handicap burocratico! Durante i quattro anni di liceo non sono potuto andare nei viaggi d’istruzione organizzati dalla scuola in Svizzera e in Inghilterra. Sono un extracomunitario e devo chiedere un visto per entrare in questi due Paesi. Era un processo burocratico che richiedeva tempo e un contributo finanziario che era oltre le nostre possibilità.
Chiedo il suo aiuto, non so a chi altro rivolgermi. Io e i miei genitori siamo disperati e senza alcun supporto. La scuola inizia a settembre e non so se riuscirò a sedermi nel mio banco.
Con osservanza, Said Hussein»
Ismete Selmanaj Leba e i libri, rapporto viscerale
Bolle altro in pentola?
«Proprio qualche giorno fa ho finito di scrivere un altro libro intitolato L’Amoreterapia. È la storia vera della mia dura battaglia contro un brutto male; un carcinoma mammario. È stata veramente una grande sfida, un braccio di ferro tra me e la malattia. Un giorno l’ago della bilancia era dalla mia parte, l’altro giorno, dalla parte opposta. Ma comunque alla fine ho vinto io! Vorrei dire a tutte le persone che stanno facendo la stessa battaglia di non mollare e di non arrendersi mai. Questa è una lotta difficile ma che si può vincere. Fate regolarmente i controlli, la prevenzione salva la vita! Non vi fidate di ciarlatani senza scrupoli che vi promettono cure miracolose! E soprattutto amatevi!»